La manifestazione dei
“ricostruttori” organizzata da Raffaele Fitto a Roma, domenica 22 febbraio, ha
ribadito un punto, che è cruciale: in Forza Italia stiamo e in Forza Italia
vogliamo restare, nello stile più classico: hic
sumus et hic manebimus optime.
Ma in Italia – si sa – il
linguaggio della politica è sempre biforcuto, si dice una cosa ma se ne pensa
un’altra. Un linguaggio che non piaceva agli ingenui pellerossa d’America, come
sanno tutti gli appassionati di fumetti degli anni Cinquanta e Sessanta del
secolo scorso, che scorrazzavano nelle praterie con Tex Willer e Kit Carson.
Questo linguaggio – a dire il vero – non piace nemmeno a chi ingenuo non è e dalla
politica s’aspetta ogni tanto qualche indicazione, se non chiara, almeno
chiarosimile.
Che cosa possono pensare Fitto e
“ricostruttori” al di là di quello che dicono? Per esempio, che Berlusconi prima
o poi compia il gesto sbagliato di espellerne qualcuno e di apparire quello che
è sempre stato ed è: uno che non tollera che nel suo partito qualcuno si
opponga alla sua politica personale. Ci sarebbe in quel caso una frattura,
seguita da codazzi legali, poiché – a quanto pare – nello statuto di Forza
Italia non è prevista la sanzione estrema dell’espulsione. A come stanno le
cose, con le continue minacce, più o meno vellutate e più o meno raspose, da
una parte e dall’altra, è difficile che si possa ricomporre il vaso. I cocci sono
stati calpestati e i pezzi non combaciano più.
Berlusconi da qualche tempo – diciamo
dopo la rottura del “Patto del Nazareno” – è tornato sulla griglia giudiziaria
per iniziativa della Procura di Milano. Di qui la sua irritazione maggiore nei
confronti di Fitto. Si rende conto di aver bisogno di un partito che marci a
ranghi serrati, compatto ai suoi ordini e interessi, e invece deve vedersela
con rogne interne crescenti. I giudici lo attaccano per la faccenda di Ruby,
che non è affatto chiusa, come sembrava dopo l’assoluzione dall’aver fatto
sesso con una indatabile minorenne. Resta in piedi Ruby ter con l’accusa di favoreggiamento
della prostituzione, per quella bella maison
du plaisir delle cosiddette olgettine.
La musica – come si può
constatare – non cambia. Un partito, un governo, un paese, milioni di elettori
dipendono dalle vicende giudiziarie di un uomo solo. A questo punto – ma già da
un po’ di tempo, a dire la verità – non conta più se Berlusconi ha ragione o
torto, conta che per simili accuse si tiene in quarantena un universo politico
di cittadini e di elettori di centrodestra.
Dipendere dall’ex Cavaliere per
questioni giudiziarie è vergognoso; aberrante prima ancora di essere assurdo se
si considera che le accuse riguardano attività di vizio e di degenerazione,
evitabilissime con un minimo di senso della decenza e del rispetto per se
stesso e per il ruolo pubblico. Quand’anche Berlusconi avesse ragione e, a
quanto finora è emerso, non ce l’ha, come si può concepire che il destino
politico di tanti cittadini, di un paese intero, possa dipendere dalle sue
vicende giudiziarie? Più si riflette in Italia sulle nostre cose politiche e
più ci si rende conto dell’abisso che c’è tra noi e gli altri paesi europei. Non
so in quale altro paese del mondo un uomo politico così screditato non si
sarebbe dimesso da tutto, perfino dallo shopping e dal passeggio pubblico.
Ora Fitto, il nuovo uomo di
Maglie – il vecchio era Moro – insiste, tiene duro. La sua partita è importante
per i suoi portati politici ed etici. Quando chiede l’azzeramento dei vertici
di Forza Italia, che vuol dire messa da parte dei responsabili della politica
disastrosa del “Patto del Nazareno”, in realtà chiede la messa da parte di
Berlusconi, perché è di tutta evidenza che quei signori responsabili hanno semplicemente
agito in suo nome e per suo conto. Ecco perché la partita non può finire con un
pareggio. Toti, Romano e gli altri fanno finta di non capire quando insistono
nel dirsi disposti a dar ragione a Fitto sul “Patto del Nazareno” e ad offrire
a lui e ai suoi posti importanti nel partito e nelle liste. Proposte oscene,
perché se pure fatte con mezzi diversi, il criterio che le sottende è quello
del baratto.
La questione è assai più
radicale, deve essere più radicale. Si tratta di voltare pagina per cercare di
ricostruire un nuovo centrodestra, che non dipenda più da un uomo, dai suoi
affari economici, dalle sue vicende giudiziarie. E che tanti in Forza Italia non
lo capiscano o che facciano finta di non capirlo è di una gravità estrema,
poiché rischiano di consegnare al centrosinistra, variamente articolato, il
paese per chissà quanti anni altri ancora.
Si dice che i fedelissimi berlusconiani,
restando attaccati a lui, in buona sostanza pensano a salvare se stessi, come
ostriche che restano attaccate allo scoglio, secondo il mito del Verga. Ma, pur
mettendo da parte ogni riserva morale, il consegnare la propria coscienza
politica alle malefatte altrui nella speranza di durare ancora qualche anno o
mese sulla scena politica è davvero cosa inutile per sé e dannosa per gli altri.
L’elettorato di centrodestra è
oggi frantumato. Raccogliere i frantumi in politica è più facile che
raccogliere i soggetti interi, come il vento che trasporta le foglie secche ma
non i tronchi. La Lega
di Salvini sta prosciugando tutto il prosciugabile, come ha evidenziato la manifestazione
romana di sabato 28 febbraio (Casa Pound, Sovranità, Fratelli d’Italia-An), ma
non indica una prospettiva convincente. Solo un soggetto politico pensante e
non urlante potrebbe ridare speranza a quest’elettorato, ricomponendo un
partito rinnovato. Di questo partito Fi potrebbe tornare ad essere motore e
guida solo se si liberasse dal peso di Berlusconi.
Possibile che in Forza Italia non
lo abbiano capito tutti? Possibile che si insista ancora su un uomo che a
questo punto, meriti e demeriti a parte, sarebbe salutare per tutti che si
mettesse da parte? Domande retoriche. La realtà dice purtroppo che le cose
stanno così.
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