C’è un nesso tra la dichiarazione
di papa Francesco sui gay “chi sono io per giudicare?”, che a me sembra il
massimo dell’ignavia, e la vittoria delle nozze gay in Irlanda di domenica 24
maggio? Un po’ sì e un po’ no. Un po’ sì, perché se il Papa è il vicario di
Cristo sulla terra, vuol dire che, imitando Pilato, una vecchia conoscenza di
Cristo, è come se avesse detto la questione non è di mia competenza e dunque
“mi lavo le mani”. Un po’ no, perché il Papa oggi può dire quello che vuole, di
lui la gente, a parte turisti domenicali a San Pietro e pinzochere abituali, se
ne frega.
Il voto irlandese, proprio nella
domenica di Pentecoste, sembra essere disceso con lo Spirito Santo sulla terra.
Il Segretario di Stato Pietro Parolin si è detto molto triste, aggiungendo “è
stato una sconfitta per l’umanità”. Non è dello stesso avviso il cardinale
Walter Kasper, che nelle alte gerarchie ecclesiastiche e nelle sfere teologiche
rappresenta il concessionario di tutto, ha detto che “la Chiesa ha taciuto
troppo” e che “bisogna discuterne”.
Paradossalmente, rispetto a come
la penso nel merito, credo che abbia ragione Kasper. Concedere l’assenso alle
nozze gay fa parte dell’umanità, non mi sembra una sua sconfitta, anche se lo
ritengo nel disordine delle cose. Kasper, invece, ha detto bene: la Chiesa
finora ha taciuto, deve discuterne. La discussione, diversamente dalla dottrina
Renzi – chiedo scusa per aver mischiato il sacro col profano – contiene sempre
qualche concessione. Vedremo presto come la Chiesa saprà adeguarsi alla società
deregolarizzata, dove tutto è consentito e l’ordine non è né punto di partenza
né di transito né punto d’arrivo.
Detto questo, esprimo
sommessamente il mio punto di vista. Esso si articola in due momenti diversi.
Primo. La realtà vuole che ci
siano i gay, i quali hanno tutti i diritti riconosciuti e concessi ad ogni
individuo, non solo perché così vogliono il diritto positivo e il diritto
naturale, ma anche per una forma di sincero rispetto dell’altro, starei per
dire evangelico, quale che sia la sua dimensione corporea e spirituale. Se
dovessimo accettare o meno l’altro per la sua pelle, per la sua statura, per le
sue opinioni, staremmo freschi, torneremmo al punto zero della società. Anzi, a
quel punto non potremmo neppure parlare di società, perché essa si caratterizza
per essere un “luogo” dove c’è posto per tutti.
Secondo. Qui occorre mettersi
d’accordo: vogliamo accettare la realtà nel suo stato di natura, la qual cosa
sarebbe assurda e irrealizzabile, non potendo azzerare diecimila anni di
storia, o vogliamo ordinarla secondo i suoi stessi principi (juxta propria principia) formula che
rimanda per lettura epistemologica a Bernardino Telesio? Mi spiego: come si
riconosce alla natura avere dei suoi principi in base ai quali spiegarla così
va riconosciuto alla società avere i suoi principi in base ai quali ordinarla.
E’ di tutta evidenza che mentre la natura può essere solo spiegata, ma non
ordinata, poiché essa ha un suo ordine immutabile, la società deve essere
necessariamente ordinata in base a mutevoli situazioni. Dunque, la seconda che
ho detto: la società va ordinata; senza ordine non c’è società.
Oggi – lo vediamo tutti – i gay
rappresentano un movimento emergente; essi perciò vogliono tutto ciò che la
società (la legge viene dopo: res facit
legem) concede ad ogni individuo. Sposarsi tra di loro, adottare bambini,
accedere in tutto e per tutto al diritto di famiglia, eredità di beni e
reversibilità di pensione comprese. Fin qui il ragionamento è matematico. I gay
ci sono, in quanto individui hanno tutti i diritti, dunque se ogni individuo ha
diritto di sposarsi con chi vuole, col permesso di Aristotile e della logica,
essi possono sposarsi tra di loro. La Chiesa che c’entra? Già, chi è la Chiesa?
verrebbe di dire con papa Francesco. Chi è la Chiesa per dire che è una
sconfitta per l’umanità?
Discorso chiuso, allora? No, c’è
sempre la società, il contenitore all’interno del quale s’inserisce la
questione dei gay e pone una domanda: come s’immagina una società con i gay ai
quali si concede tutto quello che si concede agli individui?
Non è il caso di scomodare
formule abusate: società aperta (Popper) o società liquida (Bauman), con le
quali si potrebbe pure stabilire un nesso, perché sia l’una che l’altra non
escludono la regolarizzazione della società, pur con tantissime difficoltà
sopraggiunte col moderno e soprattutto col post-moderno.
Qui non si tratta di ragionar per
anni, ma per visioni di vita temporali sebbene a lunghissima prospettiva. Due,
perciò, le ipotesi avveniristiche.
Prima. In una simile società i
gay aumenterebbero vertiginosamente, dato che essi non sono tali solo per
strutturazione fisica ma anche per condizione morale e per scelta. Se prima
sono stati contenuti nel numero è perché sono stati socialmente repressi. La
società del futuro sarebbe una società sempre più gayzzata, con la famiglia
disintegrata, con le figure di padre e madre vaporizzate, con figli di nessuno,
prodotti in tantissimi modi che la scienza provvederebbe a trovare. Sarebbe una
società “paccottiglia”, in cui i diversi sarebbero proprio quelli che prima
erano i normali. Essi potrebbero essere addirittura perseguitati e repressi, in
una sorta di rivoluzione antropomorfica.
Seconda. La società potrebbe
sviluppare degli anticorpi sociali capaci di difendersi e addirittura giungere
ad una reazione fagocitando tutto ciò che nella società è fattore di disordine
e ristabilire l’ordine compromesso, proprio come i fagociti nel sangue.
Ci sarebbe una terza ipotesi, più
presentista. Sarebbe quella di vedere tutti recuperare il senso dell’equilibrio
e della responsabilità, incominciando da papa Francesco, il quale dovrebbe
smettere di fare il segretario dell’Onu aggiunto, “pensando a Cui somiglia”,
che non è Ban Ki moon, ma Gesù Cristo. A proposito di “Pentecoste”, grazie a
don Lisander!