mercoledì 13 gennaio 2016

Quarto, lo "scoglio" fatale del Movimento


Ma chi li ha consigliati i tre esponenti, Di Maio, Di Battista e Fico, i più autorevoli, a quanto pare, dopo i guru Grillo-Casaleggio, del Movimento 5 Stelle? Mi riferisco alla loro apparizione in Tv, uno accanto all’altro, come le tre famose scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Mi pare che stessero pure stretti in quella specie di panchina da marciapiede ferroviario. Sembravano legati come in una cordata di montagna, come a dire il nostro destino è comune: se ha visto uno, hanno visto gli altri; se tace uno, tacciono gli altri; se ha sentito uno, hanno sentito gli altri. In poche parole, se cade uno cadono gli altri.
Siamo all’abc della politica, quella che fa diventare gigantesco il guappetto di Firenze. I tre sostenevano di non aver mai saputo niente dell’affare di Quarto, il comune del Napoletano, amministrato da una di loro, Rosa Capuozzo, balzata agli onori delle cronache nazionali per presunte infiltrazioni camorristiche nella sua elezione a sindaco; prima difesa dal Movimento e poi espulsa perché disobbediente.
Vere o non vere le infiltrazioni, veri o non veri i tentativi – ma questi ultimi sono assolutamente verosimili in terra di camorra – sulla vicenda ci sono da dire alcune cose.
La prima è che nelle regioni dove è diffusa la mafia o la camorra le elezioni sono sempre condizionate. E non solo le elezioni, ma qualsiasi attività, anche imprenditoriale, commerciale, professionale, impiegatizia. Non prendiamoci per fessi! Se io entro in un qualsiasi bar so che ci può essere un mafioso che mi offre il caffè. E io, che faccio? Gli dico: no, da te non l’accetto, oppure m’invento una scusa? L’accetto e il giorno dopo sono io a offrirlo a lui; ci sono leggi di elementare urbanità assolutamente inderogabili. Via, chi parla del Sud senza conoscerlo, venga per un corso accelerato. Dove c’è la mafia – e nel Sud, altro se c’è! – tutto viene inquinato e chi si oppone è finito, perfino materialmente. I mafiosi votano e fanno votare, come accade in ogni democrazia. Ho detto delle ovvietà, delle quali mi vergogno, tanto sono risapute in Italia e nel mondo.
La seconda è che una vicenda così scontata andava gestita diversamente. Nel Sud, salvo che uno non decida di mettersi da parte, sapendo di dover operare in un ambiente inquinato, nel momento in cui decide per l’impegno pubblico, deve prepararsi a compiere immediatamente i passi occorrenti per denunciare pubblicamente ogni tipo di “aggressione”, che prima o poi arriva.
Nel “Giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, il Capitano dei Carabinieri Bellodi, appena arrivato a destinazione, riceve la visita di un potente del luogo che gli offre subito un bell’appartamento, altro che quelle quattro scalcinate pareti dove l’Ufficiale si era sistemato. L’Ufficiale ovviamente rifiuta.
A Quarto il Movimento 5 Stelle non ha saputo gestire la situazione. Si sono comportati tutti come dei dilettanti allo sbaraglio, o, per usare la scala dei valori sociali di Sciascia, come tanti quaquaraquà. Se così non è stato, allora viene di sospettare altro, fermo restando il cerchio delle possibili variabilità umane, tra cui la paura, che non è da sottovalutare.
Certo, il modo come cinicamente il Pd ha strumentalizzato il caso Quarto, per omologare il Movimento 5 Stelle al canone dell’immoralità pubblica, lascia veramente stupefatti. In meno di ventiquattr’ore il castello fatato del Movimento si è trasformato in un ritrovo di faccendieri. “Il Movimento non può avere il monopolio della moralità pubblica e il caso Quarto lo dimostra”. Questo il mantra di Renzi e compagni.
Un po’ è vergognoso, ma in politica è come in guerra, tutto si può. Siamo alla vigilia di importanti scadenze elettorali nelle più importanti città d’Italia, da Torino a Napoli, attraverso Milano e Roma. Azzoppare gli avversari in una corsa così difficile e incerta non dico che è lecito, ma politicamente comprensibile.
Il nostro parere sulla vicenda di Quarto è che il Movimento 5 Stelle non ha sufficienti anticorpi per gettarsi in una battaglia politica, che non è più fatta di “vaffanculi” ma di credenziali importanti per proporsi a delle realtà politiche di grande complessità amministrativa, come sono le città in cui a primavera si vota. Non bastano le intenzioni, non bastano gli entusiasmi, non bastano le rabbie covate per anni a causa delle ingiustizie e le nefandezza pubbliche, occorre avere consapevolezza dei propri mezzi nelle più varie difficoltà. Consapevolezza anche di situazioni che si possono creare, malgrado ogni onesto sforzo per evitarle.
Siamo in un paese in cui la corruzione ha mille forme e mille altre in varietà di trasformazioni. Il Movimento 5 Stelle non è una colonia di marziani, ma di italiani autentici, con tutti i loro pregi e difetti. Se non si rendono conto di questo e si ostinano maniacalmente a voler cambiare gli italiani, come a voler raddrizzare le zampe ai cani, allora finiranno come sono finiti tanti altri prima di loro, più o meno come loro animati in principio da buoni propositi.

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