Chi ha seguito per circa tre ore la
maratona del confronto televisivo Renzi-Zagrebelsky su “La Sette”, la sera di
venerdì, 30 settembre, sulla riforma costituzionale, su cui il popolo italiano
il 4 dicembre si dovrà pronunciare in referendum, ha avuto la possibilità di
rendersi conto senza ombra di dubbio di come effettivamente stanno le cose.
Condotto da Enrico Mentana, che si rivela sempre meno adeguato a simili
dibattiti, il confronto si è risolto in una sonora sconfitta per il fronte del SI e in un ko personale tremendo per Renzi. Il quale ha fatto la fine di Icaro, avvicinandosi troppo al sole della cultura giuridica è precipitato con le penne liquefatte. Ai serrati, puntuali ragionamenti del Professore, ex
presidente della Corte Costituzionale, Renzi dapprincipio ha opposto slogan su
argomenti diversi da quelli esposti dal suo interlocutore, come a voler
cambiare discorso, e poi via via ha offerto uno spettacolo da ragazzo svogliato
che non vuole seguire le lezioni: irritazione, impazienza, stanchezza, sguardi
rivolti altrove, smorfie, gesti defatiganti. Mentana è stato perfino scorretto
nel far iniziare il confronto da Renzi e nel farglielo concludere; ma è stato
inutile.
Zagrebelsky, contrario alla
riforma renziana, sostiene il ed convinto che dopo si potrà fare una
riforma migliore. Colto e sicuro di sé, egli non ha avuto nessuna difficoltà ad
ammettere che qualche cosa buona nel progetto renziano c’è; per esempio, il
ridimensionamento delle competenze delle regioni, che in tutti questi anni
hanno speso male fiumi di soldi, non sono state capaci per difetto di
progettualità di spendere fondi europei, perdendoli in favore di altri Paesi, ed
hanno impedito la realizzazione di opere importanti con le loro lungaggini e i
loro veti. Per dire, che quando si fa un confronto serio si può riconoscere
all’avversario anche le sue ragioni, senza per questo tradire la propria causa.
Sui grandi problemi posti dalla
riforma il buio di chi l’ha fatta e voluta è totale. Renzi non ha voluto
rispondere su alcune fondamentali obiezioni di carattere tecnico. La sua
risposta è stata sempre elusiva, sommaria, generica, infastidito dall’invito
del professore di guardare alla riforma nella sua essenza e nella sua
collocazione nel tempo invece di vederla nell’immediato.
Che cosa potrebbe accadere con
questa riforma, che si lega indissolubilmente alla legge elettorale
dell’”Italicum” – gli ha chiesto Zagrebelsky – se, invece di Renzi, capo del
governo diventa una persona meno sensibile alla democrazia? Dall’altra parte
risposte di una pochezza intellettuale preoccupante: noi l’abbiamo fatta, gli
altri in trent’anni non sono riusciti; non c’è un solo articolo che modifichi
le prerogative del capo di governo; è del tutto inventata la preoccupazione di
una deriva autoritaria e via di questo passo. E hai voglia a fargli capire che
c’è una questione di cultura politica sul modo di intendere la democrazia!
Renzi si è rivelato del tutto incapace di tenersi in piedi su un terreno
diverso da quello del suo quotidiano.
E ancora: come può un Senato
composto da sindaci e consiglieri regionali, con tutto il carico di lavoro che
questo comporta per loro, svolgere una mole enorme di compiti che la riforma
gli attribuisce? Zagrebelsky ha cercato di fargli capire che non è
materialmente possibile. Renzi ha risposto senza “rispondere”: ma se funziona
in Francia e in Germania, perché non può funzionare da noi? Controreplica di
Zagrebelsky: perché in quei Paesi le cose stanno diversamente. E Renzi?
Imperterrito a dire che, siccome in Francia e in Germania funziona, funzionerà
anche da noi. Come diceva Totò: a prescindere.
Non c’è stato nessun vero confronto
sugli articoli 57, 70 e 117, che sono tra i più dibattuti, perché, benché
pressato da Zagrebelsky con puntuali e serrati ragionamenti, Renzi ha fatto
come Ettore inseguito da Achille intorno alle mura di Troia: scappava. Ha
scantonato, ha tentato più volte i soliti slogan, appena appena frenati dalla
consapevolezza di avere di fronte non un altro politico, su cui comodamente
rovesciare colpe e incoerenze, ma un professore che sosteneva le ragioni senza
avere nessun interesse di parte.
Zagrebelsky ha ribadito due
concetti fondamentali. Il primo è che occorre una costituzione che garantisca
certe libertà politiche indipendentemente da chi c’è al governo. Le libertà non
sono graziose concessioni soggettive, ma garanzie oggettive. Il secondo è che
ogni costituzione è come un abito che non può non tenere conto di chi lo
indossa. Ha fatto un esempio efficacissimo: l’abito più perfetto indossato da
persona con difetti fisici finisce per assumere le forme della persona. Di qui
l’importanza di intervenire a sanare i difetti, in questo caso, della società
italiana.
E’ apparso, però, con grande
evidenza un contrasto che io credo insanabile tra un modo di far politica in
maniera spiccia, come vorrebbe Renzi, anche per stare alle esigenze dei tempi e
delle situazioni odierne (Europa, globalizzazione, crisi internazionali), e un
modo di intendere la politica come continuo confronto, dibattito, lavorìo, nel
rispetto di tutte le parti in causa; modo di far politica che, a dire il vero, è
lento e oggi confligge con la rapidità dei tempi. Insomma, una riedizione
dell’eterno paragone tra la cicala e la formica.
Credo che su questo terreno si
giochi non solo la riforma costituzionale ma la politica in genere nella sua
dinamicità. Questa riforma, tuttavia, a dire di Zagrebelsky e dei sostenitori
del , non velocizza la decisione, ma addirittura la complica, v. art.
70 sui rapporti tra le due camere su alcune questioni di comune competenza.
Essa, però, concentra più potere nelle mani del presidente del consiglio. E se
pure non c’è un solo articolo che preveda per lui maggiori poteri, per il
combinato disposto legge elettorale-riforma costituzionale, possono verificarsi
casi in cui piccole maggioranze decidano cose importantissime. Renzi, per
esempio, è convinto che con la riforma s’innalza il quorum per eleggere il Presidente
della Repubblica; ma Zagrebelsky ha cercato di fargli capire che c’è differenza
tra due terzi di componenti e due terzi di presenti. Niente! Renzi o non capisce
o fa finta di non capire.
Un’ultima annotazione: i giornali
il giorno dopo si son ben guardati dal dire che Renzi le ha prese di santa
ragione da Zagrebelsky. E si capisce perché: sono tutti dei leccaculo.
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