sabato 26 novembre 2022

Meloni e prima: c'è un'altra democrazia

Due recenti episodi, rubricati dagli avversari politici come due errori del governo Meloni, hanno messo in luce due modi diversi di porsi di fronte ai problemi del Paese da parte di chi governa. Uno è il decreto rave party e l’altro è la respinzione della nave Ogn Ocean Viking battente bandiera norvegese con 234 migranti a bordo. Gli oppositori hanno detto che il decreto rave party, scritto male e perciò pericoloso per le libertà dei cittadini, era inutile dal momento che le migliaia di partecipanti avevano sgombrato l’area occupata con i buoni convincimenti della polizia senza che essa ricorresse alla forza. Quanto alla respinzione dell’Ocean Viking, finita poi al porto di Tolone in Francia, gli oppositori accusano il governo di aver provocato un incidente diplomatico col presidente francese Emmanuel Macron. Ma, chiediamoci: come avrebbe agito un governo per così dire prima di Meloni nelle due situazioni? In questi ultimi anni lo abbiamo visto: nel peggiore laissez faire, vuoi per stanchezza, vuoi per abitudine, vuoi per calcolo. Nel primo caso, facendo finta di non vedere. Non è una supposizione, è una constatazione, è sotto gli occhi di tutti il comportamento dell’ex ministro dell’Interno Lamorgese: primum non videre. Nel secondo caso, il governo avrebbe fatto sbarcare tutti i migranti, secondo routine. Questo modo di fare è tipico di tutti i governi che hanno preso l’abitudine a non considerare importanti le esigenze e le sensibilità dei cittadini: non vedere, non sentire, non agire. Aspettare, ché tanto prima o poi passerà. Il governo Meloni, col nuovo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, nel primo caso, rave party, è intervenuto tempestivamente, e già questo è stato un segnale di discontinuità rispetto a prima. E lo ha fatto con la determinazione che non prometteva cedimenti. Il messaggio è stato recepito e i partecipanti, capìta l’antifona, hanno sgombrato tranquillamente, dopo aver fatto perfino la pulizia dei luoghi. Il che non rendeva meno importante approvare un decreto legge per la specifica materia dei rave party, che ormai in Italia se ne fanno parecchi all’anno. Si tratta di eventi che creano non pochi problemi di ordine pubblico oltre ai danni che spesso producono ai privati, proprietari dello stabile o della zona interessati, che non vengono risarciti. La fretta di dimostrare il cambiamento, in genere cattiva consigliera, ha creato dei problemi di elaborazione e interpretazione del testo che si lasciava facilmente sospettare di illiberalità e di incostituzionalità. Il governo non ha avuto difficoltà a ravvedersi e a rimandare al dibattimento in aula ogni aggiustamento. Ma quel che conta è che il governo Meloni ha opposto al blando surfare dei precedenti governi un deciso intervento. Sul caso dell’Ocean Viking la polemica delle opposizioni è tornata a battere il tamburo della presunta inadeguatezza del nuovo governo, che, per inesperienza, avrebbe creato un incidente diplomatico col governo francese. Ma anche in questo caso ciò che balza all’attenzione di tutti, purché tutti vogliano vedere e sentire, è che respingendo la nave carica di migranti in gran parte irregolari, il governo ha imposto all’attenzione europea il fenomeno migratorio del Mediterraneo, che da anni scarica le sue conseguenze sull’Italia. Macron ha accusato l’Italia di disumanità e intanto mandava cinquecento gendarmi alla frontiera italiana di Ventimiglia, dove ogni giorno dalle forze di polizia francesi vengono respinti decine e decine di migranti. Il caso non poteva che porsi all’attenzione di tutta l’Europa, che perciò ha fissato un vertice per elaborare un piano comune. Anche in questo caso il governo ha dato un messaggio di discontinuità rispetto a prima quando tutto finiva per perdersi nel silenzio e nel lasciar fare. Ben lungi dal voler dire che il governo Meloni ha già risolto due problemi, peraltro non nuovi, si vuole semplicemente dire che ha dimostrato di tenere in considerazione la gente comune, la stessa che col voto ha fatto capire come la pensa su rave party e migrazione. Non è cosa nuova la decisionalità dei governi di destra. Spesso le democrazie, cosiddette buoniste, finiscono per scavare abissi di distanza dalla gente comune quando non vogliono o non sanno difenderne gli interessi, a volte anche spiccioli, relativi al malfunzionamento dei servizi e delle istituzioni. Forse sbaglia la classe dirigente ad appiattirsi troppo sui desiderata della gente comune, ma sicuramente – non forse – sbaglia ad adottare comportamenti o provvedimenti che vanno decisamente contro il suo pensiero, che a volte sembrano quasi sfidarlo, liquidandolo come populismo. Un governo, che voglia essere davvero democratico, di destra o di sinistra, nel senso che è frutto di libere elezioni, deve saper conciliare il compito di guida col soddisfacimento delle esigenze quotidiane degli elettori. Un popolo soddisfatto si lascia più facilmente guidare di un popolo indispettito.

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