sabato 23 luglio 2022

Ora si vota, ma tutto è in alto mare

Caduto il governo Draghi, ci si interroga su chi lo ha fatto cadere. Ma mai come questa volta sono stati così evidenti i colpevoli. Il senatore Mario Monti, alla domanda specifica, ha risposto secco: la colpa è dei Cinque Stelle, che non votarono la fiducia al Decreto Aiuti, e dello stesso Mario Draghi, che non ha voluto fare un altro governo, un Draghi bis, senza i Cinque Stelle. Se era vero quanto si diceva, che il Paese era in un mare di guai – pandemia persistente, guerra in Ucraina, siccità, inflazione al 10%, scadenze del Pnrr, reputazione internazionale –, era da pazzi interrompere l’azione del governo. Di fronte alla sua caduta delle due l’una: o non erano vere le problematiche dette, ma queste sono innegabili, o chi poteva fare il governo e non lo ha fatto, nonostante ci fossero le condizioni per farlo, semplicemente ha voluto abbandonare la nave. Il senatore Monti ha ragione nell’individuare quali responsabili del governicidio i Cinque Stelle in primis e lo stesso Draghi. Va ribadito, infatti, che Draghi, quando andò da Mattarella a rassegnare le dimissioni, la fiducia l’aveva ricevuta, benché fuori della formula dell’unità nazionale a causa della defezione dei Cinque Stelle. Egli si dimise non per aver ricevuto un voto contrario dal Senato ma per la fine della formula sulla quale era nato il suo governo. Vero è che egli, posto di fronte ad una scelta: continuare con un governo nuovo, senza i Cinque Stelle, o recuperare il vecchio, coi Cinque Stelle dentro, ha scelto quest’ultima opzione pur sapendo che i Grillini non sarebbero stati disponibili, che è come dire: ha scelto di cadere, risparmiandosi questi ultimi otto mesi, di qui a marzo 2023, di turbolenze elettorali. Nella sua banalotta esemplificazione Berlusconi non ha sbagliato nel dire che Draghi ha colto la palla al balzo per uscirsene da una situazione che lo aveva stancato. È inutile insistere sulla non politicità di Draghi. Si sfondano porte aperte. La sua esperienza di governo deve essergli costata molto a livello di tensione nervosa, senza che ci fosse una prospettiva personale, dato che egli rifiuta di avventurarsi in esperienze politico-elettorali. Il suo obiettivo era il Quirinale. E forse lo è ancora. Fin dal principio tutte le componenti della maggioranza gli hanno creato tensioni. La Lega, con le sue insistenze contro i ministri Lamorgese e Speranza, oltre alla fomentazione no vax e l’ambiguità sulla guerra in Ucraina, fino al promesso viaggio a Mosca di Salvini. Il Pd ha fatto altrettanto con le sue proposte sui diritti, il decreto De Zan, lo jus scholae e la liberalizzazione della cannabis, provocazioni sapendo che dall’altra parte mai ci sarebbero state convergenze sulla loro accettazione. I Cinque Stelle, purtroppo per loro, sono stati travagliati con le loro difficoltà interne, espulsioni, abbandoni, scissioni, che hanno avuto inevitabili ricadute sul governo. Che Draghi perciò fosse stanco è ben comprensibile, in considerazione del fatto che per la sua storia e per il suo carattere, l’ex presidente della Bce è ben lungi dal ritrovarsi a suo agio in certi ambienti. I partiti del centrodestra, Lega e Forza Italia, oggi sono accusati di essere stati responsabili, dopo i Cinque Stelle, di aver affossato il governo Draghi, non votando al Senato la risoluzione Casini. In realtà essi sono stati ingenui a farsi trascinare in responsabilità che erano nell’ordine delle cose per come queste si erano svolte. Avrebbero potuto benissimo dare la fiducia a Draghi, come avevano fatto puntualmente prima, e raggiungere lo stesso l’obiettivo della sua caduta, se tanto Salvini e Berlusconi ritenevano fosse importante. Draghi, infatti, aveva detto, chiaro e tondo, che mai avrebbe fatto un governo diverso dalla formula di unità nazionale: “senza i Cinque Stelle non c’è governo”. Quando Casini ha proposto di votare la fiducia a Draghi il governo era già morto; dunque non era il caso di voltargli le spalle. “Parce sepulto!” dicevano i latini. Si capisce benissimo perché il Pd tenesse a recuperare nella maggioranza i Cinque Stelle. Il recupero era importante in funzione elettorale e nella prospettiva del “campo largo”. Dopo quanto hanno combinato Giuseppe Conte e compagni questa prospettiva si è dissolta. Enrico Letta lo ha detto chiaramente: niente accordi con chi ha fatto cadere il governo Draghi. Lo scenario politico-elettorale che oggi si presenta è estremamente complicato. Sembra che l’unica forza politica ad avvantaggiarsene sia Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, e per essa le altre componenti del centrodestra. Ma anche visto di qui lo scenario è poco rassicurante. Le tre componenti del centrodestra, infatti, più che un’alleanza politica sono un’alleanza elettorale, stanti le diversità dei tre leader, sia a livello caratteriale che politico. Non sono pochi e banali i problemi di politica interna e internazionale che li dividono.

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