Sono del parere che un testo
approvato da un organo politico non possa essere revisionato che dallo stesso
organo politico. Mi spiego: se la Costituzione della Repubblica Italiana è
stata elaborata e approvata dall’Assemblea Costituente eletta ad hoc, la sua revisione dovrebbe
avvenire per mano dello stesso organo, appositamente eletto. Questo non è stato
possibile. Ogni tentativo fatto negli anni passati (le famose bicamerali) è
miseramente fallito. Troppi interessi immediati rendevano complicato il
raggiungimento di un esito super partes
e super tempora, come la Costituzione
richiede. La revisione di forza, fatta dal governo Berlusconi, trovò
l’opposizione preconcetta e violenta da parte dell’universo mondo
antiberlusconiano, culminata col referendum abrogativo del giugno 2006. Ce le ricordiamo tutte le laiche rappresentazioni sulla Costituzione “più bella del
mondo”, che non si tocca! Il ricatto di ieri da parte degli avversari di non partecipare alla discussione e alla
votazione in aula per delegittimare la riforma è lo stesso ricatto degli
antirenziani di oggi, che non hanno voluto né discutere né partecipare al voto.
In Italia è così: basta il pan per focaccia!
A parti rovesciate e con
argomentazioni scambiate la revisione l’ha fatta il governo Renzi. Ma, a
differenza dell’ira nazionale, che si abbattè con successo su Berlusconi e
sulle sue cose, contro Renzi non ci sarà nessuna crociata. Ci sarà la nota opposizione
arlecchinesca, che va da qualche veterocomunista a qualche suonato reduce della
destra, oltre ai grillini, che, povere anime vaganti, si masturbano con le loro non verificate differenze. A ottobre perciò sarà l’ennesimo trionfo di Renzi. Non ci vuole
molto a capirlo: nessuno dei circa mille parlamentari odierni vuole mettere a
rischio il proprio seggio; ognuno strapperà la durata fino al 2018 unguibus et rostris. Il problema
riguarda i cittadini normali, che, sia pure a fatica, intendono liberarsi da
appartenenze, ormai improbabili, e ragionare sulle cose.
Nello specifico, chi è di destra,
identitaria o sociale che sia, la deve votare o no questa riforma? Ecco, questo – direbbe Shakespeare – è il dilemma.
Alcuni punti fondamentali di
questa riforma sono stati temi costanti di tutte le parti politiche, di destra,
di centro e di sinistra. Sveltire le procedure di legge attraverso l’eliminazione
del bicameralismo, rafforzare l’esecutivo per rispondere ad esigenze politiche
diverse su urgenza europea, ridurre i costi della politica non c’è chi da
trent’anni non li predichi e non li faccia suoi come propositi politici da
concretizzare.
Siccome qui si ragiona da un
punto di vista di destra, giova qualche ricordo. Uno dei primi, se non il primo
in senso assoluto a parlare di riforma della Repubblica fu Giorgio Almirante
nei primi anni Ottanta e da questa sua proposta gli derivò, dopo anni di ostruzionismo,
qualche riconoscimento. Almirante proponeva una repubblica di tipo
presidenziale, con maggiori poteri al presidente, che fosse eletto direttamente
dal popolo e avesse più potere decisionale. Sintetizzo per necessità
scrittoria. Qualcosa di una simile repubblica – i tempi da quando certe cose le
diceva Almirante sono cambiati – c’erano
nella riforma del governo Berlusconi, poi bocciata dal referendum, e ci sono
nella riforma di Renzi, che si appresta ad affrontare il giudizio popolare.
Se non fosse perché siamo in
Italia tutti dovremmo essere d’accordo, perché in fondo chi più e chi meno
certe cose tutti abbiamo sempre detto di volerle e di condividerle. Ma siamo in
Italia e, come diceva il buon Machiavelli, si fa quel che conviene fare hic et nunc. Tra volpi e leoni occorre
essere volpe e leone, ovvero tra italiani occorre essere italiano. Se fai
l’austriaco o lo svedese, sei fottuto.
E, allora, ci si chiede: a chi
giova una simile riforma? La risposta è immediata: giova a Renzi. Il quale,
forte anche di una legge elettorale, l’Italicum, tra premio di maggioranza e liste parzialmente bloccate, si assicura il
potere per almeno altri dieci-venti anni.
Se questo è un bene o è un male
per l’Italia neppure se lo chiedono gli italiani. Temono che il combinato
disposto “riforma-Italicum” congeli la democrazia, la riduca ad un mortificante
gioco paroliero. Un po’ come accadde nella Roma dei Cesari, quando l’oratoria,
ovvero il confronto politico, non era più quella dei tempi repubblicani, viva e
nutrita di temi ed interessi vivi e vivificanti, ma pura finzione accademica,
una sorta di recitazione.
Preoccupazione fondata, a dire il
vero. I meglio disposti, tra i sostenitori della riforma – e tra questi non ci
sono davvero Renzi e i renziani – riconoscono che la riforma poteva essere
diversa, migliore, ma qualsiasi legge – dicono – va declinata con le
circostanze reali. Una diversa forma di revisione della Carta costituzionale
non è stata possibile, non sarebbe possibile. La realtà è sotto gli occhi di tutti
e nessuno ha il pudore di usare argomenti da cristiano. Renzi usa toni e
argomenti da Menenio Agrippa, convinto di rivolgersi a dei bifolchi, e di
rimando contro di lui – si rifletta su quello che dice Brunetta – si rovesciano
stupidate del tipo: bisogna votare contro per mandare a casa Renzi.
Di qui a ottobre saranno mesi di
chiacchiere e di insulti, mentre nessuno si preoccupa di stampare il testo della riforma e
volgarizzato con semplici spiegazioni per i cittadini elettori. Non sarebbe la
soluzione di tutti i problemi, ma almeno si tenterebbe di coinvolgere i
cittadini e di metterli nelle condizioni di farsi un’idea. Cosa ben lontana che
immaginano i capi di stato maggiore delle truppe politiche, che al momento
opportuno proclameranno la mobilitazione generale. E, fucile in spalla, chi ha capito ha capito!