domenica 2 ottobre 2016

Nessuno dice che Renzi le ha buscate


Chi ha seguito per circa tre ore la maratona del confronto televisivo Renzi-Zagrebelsky su “La Sette”, la sera di venerdì, 30 settembre, sulla riforma costituzionale, su cui il popolo italiano il 4 dicembre si dovrà pronunciare in referendum, ha avuto la possibilità di rendersi conto senza ombra di dubbio di come effettivamente stanno le cose. Condotto da Enrico Mentana, che si rivela sempre meno adeguato a simili dibattiti, il confronto si è risolto in una sonora sconfitta per il fronte del SI e in un ko personale tremendo per Renzi. Il quale ha fatto la fine di Icaro, avvicinandosi troppo al sole della cultura giuridica è precipitato con le penne liquefatte. Ai serrati, puntuali ragionamenti del Professore, ex presidente della Corte Costituzionale, Renzi dapprincipio ha opposto slogan su argomenti diversi da quelli esposti dal suo interlocutore, come a voler cambiare discorso, e poi via via ha offerto uno spettacolo da ragazzo svogliato che non vuole seguire le lezioni: irritazione, impazienza, stanchezza, sguardi rivolti altrove, smorfie, gesti defatiganti. Mentana è stato perfino scorretto nel far iniziare il confronto da Renzi e nel farglielo concludere; ma è stato inutile.
Zagrebelsky, contrario alla riforma renziana, sostiene il ed convinto che dopo si potrà fare una riforma migliore. Colto e sicuro di sé, egli non ha avuto nessuna difficoltà ad ammettere che qualche cosa buona nel progetto renziano c’è; per esempio, il ridimensionamento delle competenze delle regioni, che in tutti questi anni hanno speso male fiumi di soldi, non sono state capaci per difetto di progettualità di spendere fondi europei, perdendoli in favore di altri Paesi, ed hanno impedito la realizzazione di opere importanti con le loro lungaggini e i loro veti. Per dire, che quando si fa un confronto serio si può riconoscere all’avversario anche le sue ragioni, senza per questo tradire la propria causa.
Sui grandi problemi posti dalla riforma il buio di chi l’ha fatta e voluta è totale. Renzi non ha voluto rispondere su alcune fondamentali obiezioni di carattere tecnico. La sua risposta è stata sempre elusiva, sommaria, generica, infastidito dall’invito del professore di guardare alla riforma nella sua essenza e nella sua collocazione nel tempo invece di vederla nell’immediato.
Che cosa potrebbe accadere con questa riforma, che si lega indissolubilmente alla legge elettorale dell’”Italicum” – gli ha chiesto Zagrebelsky – se, invece di Renzi, capo del governo diventa una persona meno sensibile alla democrazia? Dall’altra parte risposte di una pochezza intellettuale preoccupante: noi l’abbiamo fatta, gli altri in trent’anni non sono riusciti; non c’è un solo articolo che modifichi le prerogative del capo di governo; è del tutto inventata la preoccupazione di una deriva autoritaria e via di questo passo. E hai voglia a fargli capire che c’è una questione di cultura politica sul modo di intendere la democrazia! Renzi si è rivelato del tutto incapace di tenersi in piedi su un terreno diverso da quello del suo quotidiano.
E ancora: come può un Senato composto da sindaci e consiglieri regionali, con tutto il carico di lavoro che questo comporta per loro, svolgere una mole enorme di compiti che la riforma gli attribuisce? Zagrebelsky ha cercato di fargli capire che non è materialmente possibile. Renzi ha risposto senza “rispondere”: ma se funziona in Francia e in Germania, perché non può funzionare da noi? Controreplica di Zagrebelsky: perché in quei Paesi le cose stanno diversamente. E Renzi? Imperterrito a dire che, siccome in Francia e in Germania funziona, funzionerà anche da noi. Come diceva Totò: a prescindere.
Non c’è stato nessun vero confronto sugli articoli 57, 70 e 117, che sono tra i più dibattuti, perché, benché pressato da Zagrebelsky con puntuali e serrati ragionamenti, Renzi ha fatto come Ettore inseguito da Achille intorno alle mura di Troia: scappava. Ha scantonato, ha tentato più volte i soliti slogan, appena appena frenati dalla consapevolezza di avere di fronte non un altro politico, su cui comodamente rovesciare colpe e incoerenze, ma un professore che sosteneva le ragioni senza avere nessun interesse di parte.
Zagrebelsky ha ribadito due concetti fondamentali. Il primo è che occorre una costituzione che garantisca certe libertà politiche indipendentemente da chi c’è al governo. Le libertà non sono graziose concessioni soggettive, ma garanzie oggettive. Il secondo è che ogni costituzione è come un abito che non può non tenere conto di chi lo indossa. Ha fatto un esempio efficacissimo: l’abito più perfetto indossato da persona con difetti fisici finisce per assumere le forme della persona. Di qui l’importanza di intervenire a sanare i difetti, in questo caso, della società italiana.
E’ apparso, però, con grande evidenza un contrasto che io credo insanabile tra un modo di far politica in maniera spiccia, come vorrebbe Renzi, anche per stare alle esigenze dei tempi e delle situazioni odierne (Europa, globalizzazione, crisi internazionali), e un modo di intendere la politica come continuo confronto, dibattito, lavorìo, nel rispetto di tutte le parti in causa; modo di far politica che, a dire il vero, è lento e oggi confligge con la rapidità dei tempi. Insomma, una riedizione dell’eterno paragone tra la cicala e la formica.
Credo che su questo terreno si giochi non solo la riforma costituzionale ma la politica in genere nella sua dinamicità. Questa riforma, tuttavia, a dire di Zagrebelsky e dei sostenitori del , non velocizza la decisione, ma addirittura la complica, v. art. 70 sui rapporti tra le due camere su alcune questioni di comune competenza. Essa, però, concentra più potere nelle mani del presidente del consiglio. E se pure non c’è un solo articolo che preveda per lui maggiori poteri, per il combinato disposto legge elettorale-riforma costituzionale, possono verificarsi casi in cui piccole maggioranze decidano cose importantissime. Renzi, per esempio, è convinto che con la riforma s’innalza il quorum per eleggere il Presidente della Repubblica; ma Zagrebelsky ha cercato di fargli capire che c’è differenza tra due terzi di componenti e due terzi di presenti. Niente! Renzi o non capisce o fa finta di non capire.

Un’ultima annotazione: i giornali il giorno dopo si son ben guardati dal dire che Renzi le ha prese di santa ragione da Zagrebelsky. E si capisce perché: sono tutti dei leccaculo.    

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