Qualche settimana prima delle
elezioni del 4 marzo non c’era benpensante del nostro gotha
intellettual-politico disposto a dare un minimo di credito a Luigi Di Maio.
Perfino Eugenio Scalfari disse in una puntata di Floris che gli avrebbe
preferito Berlusconi. Oggi tutti corrono in “soccorso” di Di Maio. Due pezzi da
novanta della politologia di sinistra, ospiti della Gruber su “La 7”, Cacciari e Pasquino,
smaniano dal vedere il Pd mettersi d’accordo coi Cinquestelle. Non lo fanno per
amore nei confronti dei Cinquestelle ma per odio alla destra.
I politologi hanno uno strano
privilegio, quello di non dover mai rispondere delle loro geniali intuizioni,
che a volte si risolvono in colossali minchiate. Gli crescesse almeno il naso
come a Pinocchio per le bugie o le orecchie d’asino come al re Mida! Al
contrario dei politici, i quali se sbagliano pagano di persona.
La situazione postelettorale è
oggettivamente difficile. I Cinquestelle, che hanno vinto le elezioni ben oltre
il dato quantitativo dei voti, perché interpretano un’aspirazione, si trovano
in un momento cruciale della loro brevissima storia. Avendo predicato al mondo
di essere i soli puri e bravi del panorama politico italiano e che loro non si
sarebbero mai messi con gli altri, in quanto, questi, responsabili del disastro
nazionale, oggi, non avendo i numeri per governare da soli, sono obbligati a
“sporcarsi” con gli altri; in alternativa tornare al voto, magari con una legge
elettorale che preveda un premio di maggioranza.
Obiezioni. Prima, come
prenderebbe l’elettorato la loro incapacità politica di risolvere una
situazione financo da una posizione di forza? Seconda, veramente i Cinquestelle
vogliono governare da soli? E se dovessero fallire, non potendo soddisfare le
attese dell’elettorato per ragioni anche importanti e oggettive? Non sarebbe
forse il caso di avere un alleato sul quale scaricare i temuti fallimenti? I
Cinquestelle si travagliano con questi interrogativi.
Mettiamo che decidano di
“sporcarsi”. Con chi? Coi meno sporchi verrebbe di dire. Allora, niente Forza
Italia e Berlusconi, neppure da incontrare per una stretta di mano. Sì alla
Lega di Salvini, che però, in quanto tale, ossia fuori dall’alleanza di
centrodestra, sarebbe indebolita e costretta a subire le scelte dell’alleato
più forte. Sarebbe disposta? È improbabile.
L’ipotesi di un accordo dei
Cinquestelle col Pd, ritenuto ormai sulla china della sparizione, non è voluto
da una larga parte di questo partito. E si capisce perché. Sarebbe una resa
incondizionata; una punizione troppo forte per chi pure se la fosse meritata.
Lo stesso Renzi dovrebbe rinunciare a qualsiasi ipotesi di ritorno a Palazzo
Chigi. E poi, con quali prospettive per i Cinquestelle e con quali per il Pd?
No, è un progetto, questo, che non trova fattibilità. Un partito che ha ancora
il 18 % dei voti ha ancora il dovere quanto meno della dignità.
Viene di considerare quanto si è
sempre detto sul Movimento di Grillo, per quanto oggi cerchi disperatamente di
trasformarsi in un partito normale. Disperatamente perché il suo elettorato non
è d’accordo. Lo ha dimostrato coi mugugni e con le critiche per quanto accaduto
con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Niente accordi con
Berlusconi, ma intanto hanno votato per eleggere alla seconda carica dello
Stato una, l’Alberti Casellati, che è considerata una sua pasdaran, da lui
imposta.
I nodi stanno venendo al pettine.
Si è sempre detto ed oggi trova conferma che il Movimento 5 Stelle
difficilmente può governare perché le stesse ragioni per le quali ha vinto gli
impediscono di farlo. Ricorda l’Albatros ferito di Baudelaire, meraviglioso in
cielo mentre vola per conto suo, come natura gli consente, ridicolo e
impacciato sulla tolda della nave dove quelle stesse imponenti ali ora gli
impediscono perfino di camminare.
Di qui la ragione principale di
chi spinge il Pd ad appoggiare dall’esterno un monocolore Cinquestelle: è
l’assoluta necessità di vedere di che sono capaci questi “marziani”. Il Pd
dovrebbe, a questo punto, sacrificarsi e consentire ai Cinquestelle o di
dimostrare che sanno fare le cose che gli altri non sono riusciti a fare o
bruciarsi fallendo. Molti pensano – se addirittura non sperano – la seconda.