Domenica, 15 marzo. Sono le
Idi, Cesare muore pugnalato ai piedi della statua di Pompeo, in casa di Pompeo.
Era il 44 a.C.,
2063 anni fa. Non aveva voluto sentire i consigli dell’indovino: guardati dalle
idi di marzo! C’è oggi nel mondo chi non vuole vedere il pericolo che corre la
Terra coi suoi stravolgimenti climatici. Il potere è avvertito, come Cesare!
L’umanità oggi muore sotto gli
attacchi del coronavirus, un nemico che non si vede. Così, viene di pensare in
piena crisi epidemica. Abbiamo cambiato tutti le nostre abitudini. Io ora il
caffè me lo devo preparare da solo alla moka. Non vado più al Caffè Italia, che
è chiuso, e neppure passo dall’edicola per prendermi il giornale, che arriva
tardi, e non mi va di aspettare; passo dopo. Scendere in piazza, però,
scendo; il giro rituale me lo faccio e all’occorrenza mi fermo alla farmacia di
Corso Vanini. Passo dal forno per il pane e torno, mi preparo il caffè e la
colazione; poi le solite cose di casa, preparo il camino per la sera, mi metto
al computer, mi guardo la posta elettronica, riprendo qualche scritto del
giorno precedente; da qualche giorno passo il tempo a questo diario.
Niente appuntamenti quotidiani
alla Caffetteria Max, niente sortite a Casarano per incontrarmi coi colleghi,
niente a Galatina per il giornale, non a Lecce per spedirlo. Ho l’impressione
che dovrò aspettare la scadenza del 25 marzo, quando cessano gli effetti del
decreto ministeriale del 4, per prendere e spedire questo numero di “Presenza”,
che giace già stampato da giovedì scorso. Mai “Presenza”, bell’e stampata, è
stata ferma per tanto tempo.
Stamattina al Cimitero non c’era
nessuno, un deserto. Perfino il fioraio se n’è rimasto a casa. Attaccato
all’ingresso un cartello con le disposizioni della ditta appaltatrice dei servizi
cimiteriali secondo le determinazioni del ministero contro il coronavirus.
In macchina sentivo dal giornale radio
che la Germania ha stanziato 550 miliardi per fare fronte alla crisi; e ha
avuto finora solo poche vittime! Noi, 25 miliardi; e siamo quasi a 1500
decessi. O la Germania mente sul numero dei contagiati e dei morti o noi siamo
degli accattoni.
Tra i tanti eventi annullati per
il coronavirus c’è il Campionato Europeo di Poetry
Slam, che si sarebbe dovuto tenere dal 19 al 21 marzo, con 30 poeti, 15 dj
e 20 performer da tutto il mondo. Il 21 marzo ricorre l’annuale Giornata
Mondiale della Poesia. Leggo in proposito su “La Lettura”, domenicale del
“Corriere della Sera”, un commento di Simone Savogin, che è un poetry slammer, il quale invita a
risarcirsi mettendo versi negli smartphone. La conclusione è da riportare: “Come ci riversiamo in supermercati
iperaffollati, noncuranti degli ammonimenti dello Stato, per sfamare il nostro
corpo e dando sfogo alla paura di morire di stenti, speriamo che presto ci si
accorga un po’ tutti che per il bene comune, che è l’unica cosa che conta, il
cibo della mente è altrettanto importante, se non di più, perché ci permette di
farci forza, di dare forza ai medici che ci stanno salvando, di riempire questa
società di bellezza e poesia”.
M’intriga anche questa cosa della
poetry slam, cioè gara di poesia, di
cui non sapevo; ero rimasto alle tenzoni
poetiche del Due-Trecento con Cecco Angiolieri, Dante e Forese Donati e ai
poeti improvvisatori della fine dell’Ottocento, alla Giannina Milli, che fu
amica di Cesira Pozzolini moglie del filosofo pedagogista di Galatina Pietro
Siciliani.
Marco Tarchi da Firenze
invia opinioni “eretiche” sul coronavirus. Mi è appena giunta la mail in cui è
espresso il pensiero del Prof. Gilbert Deray dell’Ospedale Pitié-Salpêtrière di
Parigi. Che io mi soffermi su queste posizioni contrarie al pensiero comune non
significa che le condivida in toto, ma che in una situazione di gravissima
crisi e di tante incertezze, ritengo che esse costituiscano comunque materia su
cui riflettere. La testimonianza è in francese, la traduco in italiano.
“In 30 anni, dal mio osservatorio ospedaliero, ho visto numerose crisi
sanitarie: HIV, SARS, MERS, risorgenze della tubercolosi, batteri multiresistenti.
Le abbiamo gestite nella calma e molto efficacemente. Nessuna ha dato luogo al
panico attuale. Non ho mai visto un tale livello di preoccupazione per una
malattia infettiva né per nessun’altra. Pertanto, io non sono preoccupato per
le conseguenze mediche del coronavirus. Niente nelle cifre attuali sulla
mortalità e la diffusione del virus giustifica il panico mondiale sanitario e
soprattutto economico. Le misure prese sono idonee ed efficaci e permetteranno
il controllo dell’epidemia. E’ già accaduto in Cina, focolaio iniziale e di
gran lunga il più importante di questo agente infettivo, dove l’epidemia si sta
estinguendo.
Il futuro prossimo dirà se mi sono sbagliato.
Sono preoccupato per la sparizione di maschere; non vorrei che quelle
necessarie alla protezione del personale medico e delle persone a rischio, i
nostri anziani e i già malati, in particolare i pazienti immunodepressi,
vengano distribuite negli aeroporti, nei bar e nei centri commerciali, per
nessuna utilità.
Sono preoccupato per la sparizione dei prodotti disinfettanti.
Sono preoccupato per la ressa ad acquistare carta igienica e scatole di
riso e pasta.
Sono preoccupato per questo terrore che spinge a fare scorte oscene di
beni alimentari in paesi dove il cibo è disponibile già in un’abbondanza
oscena.
Sono preoccupato per i nostri anziani già soli e che non bisogna né
vedere né toccare per paura di ucciderli. Essi moriranno prima, ma «solamente»
di solitudine. Noi avevamo l’abitudine di non fare visita ai nostri genitori e
ai nostri nonni se avevamo l’influenza, non per evitarli e per una durata
illimitata, cosa questa assai diversa dal coronavirus.
Sono preoccupato che la nostra salute non diventi oggetto di
comunicazione ostile e di scontri qualsiasi quando invece dovrebbe essere ragione
fondamentale di confronto nelle riunioni.
Sono preoccupato che il nostro sistema sanitario, già in grande
difficoltà, non vada fuori controllo per l’afflusso di malati ricoverati al
minimo sintomo influenzale. Ci sarebbero allora tutte le altre malattie di cui
non potremmo farci carico. Un infarto del miocardio, un’appendicite, queste
sono delle urgenze sempre, il virus lo è raramente.
La copertura mediatica sul coronavirus è molto ansiogena e contribuisce
allo smarrimento di ciascuno. Porta alla teoria del complotto, alle più assurde
del genere: «ci nascondono qualcosa». Niente ci è oscuro, è impossibile nella
medicina del numerico, dove la conoscenza scientifica è immediata e senza
filtri.
Il coronavirus non uccide (quasi) che gli organismi già fragili. Sono
preoccupato che questo minuscolo essere vivente non metta a nudo le fratture e
le fragilità della nostra società. I morti che si conteranno allora a milioni
saranno quelli dello scontro di individui nell’indifferenza totale dell’intera
collettività”.
Uno scenario davvero apocalittico
nel finale! Ma è vero che in Italia, per far posto ai malati da coronavirus,
bisognosi di terapia intensiva, si stanno riducendo pericolosamente i posti per
altri malati non meno gravi e bisognosi di cure più urgenti.
Questa sera in piazza c’erano più
cani che cristiani. L’edicola era già chiusa alle 18,00. Tra corso Umberto I e
via Roma c’era una volante della Polizia e tre persone. Poi via, sono rimasti
tre cani che giravano senza una meta. Uno mi ha ringhiato. Mi ha convinto più
del vigile milite volontario ecc. ecc.. Me ne sono tornato a casa.