Su analogie caratteriali tra
Matteo Renzi e Benito Mussolini si discute da tempo, qualche volta solo per il
gusto di esagerare e mettere in cattiva luce l’ex sindaco di Firenze. Il primo
a parlarne seriamente fu Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” finché la
proprietà non decise di allontanarlo a causa del suo insistito e qualche volta
greve antirenzismo. Poi l’accostamento di certi modi di fare di Renzi a quelli
del Duce lo hanno fatto altri, in un crescendo di modi. Oggi è di dominio
pubblico, dopo che i vignettisti e i comici l’hanno volgarizzato e ridotto a
barzelletta, scaduto di tono ma non di efficacia. La satira – si sa – ha la
capacità di arrivare diritta al punto. Ricordiamo le vignette di Forattini su
Craxi in camicia nera e stivaloni, che alla fine resero simpatico il leader
socialista; e quelle su D’Alema, raffigurato sempre da Forattini in divisa in
un misto di sovietismo e nazismo, che ebbero però l’effetto di renderlo
popolarmente antipatico.
Personalmente non credo che si
possano fare analogie del genere. Si possono capire ma non condividere.
Mussolini era un uomo, un’epoca, un fatto; Matteo Renzi è un altro uomo,
un’altra epoca, un altro fatto. Si può scherzare, fare qualche battuta; nulla
di più.
Ciò nondimeno l’evocazione di
Mussolini e del fascismo per capire Renzi e il renzismo è importante per
qualche riflessione più seria.
Quel che a tutt’oggi non è stato
ancora detto – non so se neppure pensato – è che il consenso di cui gode oggi
Matteo Renzi, a livello di pubblici dirigenti, elettorato, media, consente di
leggere in modo diverso il consenso che ai suoi dì ebbero Benito Mussolini e il
fascismo. L’idea che è passata come verità è che Mussolini conquistò il potere
dopo un periodo di violenze nel Paese e lo mantenne col bastone e con la
carota, con un efficiente apparato poliziesco che utilizzava leggi repressive
fatte ad hoc, e con delle promozioni a tutti i livelli, in una visione
organicistica dello Stato. Chi dissentiva, nel migliore dei casi, non veniva
promosso, nel peggiore subiva pene che potevano essere gravi (il carcere) e
meno gravi (l’emarginazione sociale o il confino di polizia). In un quadro
simile si può capire il grande consenso che ebbe.
Oggi, in Italia, non c’è nulla
che somigli né al bastone né alla carota mussoliniani; e tuttavia Renzi gode
dello stesso consenso, anzi di un consenso ben maggiore e ben migliore. Renzi
non è stato nemmeno eletto; è capo del governo in quanto segretario di un
partito (il Pd) che non ha neppure vinto le elezioni; si regge in Parlamento
con un numero di deputati e senatori che la Corte Costituzionale ,
bocciando la legge elettorale con cui sono stati eletti, li ha “condannati”
come illegittimi. Se confronto si può
fare – ma, a mio avviso, non si può – forse la posizione di Mussolini appare
perfino più legittima di quella di Renzi.
Dato per scontato che i due
restano diversi e che diversi sono i tempi, possiamo trovare però quel che
unisce i due uomini e i due tempi nell’anello comune, che è il popolo italiano;
soprattutto la sua attitudine ad adeguarsi alle più assurde trasformazioni.
Fino a qualche anno fa – ma
sembra un tempo lontanissimo – la classe dirigente di sinistra godeva nel paese
di una sorta di reputazione privilegiata. Piaceva l’uomo di sinistra per il suo
rispetto del ruolo, delle regole, degli alleati, non sempre degli avversari, in
una parola piaceva la sua eticità. Campioni di questa eticità erano gli
Scalfari, i Prodi, i Veltroni, i Bersani, le Bindi, i Moretti (Nanni), gli
Zagrebelsky e via elencando politici, magistrati, giornalisti, scrittori,
artisti, professori. A questi signori venivano associati certi esponenti della
curia, alti cardinali, un nome per tutti: il Cardinal Martini. Per cui si era
formato un ceto politico-religioso-intellettuale che faceva dell’etica la sua
cifra identitaria. Per certi aspetti, fermo restando il nucleo centrale di
sinistra, l’involucro etico appariva di destra, di quella destra tante volte
evocata da Indro Montanelli.
Dove sono andati a finire i
superdemocratici di una volta, quelle personalità autorevolissime che facevano
la differenza etica con quelli di destra, piuttosto pragmatici, un po’
cialtroni, un po’ maneggioni, spicci e strafottenti?
Neiges d’antan, si potrebbe dire con Villon. Bersani, la Bindi ed altri otto, solo
perché non d’accordo con la legge elettorale che Renzi vuole far approvare,
sono stati rimossi dalle relative commissioni parlamentari, come pupazzetti di
nessun conto. E chi fino a qualche tempo fa li considerava esseri quasi
superiori, comunque signori di etica, non dice nulla? Non solo tace, ma
addirittura parla in favore di Renzi e dice che lo ha fatto per la democrazia,
che è normale rimuovere tutti gli ostacoli posti nel percorso democratico.
Proprio così, i dieci sostituiti nelle commissioni sono stati ridotti a pietre
di scarto da togliere dalla strada delle riforme. Questa trasformazione
culturale del popolo di sinistra spaventa. Dico spaventa non perché io mi
spaventi o mi sorprenda; dico spaventa per usare un lessico in uso in un mondo a
me per dire la verità estraneo. Ma certamente lascia pensare. Se oggi, pur
potendo dissentire, pur potendo gridare il proprio sdegno per certe metodiche
chiaramente illiberali e antidemocratiche, la coscienza civica ed etica tace,
come non sospettare che il fascismo fu possibile non per le pratiche fasciste,
di bastone e carota, ma solo perché c’era un popolo naturalmente portato a
stare con la parte che in quel momento era vincente?
Qualche sera fa su Rai Tre, in un
programma in cui si rievocavano i tempi del fascismo e del nazismo, Paolo
Mieli, oggi il papa laico di ogni funzione politico-culturale, disse al
conduttore con molto poca riflessione: se invece della democrazia avesse vinto
il nazifascismo noi due non saremmo qui a parlare di queste cose. No, caro
Mieli, ho il sospetto che tu e il conduttore, se avesse vinto il nazifascismo,
sareste stati lo stesso lì in televisione a parlare, magari per dire cose
diverse da quelle che dicevate. Renzi non è Mussolini, ma gli italiani di oggi
sono esattamente gli italiani di allora. Ci piaccia o non ci piaccia!