sabato 27 agosto 2022

L'offensiva contro Giorgia Meloni

Non si era mai vista in Italia tanta mobilitazione in campagna elettorale contro un politico in lizza in settantasei anni di vita repubblicana, neppure ai tempi del Msi e di Giorgio Almirante, quanta se ne vede oggi contro Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. E dire che è donna e in quanto tale dovrebbe avere il sostegno delle femministe! Non si predica in Italia, un giorno sì e l’altro pure, che ci vogliono le donne nei posti di maggiore responsabilità? Non si voleva una donna alla Presidenza della Repubblica, prima che Mattarella venisse rieletto? Dispiace, ma questa donna oggi la destra ce l’ha, la sinistra no. La sinistra non è stata e non è capace, a parte qualche operazione di correttivo, come le due vicesegretarie del Pd, di dare spazio alle donne. Non sono solo i politici competitor, Letta Calenda Conte Di Maio Bonino Fratoianni, o i conduttori televisivi di certe reti che subdolamente fanno passare messaggi di astio e di velenosità contro Meloni e la destra, ma ora sono in campo anche cantanti e influencer, incuranti di probabili conseguenze come il ricevere fischi e non solo da parte di chi legittimamente potrebbe contestarli. Perché, quando si scende in campo, in campo trovi di tutto. Iniziò qualche giorno fa la cantante Giorgia, che, con termini poco eleganti, non dico femminili perché oggi le donne sono sboccate quanto e forse più degli uomini, disse che anche lei si chiamava Giorgia ma non rompeva i coglioni alla gente. Ha continuato Loredana Bertè, che ha intimato alla leader della destra di togliere la fiamma dal simbolo “e basta!”. Così di seguito, Fiorella Mannoia, che, in verità, era già nota per le sue esternazioni sinistrorse. E più recente è intervenuta la moglie del rapper Fedez, l’influencer Chiara Ferragni, che ha sollevato il problema dell’aborto, dicendo che se vince la destra in Italia per le donne sarà un problema abortire, come è dimostrato dalle regioni, il Molise e l’Umbria, dove governa la destra. Tesi, queste, fatte proprie dai media e dai social ed ampiamente diffuse. La Boldrini, ex terza carica dello Stato, vorrebbe che in Italia si potesse abortire con una semplice telefonata al proprio medico, come gli si può comunicare un raffreddore o un mal di stomaco. Manca ancora un mese al voto e la campagna elettorale si fa sempre più barbara. È bastato che la Meloni pubblicasse sui suoi social lo stupro subito da una donna ucraina, in Italia come profuga, da parte di un uomo di colore, in Italia richiedente asilo, perché fosse accusata come della più brutta delle nefandezze. E c’è stato chi ha ipotizzato addirittura la legge Severino se la Meloni fosse stata denunciata e condannata per aver violato la legge sulla privacy. È bastato che la leader della destra facesse tutto un discorso contro lo stato di disagio dei giovani per prevenire ed evitare devianze, inserendo maldestramente fra queste anche l’anoressia e la bulimia, perché fosse immediatamente accusata da Enrico Letta, leader del Pd, di aver offeso le donne anoressiche e bulimiche, costringendo la Meloni a fotografarsi con sua madre che è vistosamente obesa, per dimostrare quanto lei ce l’ha così poco con le persone che hanno questo problema. Si vive ogni giorno con l’ultimo cavillo per screditare la leader di FdI, una donna che ha un passato politico coerente e pulito. Hanno convenuto i suoi avversari di non attaccarla sul piano del vissuto “neofascista”, temendo che è controproducente, ma la tentazione di scivolare su questo è tanta che quando non possono farlo loro in Italia girano dal largo chiamando in soccorso giornali e politici stranieri. I quali esprimono delle perplessità sui trascorsi politici della Meloni e sulle sue capacità di presiedere in Italia un governo in uno dei momenti più difficili non solo per l’Italia ma per l’Europa e il mondo. Si è distinto in questo l’economista americano da anni in Italia Alan Friedman. Un punto su cui insistono gli avversari della Meloni è la posizione dell’Italia in Europa e nel Patto Atlantico, sapendo che essa ha già dato ampie garanzie della sua appartenenza al mondo occidentale in tutte le sue declinazioni politiche. Ma, evidentemente, Letta e compagni sanno che in politica basta lanciarla una menzogna e ripeterla un paio di volte perché questa incominci a farsi strada come una verità. Per cui lo schieramento avversario è amico di Putin e chi lo vota vuol dire che sta con l’autocrate russo, responsabile della guerra in Ucraina. Non è finita. Di qui al voto ne sentiremo ancora delle belle, perché in questo nostro Paese più che sulle proposte e sul confronto politico, ci si muove sullo scontro delle minchiate.

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