sabato 10 dicembre 2022

Quella parte di Italia che non ci sta

Il clima politico in Italia si sta imbarbarendo. Non siamo ai tempi del terrorismo, per intenderci, ma c’è chi dimostra di non sapere neppure che in Italia il terrorismo c’è stato e che potrebbe tornare. Magari senza rendersi conto della gravità di quello che dice. Come fa Giuseppe Conte, capo del M5S, che “paventa-minaccia” rivolte sociali e guerre civili se il governo dovesse abolire il reddito di cittadinanza, il pane elettorale della sua stessa nutrizione politica. Al seguito o accanto a Conte c’è una parte di Italia che sta mostrando un volto politico inedito, poco rassicurante per la convivenza civile. Un volto sapientemente nascosto quando era la parte vincente e le era facile ostentare tolleranza. È una certa sinistra che, proprio mentre l’altra parte, la destra, ritenuta da sempre poco o punto democratica, dimostra di aver superato la fase di adattamento e sta al governo come una qualsiasi altra forza politica, non gradisce l’evoluzione avvenuta. Non ci sta che i da sempre diseredati ora governino il Paese. Le ultime elezioni hanno rovesciato il rapporto ed hanno dato ragione a chi ha saputo aspettare il suo turno per settantasette anni. I nuovi perdenti, però, invece di ragionare sulle cause e sugli eventi che hanno determinato il ribaltamento, rispondono con astio e odio, stizziti e arrabbiati. Giornalisti, opinionisti e uomini di cultura, ospiti quasi fissi dei tanti talk show, diventano lividi, rischiano l’itterizia ogni volta che parlano della Meloni e del nuovo governo. Non ci sono santi, non riescono a digerire la vittoria della destra. Superfluo fare nomi, basta seguire la televisione. Essi, caduta l’accusa di fascismo, ormai non ci crede più nessuno, ora parlano di inadeguatezza della destra con altrettanta spocchiosa superiorità culturale. Poi ci sono i balordi dei socialmedia e dei centri sociali, che alla Meloni ne dicono di tutti i colori e c’è chi ne appende il fantoccio per i piedi, a monito di Piazzale Loreto. L’obiettivo è di ricreare nel Paese un clima di avversione e di intolleranza diffuso. Si tratta di episodi, di casi singoli, ma sono ormai tanti e tali che forse è opportuno parlare di fenomeno. Essi avvelenano il clima politico e sociale con le loro intemperanze, per ora solo verbali e dimostrative. Gli episodi di violenza nei confronti della Meloni non si contano più. Contro di lei sono mobilitate le sinistre, da quella più estrema dei centri sociali alle tante associazioni femministe, alla comunità Lgbt. Alcuni sindacalisti a Milano, per la Prima alla Scala, volevano che si impedisse a Giorgia Meloni l’ingresso. Nello stesso torno di tempo un cosiddetto leone della tastiera minacciava di ucciderla insieme alla figlia se gli avesse tolto il reddito di cittadinanza. Un balordo si dirà. Ma di balordi è piena la storia e sappiamo che quando entrano in funzione possono determinare cataclismi epocali. La miscela che maneggiano Giuseppe Conte e questa sorte di Lumpenproletariat è esplosiva. Si mischiano componenti micidiali: il risentimento sociale per paura di perdere uno pseudo diritto, quello di essere pagato senza lavorare, e l’ideologismo di chi ancora si sente erede della Resistenza e crea a bella posta un nemico da eliminare, che non può essere che il fascismo. E se pure sanno tutti che il fascismo non è un prodotto che si compra al banco, altro essi non trovano per giustificare il loro odio politico. È stato detto mille volte che il governo di Giorgia Meloni non vuole togliere il reddito di cittadinanza, ma vuole rivederlo in modo da garantire un reddito ancor più congruo a chi non può lavorare, per comprovata disabilità, e mettere in condizione gli altri, beneficiari abusivi, gli abili, di trovarsi un lavoro o di accettarlo se una qualche agenzia glielo trova. Cosa si risponde da chi potendo lavorare legittimamente preferisce il reddito di cittadinanza e lavorare in nero? Il darsi alla delinquenza, a rubare. Un vero ricatto criminale, che nelle sue varie declinazioni coinvolge non solo lo Stato, ma anche la Nazione e la Società. “Io – ha detto in televisione un tale – da quando percepisco il reddito di cittadinanza non rubo più. Se me lo tolgono, non mi resta che tornare a rubare”. Che è come dire: io voglio essere mantenuto se no provvedo rubando. Insomma, ci sono plaghe in Italia, specialmente nel Mezzogiorno, di gente che ripropone il dilemma: o assistito o ladro, che è un regresso perfino rispetto al precedente: o brigante o migrante. Che ci sia addirittura un partito politico che costruisce le sue fortune elettorali su simili formule sociali significa che la nostra democrazia, che si fonda oltre che sul lavoro anche sulla sicurezza, ha dei grossi problemi.

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