sabato 16 luglio 2022

Draghi-Conte: la settimana dei non politici

In Italia non si sa mai se dire di un politico di essere scarsamente politico o addirittura non politico è un complimento o un’offesa. Molto dipende a chi lo dici. Detto a Mario Draghi è sicuramente un complimento perché mette in risalto la sua comprovata eccezionale bravura di economista e banchiere a livello mondiale. Detto a Giuseppe Conte è un’offesa in considerazione del fatto che dietro il politico non c’è nulla o quasi, un modesto avvocato e un altrettanto modesto professore universitario di diritto. Il modesto qui s’intende in relazione al livello, alto e altissimo, in cui Conte si cimenta. Diciamo che Conte se non fosse stato preso e messo a capo del governo dai Cinque Stelle senza neppure fargli fare un passaggio elettorale sarebbe rimasto un oscuro avvocato e professore universitario, anche se poi come capo del governo si è comportato, a detta di alcuni, abbastanza bene, tanto da diventare, stando ai sondaggi, uno dei più popolari politici italiani. La settimana 11-17 luglio di questo disgraziatissimo 2022 è stata dominata da questi due non perfettamente politici. Ha iniziato Draghi col dire che il suo governo senza i Cinque Stelle sarebbe caduto, venendo a mancare l’unità nazionale. Ha continuato Conte, sfilandosi dall’approvazione in Senato del Decreto Aiuti in favore di famiglie e aziende. Ergo, per coerenza Draghi ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Presidente Mattarella, il quale lo ha rimandato in Parlamento per vedere se il suo governo ha ancora una maggioranza. Mattarella sì che il suo mestiere di politico e di uomo delle istituzioni lo sa fare bene! Perché Draghi ha sbagliato ad evidenziare in maniera così categorica che senza i Cinque Stelle non ci sarebbe stato più il governo? Perché le sue affermazioni hanno offerto un assist formidabile all’altro scarsamente politico, Giuseppe Conte, il quale ha colto l’occasione per mettere in crisi il governo in cambio di uno spupazzamento di qualche giorno sui media. La sua scarsità politica è tanto più evidente quanto più è rimasto isolato nel contesto politico italiano mentre nel suo stesso partito altri dissentono e minacciano di uscirsene. Altri che sono personaggi abbastanza importanti del Movimento. Se dovessero uscirsene del partito rimarrebbe ben poco. Oltre a questo dato politico c’è da considerare il grave danno che è derivato al Paese anche in campo internazionale. L’Italia, grazie a Draghi, ha conquistato in quest’ultimo anno un’autorevolezza in campo internazionale da provocare ora giuste preoccupazioni in Europa e nell’Occidente tutto nel momento in cui è costretto a lasciare. La paventata assenza di Draghi in questo momento è fortemente sentita in tutte le sedi, nazionali e internazionali. Di qui le pressioni nei suoi confronti a resistere. Le ragioni politiche a dire il vero non mancano, manca il politico che le sappia usare; e purtroppo Draghi non è il politico che in questo momento le sa e le vuole usare. Un altro al suo posto le avrebbe già usate. La prima è che quello che fino ad un mese fa era il più grande partito italiano, il M5S dico, quello con la più ampia rappresentanza alla Camera e al Senato, oggi non esiste più se non in tronconi e tronchetti, gruppi e gruppetti, allo sbando e alla ricerca affannosa di trovare un punto di appiglio per non sprofondare completamente. Se il M5S si trova in queste condizioni la colpa non è certo del governo Draghi, ma delle proprie esperienze governative grilline. La seconda ragione, non meno importante della prima, è che numeri alla mano il governo Draghi gode ancora della fiducia in Parlamento. Si sente ancora l’eco delle parole del Presidente Mattarella: finché c’è una soluzione parlamentare occorre percorrerla. Lo stesso Conte lo sa bene, lui andava alla ricerca in maniera indecorosa, prima di rassegnarsi a dimettersi, di pochi voti pur di raggiungere i numeri sufficienti a far passare una fiducia raccattata e pur che fosse. Si dirà: ma Draghi non è Conte. Difficilmente l’ex presidente della Banca Centrale Europea farà marcia indietro. La settimana prossima sarà determinante per sapere se il Parlamento saprà compiere ancora un “miracolo” pur di non votare in autunno, per paura – questa ormai dura dall’estate 2019 – che vinca le elezioni il centrodestra, ovvero Giorgia Meloni, vero spauracchio per le “magnifiche sorti e progressive” della democrazia italiana e dell’Europa. Il mondo dei politici, quelli che politici lo sono davvero, sia di destra che di sinistra, si sta mettendo in moto; e non è detto che essi non riescano ancora una volta a portare la legislatura fino alla sua fine naturale. Nel frattempo saprà Dio a chi dare i guai.

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