domenica 28 agosto 2011

Libia: una storiaccia vergognosa


L’ultimo nostro capitolo sulla Libia è sconcertante. A cento anni dalla guerra di conquista, in atmosfere colonialiste ed imperialiste, abbiamo scritto pagine di infamia e di vergogna. La democrazia ha mostrato la sua vera faccia: flaccida, grottesca, cinica, oscena, mostruosa; la solita, quella disegnata dal tedesco George Grosz nella prima metà del Novecento.
Ci aveva quasi convinti la democrazia che per mantenere la pace era necessario anche subire qualche onta; che per avere le risorse di cui abbiamo bisogno dovevamo piegare il capo; che per poter esportare i nostri prodotti e vincere la concorrenza dovevamo andare a braccetto anche con tiranni e tirannelli. Dopo tutto in casa sua ciascuno è re; ogni stato va rispettato nella sua sovranità. Ci aveva quasi convinti che solo i dittatori fanno le guerre, che violano i diritti degli altri, che spengono nel sangue la luce dei popoli, che distruggono ciò che altri hanno costruito.
Ora tutto questo è svanito, in un silenzio incredibile, in un vuoto di ragioni imbarazzante. E quel che è più grave che a tutto questo noi italiani siamo stati indotti da altri, che fanno, in maniera anche provocatoria, una politica ai nostri danni.
Piange il cuore assistere ogni sera all’immenso disastro libico. Vedere quelle belle piazze, quelle strade larghe e lunghe, quei palazzi moderni, quegli ospedali in tutto simili alle più moderne strutture occidentali ridotti a cumuli di macerie. Vedere un popolo precipitato di colpo allo stadio ferino, prepolitico, ridotto a branco; è la giungla di ritorno. Vedere tanti aerei bombardare per mesi, in migliaia di raid, i palazzi di Tripoli non può che suscitare sdegno: la Nato, ossia l’alleanza delle più ricche ed armate potenze del mondo contro uno stato di poco più di sei milioni di abitanti. Vedere tutti quei cadaveri, tanti corpi straziati per le strade, nelle case, è tanto più crudele e insensato quanto ancora nessuno ha dato una spiegazione di quanto è avvenuto. Dicono: per la libertà e la democrazia!
Ma non si rendono conto che voler attribuire ai necessari costi della libertà e della democrazia, dopo che per quarantadue anni quel regime non solo era stato tollerato ma anche rispettato e riverito, è una intollerabile menzogna; è come voler chiudere una falla allo scafo di una portaerei con un cerotto da pronto soccorso.
Il ministro degli esteri Frattini non sa che inventarsi per convincere gli italiani che Gheddafi andava eliminato. “Voleva far diventare nera d’africani l’isola di Lampedusa – dice – abbiamo le prove”. Le prove di che, ministro dell’ipocrisia? L’altro ministro, quello della difesa, La Russa, ex fascista, difensore della repubblica sociale di Mussolini, per certi aspetti edizione datata ed italiana della Libia di Gheddafi, si è preso forse per il culo per cinquant’anni? O l’onore e la lealtà li ha persi sulla via degli affari e del conformismo più becero e cialtrone?
A chi vogliono raccontarla questa storiaccia senza capo né coda? Forse avranno anche qualche ragione gli americani, che si sono affidati ad un predicatore di quart’ordine. Affari loro! Stanno fallendo ed altro non sanno fare che fomentare guerre in casa d’altri. Qualche ragione possono averla i francesi, gli eterni velleitari, che vogliono così imporre un’improbabile egemonia nel Mediterraneo e soppiantare l’Italia nei rapporti commerciali con la Libia. Qualche ragione possono averla gli inglesi, che amano tenersi in esercizio con la guerra. Li conosciamo. Ma noi, che interesse avevamo noi a fare la guerra alla Libia? Che cosa ci aveva fatto Gheddafi per andare a bombardargli la casa e la famiglia? A distruggergli ciò che con le sue risorse aveva costruito? Solo qualche settimana prima aveva sfilato con accanto Berlusconi, l’uno più tronfio dell’altro, per le ex strade dell’Impero a Roma.
Oh, sì, avevamo noi italiani ragione di sotterrarlo vivo nel 1969 quel Gheddafi, da poco padrone della Libia, per aver cacciato i nostri connazionali come cani ed insultati i nostri morti. Ma allora non avemmo il coraggio di rispondergli con un minimo di dignità nazionale. Certo, ci saremmo potuti pure arrabbiare quando nel 1986 lanciò un missile su Lampedusa, non per il danno subito, che non ci fu, ma per l’atto di guerra compiuto. Ma neppure allora avemmo un sussulto di dignità nazionale. L’abbiamo avuto ora, forti delle ragioni degli altri, ad aggredire quello che ormai da più di quarant’anni era il capo di stato straniero più corteggiato dai nostri governi.
La guerra alla Libia ha tutti i caratteri della prepotenza delle democrazie occidentali, quelle che Mussolini chiamava plutocrazie, arroganti come il lupo di Fedro, anzi peggio, perché almeno quello prima di sbranare l’agnello un motivo cercava di averlo. Non che Gheddafi sia paragonabile ad un agnello, ma il modo come è stato provocato con la rivolta interna prima, sapientemente orchestrata dall’esterno, poi attaccato e infine distrutto, fa capire quel che da sempre è la morale della favola. I più forti eliminano i più deboli. Le solite democrazie, che quando decidono di farla finita con un paese che non fa parte della confraternita lo fanno, che quando sono in difficoltà cercano di risolvere i loro problemi aggredendo gli altri.
In questa campagna di destabilizzazione di tutta la fascia mediterranea dell’Africa c’è un piano tanto appariscente quanto inconfessabile. Esso è fondato su due motivi ben precisi: uno ideologico e l’altro economico. Quello ideologico è che deve essere chiaro a tutti che non ci sono stati sovrani, c’è un solo mostro imperialistico a più teste, e tutti gli altri o sono servi obbedienti o ribelli distrutti. Quello economico è ancora più chiaro nella sua oscenità. Le democrazie occidentali, tutte in grave crisi economico-finanziaria, hanno bisogno di alimentare le proprie economie ricostruendo ciò che oggi hanno distrutto. S’illudono i cosiddetti ribelli libici, che hanno annientato Gheddafi con le armi straniere di essere liberi e padroni del proprio paese e di poter veramente disporre delle loro risorse. Chissà per quanti anni dovranno dare il loro petrolio ad americani, francesi, inglesi ed italiani (speriamo, anche agli italiani!) perché questi ricostruiscano ciò che i loro bombardieri hanno distrutto. La Libia, più della Tunisia, dell’Egitto e forse anche della Siria, deve pagare la crisi dei suoi aggressori.
Ma i libici non sono solo quelli che oggi s’illudono di essere i vincitori. Un nuovo terrorismo incombe sul mondo occidentale. E questo, come gli altri e più degli altri, ce lo siamo confezionato con le nostre mani!

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