sabato 24 dicembre 2022

Meloni e il postfascismo

Gli oppositori di Giorgia Meloni intitolano il suo governo postfascista, con evidente intento denigratorio. Se con simile definizione si vuole significare la discendenza innegabile del partito della Meloni, Fratelli d’Italia, dal Msi, partito a sua volta dichiaratamente postfascista, con ciò volendo indicare anche una sorta di evoluzione del fascismo in epoca quando essere fascista è vietato dalla Costituzione, nulla quaestio. È così, non c’è da arrampicarsi sugli specchi per negarlo. Se invece si vuole accusare il governo Meloni di conservare concretamente in sé qualcosa della sua matrice fascista, allora il discorso cambia, perché di fascismo né il suo partito né il suo governo hanno nulla, non potendo avere nulla. Non solo e non tanto per effetto della Costituzione, ma per ragioni oggettive. È un governo come tanti che lo hanno preceduto, figlio di una crisi politica che dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi non ha trovato uno sbocco. I governi Monti (2011), Letta (2013), Renzi (2014), Gentiloni (2016), Conte (2018 e 2019), Draghi (2021) e infine Meloni (2022) sono tentativi di venir fuori dalla crisi politica iniziata con la caduta della partitocrazia, che aveva caratterizzato nel bene e nel male circa cinquant’anni di storia. Insistere nel definirlo postfascista fa più male agli oppositori che alla Meloni e al suo governo, che può dimostrare di essere un governo di destra, liberalconservatore. Gli oppositori, infatti, ad incominciare dal Pd, erede della tradizione democristiana e comunista, i due volti della democrazia italiana, dovrebbero allora certificare il proprio fallimento, avendo reso possibile un “fatto” contro cui si sono battuti per tutti i precedenti anni perché non si verificasse. Se consideriamo i connotati del fascismo storico, esso è presa del potere con la forza, conservazione del potere con la dittatura, ovvero con la forza e con l’inganno, crisi del potere e caduta con la catastrofe nazionale. Ora tutto questo nel governo della Meloni non c’è né in avvenire può esserci. Tutto si svolgerà come si è sempre svolto o come le leggi del momento impongono. Che ciò sia vero lo dimostrano alcuni dati. Primo, non è andato al potere con nessuna “marcia”, con nessuna violenza, con nessuna intimidazione, ma con regolari elezioni democratiche e non ha neppure celebrato il centenario della Marcia su Roma come cosa sua, della quale menare vanto. Di anormale, se così si può dire, c’è solo il fatto che si è votato entrando in autunno, in un periodo troppo vicino alla fine dell’anno, quando ci sono scadenze importanti come la legge finanziaria. Tutti i passaggi di questo governo sono stati dettati dalla fretta di chiudere gli adempimenti entro il 31 dicembre. Secondo, il governo Meloni è nato in Parlamento, opera regolarmente secondo tradizione parlamentare e cadrà quando in Parlamento non avrà una maggioranza a sostenerlo. Dunque: il governo Meloni è un governo democratico di destra e, volendolo proprio contestualizzare, è un altro tentativo, come si diceva, per uscire dalla crisi del potere politico in Italia. Il proposito di mettere in atto una riforma in senso presidenzialista, che è la sua ambizione più alta, è un obiettivo da raggiungere nella prospettiva della durata della legislatura. Si dirà: non è solamente questione di fascismo storico, c’è anche un aspetto politico. A questo punto, però, non basta enunciare bisogna dimostrare. In che cosa si teme possa essere in qualche modo fascista il governo della Meloni? Fino ad oggi ha solo detto e dimostrato con gli atti di voler intervenire sui bisogni impellenti del Paese, considerate anche le condizioni oggettive in Italia, in Europa e nel mondo. Con la legge finanziaria ha voluto rispettare i vincoli europei in materia di conti. Con le poche risorse a disposizione (35 miliardi) ha inteso privilegiare le categorie della produzione e del commercio, dopo i disastri provocati dal Covid, in ciò dimostrando il consueto volto della destra moderata. La riforma della giustizia del ministro Carlo Nordio, almeno per quel che fino ad oggi si sa, vuole riportare la giustizia nell’alveo delle garanzie di un moderno Stato di Diritto, con interventi profondi nelle carriere dei magistrati, nel Consiglio Superiore della Magistratura, nelle intercettazioni, nella certezza della pena, nel rapporto magistratura-politica. Nella scuola vuole accentuare l’importanza del merito, peraltro prevista dalla Costituzione. Nella società persegue un indirizzo che premia il bisogno e il merito, con la correzione del reddito di cittadinanza, che ha provocato non pochi danni al mondo del lavoro e creato guasti nella società. In politica estera ha ribadito la fedeltà al Patto Atlantico, ma anche sollecitato una maggiore intraprendenza dell’Europa. Francamente in tutto questo il fascismo, né ante né post, c’entra a niente. Semmai il contrario. Giorgia Meloni si è detta contraria a forme di governo dittatoriali ed è andata perfino a piangere nel Museo Ebraico per quello che gli ebrei hanno subito con le leggi razziali del fascismo e con la loro persecuzione nazifascista in tutta Europa. Si può dire che con questo governo la leader di Fratelli d’Italia abbia posto una pietra tombale su ogni retaggio fascista e perfino sul postfascismo più duro a morire.

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