sabato 26 agosto 2023

Il Generale "sproposito"

Dico in limine quel che è opportuno dire. Ce l’hanno insegnato da bambini. “Come si dice?”, grazie, prego, per favore, permesso. Al lume della buona educazione, l’iniziativa pubblicistica del generale Roberto Vannacci s’inscrive a “buon diritto” nel mondo al contrario, di cui tratta nel suo libro. Che cosa può girare più al contrario di un discorso fatto da un alto ufficiale dell’esercito in servizio contro l’establisment educativo della nazione, Costituzione alla mano? Ora si è scatenata una rissa, dopo che il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha bollato le opinioni del generale come “farneticazioni” e ha provveduto a farlo rimuovere dall’incarico che ricopriva. Un atto dovuto. Ne è seguito un tutti contro tutti, perfino a destra, la parte politica di Crosetto, peraltro tra i fondatori di Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni. La questione è diventata politica e scilicet elettorale. A destra le opinioni di Vannacci sono in gran parte diffuse e condivise e il “non detto” fa più rumore del “detto”. Tutto il mondo occidentale difende le minoranze, le diversità, i diritti umani, declinati in tutte le maniere. Questa è la realtà del mondo d’oggi. Piaccia o non piaccia, non la si può negare. Ma, secondo Vannacci, questo mondo gira al contrario. Rispetto a cosa e soprattutto a quando? In una società inclusiva, come la nostra, non sono ammesse esclusioni ed emarginazioni. La Costituzione e tutte le leggi conseguenti questo dicono. Altra era la società che escludeva ed emarginava. In un saggio del 1979, Gli emarginati nell’occidente medievale, lo storico Jacques Le Goff dice che “Attorno alle nozioni di comunità sacra, di purità, di normalità si articolano i giudizi di sospetto, di rifiuto o di esclusione”. La schiera degli esclusi nel medioevo era folta, c’erano “eretici, lebbrosi, ebrei, folli, streghe, sodomiti, ammalati, stranieri, declassati” ed altre figure del tempo come i beghini. Insomma c’erano tutti o quasi tutti quelli che ora sono, secondo il generale Vannacci, i padroni del pensiero unico imperante, che esercitano oggi una vera e propria dittatura. È, questo, un discorso sul quale riflettere. Esso introduce al rovescio l’esclusione di chi non la pensa allo stesso modo, del sostenitore della tradizione, del conservatore di certi valori, del difensore delle vecchie istituzioni naturali come la famiglia. Questi sono tacciati di scorrettezza politica ed indicati come i nuovi reprobi sociali da emarginare socialmente. Quando Vannacci dice che lui non è razzista, a modo suo è sincero, perché non suggerisce di perseguitare nessuno, ma non vuole neppure che venga ribaltata la nozione di normalità e sentirsi da inferiore ricacciato in un angolo. A prescindere da come uno la pensi, le opinioni del generale e di chi si è schierato con lui non sono sostenibili, per una questione di oggettiva convivenza civile. In Italia non è lecito esprimere opinioni che si configurano come reati di razzismo o di istigazione all’odio razziale. Ci sono le leggi che lo vietano. E non ci vuole molta intelligenza a capire che chiamando le cose coi loro nomi e per come sono costituisce l’anticamera dell’emarginazione, della violenza. A nessuno, tanto meno, a chi svolge un compito nelle istituzioni e soprattutto a chi le rappresenta ai diversi livelli e settori, può essere concesso di esprimere pubblicamente simili opinioni. Le può avere dentro di sé, le può sentire come inalienabili, le può coltivare come fiori nel giardino di casa sua, ma non può assolutamente renderle pubbliche senza commettere una serie di reati e di spropositi. Chi gira al contrario oggi è un tradizionalista come Vannacci. È talmente ovvio che sconcerta la posizione di chi oggi difende il generale e afferma che in fondo ha solo manifestato il suo pensiero in assoluta libertà, addirittura secondo i dettami della Costituzione e del regolamento militare. Alla situazione di oggi, in relazione ai diritti umani, si è arrivati non per aver vinto o perso ad una lotteria, ma attraverso un processo storico lunghissimo, passato per gradi di conquiste e diciamo pure di eccessi. Un attacco ad esse, per riportare a piano la situazione, ci può pure stare, ma non da parte di un generale dell’esercito. Quando ciò accade è perché la politica e la cultura latitano. La performance del generale fa pensare ad un cavaliere della tavola rotonda alla ricerca del santo graal, smarritosi in un mondo di “infedeli” insediatisi al comando per fare in modo che niente del suo mondo sopravviva: sacralità, purezza, normalità. Uno “sproposito” del genere può trovare spiegazione solo nel caldo torrido luglio-agostano di quest’anno.

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