domenica 5 febbraio 2012

Monti e l'offensiva sociale

Mussolini nel 1935 rassicurò gli italiani, dopo le sanzioni economiche inflitte all’Italia dalla Società delle Nazioni, che non c’era bisogno di carne nel nostro Paese, che sarebbero bastati i fagioli, la “carne dei poveri”. Non che il paragone tra carne e fagioli non avesse una sua fondatezza sul piano delle proteine, ma era chiaro che il Duce voleva esorcizzare la mancanza di ciò che per le sanzioni l’Italia non avrebbe avuto con ciò che l’Italia poteva procurarsi da sé, autarchicamente. E’ il vizietto dei dittatori, emerso di recente con una improvvida ma rivelatrice frase di Mario Monti, che dittatore non è, nel senso che non ha fatto nessuna marcia su Roma e che ha a noia farsi perfino una passeggiata nei fori, ma che non è stato eletto dal popolo, che in democrazia è fondamentale: i giovani devono scordarsi il posto fisso per tutta la vita, che è una vera monotonia. Mettiamo che volesse solo sdrammatizzare la mancanza del posto fisso dando ad intendere ai giovani che dopo tutto il posto fisso è monotono e che il posto variabile è di gran lunga da preferire; ma non ne siamo sicuri. Fedro se la cavò con la volpe e l’uva. Una grandissima minchiata, quella di Monti, con tutto il rispetto, che apre una crepa in quel muro di ieraticità che accompagna da sempre la sua figura. Il problema, infatti, è che non ci sono posti di lavoro, né fissi né mobili. Nel clima che si è generato commentatori e notisti politici si sono precipitati in “soccorso del vincitore”. Ma come puoi dire che il posto fisso è monotono quando in Italia tre giovani su dieci vanno alla spasmodica ricerca di un posto di lavoro pur che fosse? E tutti a dire che Monti è stato equivocato, che voleva semplicemente dire che il posto fisso è monotono in sé. Ma si può dire ad uno che digiuna da giorni e che barcolla sulle gambe per la debolezza che il digiuno fa bene alla salute? Via, siamo seri!
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Che significa “per tutta la vita”? Va bene, voleva dire per tutta la vita lavorativa. Monti – si sa – è parco di parole. Ma è importante dire per intero “vita lavorativa”, perché da essa, dalla sua estensione e continuità, dipende la sicurezza del segmento di vita “non lavorativa”, ossia la vita da pensionato, che Monti sembra voler escludere. In difetto di un posto fisso, infatti, si mette a rischio la pensione. I giovani, i tre su dieci, che sono disoccupati, e gli altri che non hanno un posto fisso, a che età andranno in pensione? Se andranno! E, poi, che significa per Monti “posto fisso”? Non è che per caso volesse dire posto di lavoro continuo? Le parole hanno un senso se contestualizzate. Il posto di lavoro di un insegnante di italiano o di matematica è fisso o mobile? E’ sicuramente fisso se inteso come lavoro o professione; è mobile se è riferito alla sede di insegnamento, che può essere una scuola piuttosto che un’altra, una città piuttosto che un’altra. In un certo senso, scuola o sede, il lavoro di un insegnante è monotono, perché non è che oggi possa indifferentemente insegnare italiano e domani scienze naturali, oggi storia dell’arte e domani fisica o chimica. Può cambiare sede, a condizione che ci sia l’opportunità di farlo. Ma questo vale per qualsiasi lavoratore: un muratore non può fare l’infermiere. Dire che il posto fisso è monotono equivale a dire che il lavoro professionale, specialistico, è monotono. Se vogliamo dare un senso alla frase, che a rigore oggi in Italia non ne avrebbe, la monotonia del posto fisso va vinta all’interno della sicurezza del posto di lavoro. Giustamente sindacalisti e alcuni politici hanno commentato l’infelice frase di Monti un po’ andreottianamente: il posto fisso annoia chi non ce l’ha.
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In realtà Monti, che pure ha cercato di scusarsi dicendo di essere stato equivocato, ha detto quel che pensava; ma non ha neppure ammesso che non era opportuno dirlo. A riflettere, la frase di Monti entra in maniera coerente ed organica alla sua visione delle cose, che è quella di portare l’Italia e l’Europa fuori dalle secche della crisi. Può farlo solo se non si pone né preoccupazione né scrupolo di sorta. Del resto il suo governo, detto dei tecnici o dei professori, pur facendo inevitabilmente politica, non ha la funzione fisiologica della politica, che è quella di mediare tra le esigenze e gli interessi dei vari soggetti sociali. L’ulteriore prova è l’attacco all’art. 18, quello in virtù del quale un lavoratore non può essere licenziato senza giusta causa. Sembra così ovvio che viene da chiedersi se l’abolizione di un così importante principio di civiltà giuslavorativa non nasconda qualcosa di ben più grave. Si dice che un’azienda non assume per colpa dell’art. 18, che le impedisce di licenziare. Un rompicapo! Se un’azienda ha oggi bisogno di un lavoratore lo assume, se domani, in condizioni mutate, non ha più bisogno lo “licenzia” come la legge prevede. Il problema, dicono i sindacati, è che oggi non c’è lavoro e dunque assumere per licenziare o licenziare per assumere è un “gioco” che alla fine produce delle vittime, che sono sempre i lavoratori. I quali, invece, devono essere sempre garantiti. E’ davvero curioso il fatto che in un momento di grave disoccupazione giovanile, il 31 %, piuttosto che preoccuparsi di creare posti di lavoro, il governo si preoccupa di dare ai datori di lavoro liberatoria di licenziamento, di creare cioè altri disoccupati. Curioso, ma si spiega!
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Quando un’azienda chiede l’abolizione dell’art. 18 si preoccupa della sua salute. Non si può dire che l’azienda abbia torto. L’azienda è un soggetto sociale che ha il diritto-dovere di operare in funzione dei suoi interessi. Ma quando un lavoratore, che lavora e lo fa preoccupato di non mettersi nelle condizioni di essere licenziato, come prevede l’art. 18 (giusta causa), non fa che difendere legittimamente i suoi interessi. Dunque: da una parte un soggetto, l’azienda che vuole essere libera di licenziare, dall’altra un altro soggetto, il lavoratore che chiede garanzie per mantenere il posto di lavoro. Entrambi hanno ragione, pensano ed operano per sé; l’uno e l’altro hanno la loro rappresentanza di difesa: il primo la confindustria, il secondo il sindacato. Chi deve porsi a mediare fra i due interessi? La politica. Ma oggi la politica non c’è, ha abdicato, verrebbe di dire che è stata licenziata per “giusta causa”. Pertanto l’equilibrio si è rotto. C’è il governo dei tecnici, che resta un’anomalia, per quanto la si voglia edulcorare, giustificare e legittimare. Quale è la conseguenza nel rinnovato conflitto sociale a cui stiamo assistendo? La conseguenza è che il governo Monti, che fa politica senza avere della politica la funzione mediatrice, difende gli interessi di una parte, mondo della finanza e delle aziende, non per scelta politica ma per esigenza tecnica, in quanto gli interessi delle finanza e delle aziende coincidono oggi con gli interessi superiori della nazione finanziaria italiana ed europea. E i lavoratori chi li garantisce?
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Ma se pure si può capire il momentaccio e le scelte operative di un governo che viaggia su binari piuttosto che su strada, non si può tollerare l’insistenza di un’aggressione verbale nei confronti della parte oggi soccombente, che è quella del lavoro, un’aggressione tanto violenta e a tratti disonesta. Il posto fisso è monotono, dice Monti. L’art. 18 va abolito, per consentire alle aziende di licenziare-assumere e per incoraggiare gli investimenti. Bisogna abolire il valore legale ai titoli di studio per lasciare alle azienda libertà di dire questa laurea serve e questa non serve. Si tratta di atteggiamenti che hanno una forte coerenza in una visione, che potrebbe pure essere giusta di qui a qualche anno, ma che oggi penalizza la società nelle sue fasce più bisognose. Fino a quando, quo usque tandem abuteris patientia nostra? Lo chiedono i milioni di cittadini, di laureati, di lavoratori, che si trovano nel tritacarne di un governo tecnico e pertanto politicamente irresponsabile.
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Perché Monti non dice che in Italia gli stranieri non investono per le nefandezze di una giustizia lentissima e intricatissima? Perché non dice che in Italia le aziende sono in crisi perché gli enti pubblici non pagano le commesse? Ha sentito dei suicidi di imprenditori nel nord est italiano? Intanto è esplosa la questione dei soldi dati ai partiti, utilizzati per investimenti in Tanzania (Lega Nord) o per speculazioni immobiliari (Luigi Lusi, tesoriere della Margherita). Mentre la Guardia di Finanza è alle calcagna di evasori, falsi invalidi e di chi continua a percepire la pensione nonostante il titolare sia morto, gli amministratori dei partiti continuano ad incassare i soldi del cosiddetto rimborso elettorale – leggi sovvenzionamento dei partiti – benché i partiti siano morti, come nel caso della Margherita o di Alleanza Nazionale. E Monti, che dice basta col buonismo, nulla fa per mettere fine ad usi, abusi …Lusi e collusi di regime che continuano a prendere soldi dallo Stato al doppio, e per la legislatura interrotta e per la legislatura in corso. Incredibile! Un furto agli italiani continuato che grida vendetta. Un miliardo di rimborso elettorale indebitamente riscosso sarebbe utilissimo allo Stato e potrebbe servire ad alleviare la pressione sui poveri disgraziati di cittadini, che, però, Monti considera dei “male imparati” da rieducare. Ostellino sul “Corriere della Sera” di sabato, 4 febbraio, dice: “La (volgare) contestazione a Napolitano, a Bologna, e altri episodi, rivelatori di un malessere sociale che potrebbe sfociare nella violenza, dovrebbero far riflettere”. Siamo alle solite: non si crede al santo finché non si vede la festa.

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