sabato 19 agosto 2023

Il salario minimo è "politica"

Il salario minimo sembra la pietra filosofale che gli alchimisti medievali cercavano per trasformare la materia vile in oro. I partiti dell’opposizione lo stanno gestendo alla grande. Raccolte già trecentomila firme. Si è vicini alla trasformazione del fortunato slogan in consensi e, sperabilmente quando sarà, in voti. Ma che cosa davvero significa il salario minimo nel nostro sistema socio-economico? Va capito nella sua storia, con l’aiuto anche di qualche riferimento extra. Herbert Marcuse negli anni Sessanta del secolo scorso in un suo celebre libro, Uomo a una dimensione, diffuse il concetto di “falso bisogno”, un bisogno cioè indotto da un sistema politico-economico, che, attraverso la pubblicità, ovvero la manipolazione delle coscienze, convince l’individuo ad avvertire la necessità di un dato prodotto, a volte del tutto superfluo, quando non addirittura inutile e dannoso. È l’economia tipica della società dei consumi: si lavora, si produce, si consuma; e si consuma proprio per poter continuare a lavorare e a produrre. Perché questo circolo non si interrompa e anzi si incrementi è necessario perfino inventarsi dei “falsi bisogni”, che vanno ad aggiungersi a quelli veri. Si capisce che in questa catena l’anello che tiene tutti gli altri è la concreta possibilità che il lavoratore-consumatore sia nella condizione economica di accedere ai beni prodotti. In caso contrario la catena si spezza, i prodotti restano in-consumati e l’azienda fallisce. Il salario minimo è la soglia di accesso ai beni di consumo. I soggetti del sistema politico delle democrazie occidentali, ossia i partiti, non si comportano diversamente dalle aziende. Quelli di maggioranza tendono a minimizzare e a nascondere. Quelli che sono all’opposizione, quando non hanno problematiche importanti e risolvibili, s’inventano dei “falsi problemi” pur di convincere gli elettori della bontà delle loro proposte. In politica si consumano idee come in economia si consumano merci. Gli stessi problemi, però, vengono messi da parte quando quei partiti vincono le elezioni e vanno al governo a loro volta. Dopo che sono serviti allo scopo, sono chiusi nel fondo di un cassetto per la prossima volta o per i nuovi oppositori. Il caso è noto. Quando Giorgia Meloni era all’opposizione propose il salario minimo alla maggioranza di governo, la quale, costituita all’epoca da partiti che ora sono all’opposizione, non ne volle sapere di prenderlo in considerazione. Ora gli stessi partiti ne hanno fatto una bandiera. Lo slogan è forte, colpisce, Schlagwort dicono i tedeschi. Al solo sentirlo nominare viene di chiedersi: che più e meglio? E, infatti, dai sondaggi vien fuori che lo vogliono tutti a sinistra come a destra. Il governo, per andare incontro alle difficoltà dei lavoratori meno pagati, ha tagliato il cuneo fiscale, facendo arrivare il ricavato nelle loro tasche. Un provvedimento che probabilmente continuerà oltre il 31 dicembre. Così fa capire il governo. Intanto ha investito il Cnel (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro) della questione, che dovrà rispondere entro 60 giorni dall’incarico. Così, non per lavarsi le mani – perfino la maggioranza dei suoi elettori è d’accordo con la proposta – ma per stemperarne la portata politica nell’immediato. Vedremo cosa accadrà. Intanto vale la pena chiedersi: ma veramente il salario minimo conviene? Ai lavoratori poveri sicuramente sì. Nel complesso, però, il provvedimento pone una serie di domande, a cui si danno risposte diverse e non sempre convincenti. Una è che il salario di un lavoratore, in una economia di mercato, è frutto della contrattazione tra datori di lavoro e sindacati, nella logica della domanda e dell’offerta. È in quella sede che si stabilisce volta per volta il “giusto” salario. Non si vede, perciò, la necessità di stabilire il minimo per legge, che peraltro viola un principio di libertà, e può, in mutate condizioni economiche, obbligare i datori di lavoro ad un costo salariale non sostenibile per l’azienda. Un’altra domanda che pone è quando un lavoratore è da intendersi povero. Se si prende il termine di 9 euro lordi all’ora secondo la proposta, la risposta è presto data: sotto quella quota. Ora il Cnel dovrebbe dire quanti sono in Italia i salariati sotto quota 9 euro e chi di essi dovrebbe essere portato a quota più alta. Ma c’è che in Italia in qualsiasi campo ci muoviamo c’è una realtà che non corrisponde alla legalità. Nel nostro caso, per una parte, quella dei lavoratori, è il sommerso; per un’altra, quella dei datori di lavoro, sono gli espedienti per aggirare la legge. Il problema, tuttavia, non può essere sottovalutato. Il salario minimo sarà pure uno slogan, ma ha una carica emotivo-rivendicazionistica straordinaria e può creare problemi alla stabilità di governo.

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