domenica 10 ottobre 2010

Sarah, l'ultimo Cappuccetto Rosso

La tragedia di Avetrana, dove una ragazzina di quindici anni il 26 agosto fu strangolata, violentata e nascosta in un pozzo in aperta campagna da uno zio-bestia, reo confesso, e ritrovata quarantuno giorni dopo, ripropone in termini nudi e crudi la difficoltà di chi vive, in ogni tempo, la condizione di Cappuccetto Rosso, il personaggio della celebre fiaba di Charles Perrault e dei Fratelli Grimm. Differenze di sensibilità culturale delle due versioni a parte, che concludono la fiaba in maniera diversa, resta costante il personaggio nella sua dimensione di ignara vittima designata.
E’ possibile che una ragazzina nella società odierna debba correre gli stessi pericoli di Cappuccetto Rosso? E’ possibile che progresso e civiltà nulla hanno potuto e nulla possono contro gli impulsi animaleschi che si annidano nell’umano? Se Cappuccetto Rosso è una fiaba ed universalmente valido il suo messaggio, evidentemente sì.
Le ragazzine oggi non vanno per prati a raccogliere fiori o per boschi a raccogliere frutti; e non hanno sulla testa un cappuccetto rosso. Tutte metafore, facilmente decodificabili. I prati e i boschi di oggi sono le discoteche, i pub, i bar, i facebook e i tanti luoghi d’incontro, reali e virtuali, dove i giovani amano incontrarsi per divertirsi; a volte solo per chiacchierare, in quel piacevole raccontarsi aneddoti di vita propria, storielle sentite, barzellette. Gioia e piacere dei giovani, di oggi come di ieri, come di sempre. Immortale testimonianza il Decameron del Boccaccio, dove dei giovani lasciano la città morta per la peste e si rifugiano in aperta campagna per trovare la vita nella piacevolezza dello stare insieme e del raccontarsi storie.
Il cappuccetto rosso è la metafora della disinvoltura, della freschezza di adolescenti, di quel loro modo di vestirsi, di comportarsi, di adornarsi di piercing, di equipaggiarsi di telefonini, di iPad, che allontana gli adolescenti dal mondo degli adulti, specialmente di certi ambienti, e li rende a volte incomprensibili e maliziosamente appariscenti e attraenti. La metto al plurale maschile, ma va da sé che a correre certi pericoli sono soprattutto le ragazzine. Cappuccetto Rosso è stato inventato al femminile.
Ma Sarah ha trovato il suo bosco e il suo lupo in famiglia, il più insidioso dei luoghi, proprio perché ritenuto il più sicuro.
“L’avevo già toccata”, ha confessato lo zio assassino. Quella ragazzina, così bella, delicata, una farfalla in volo, così l’hanno mostrata i tanti fotogrammi ripresi in diverse circostanze; quella ragazzina – dicevo – per quanto sua nipote, lo ossessionava. Chissà che cosa pensava di lei quel fauno con le mani legnose e contorte quasi quanto il cervello! L’incapacità di leggere correttamente gli atti lievi e spensierati di Sarah apre un altro fronte di conoscenza delle ragioni per le quali tra generazioni ci debba essere incomprensione e incomunicabilità. I comportamenti di Sarah non potevano che rispondere a desideri, sogni, pulsioni e mode legati alla sua età e al tempo. Le voglie di quel contadino non potevano che rispondere ad istinti naturali e selvaggi, legati alla sua condizione, alla sua età e ad un tempo ormai remoto. Tra i due mondi, tra le due condizioni non poteva che scatenarsi il dramma.
E’ proprio impossibile giungere ad un linguaggio comune, che consenta agli adulti di comprendere quanto meno che certi comportamenti possono voler dire qualcosa di diverso da quello che essi comunemente intendono? E’ proprio impossibile che i giovani, da parte loro, capiscano che la società è un bosco dove c’è di tutto, dove si nascondono ancora tanti lupi e che loro, anche ingenuamente, possono trasformarsi in esche e finire nelle loro gole?
Purtroppo perfino la bellezza in sé è motivo di incomprensione sociale, di incomunicabilità, di rischio. Il mito di Euridice è ancor più vecchio di Cappuccetto Rosso. E allora all’eterno male occorre rispondere con l’eterno bene e cercare di trarre una lezione da quanto per l’ennesima volta è accaduto.
Se è impossibile giungere ad un codice condiviso, si cerchi almeno d’imparare a vivere, sapendo di stare tra lupi ed agnelli, tra falchi e colombe, tra serpenti ed aquile, tutte metafore delle infinite varietà umane. A volte può anche non bastare. Ma la prudenza è il minimo che si possa usare per difendersi dalle insidie del mondo.
E’ un discorso repressivo, che soffoca la spontaneità, che depriva l’individuo della sua libertà? Può darsi. Ma, dopo che tu hai fatto la barbara e atroce fine della povera Sarah, che rimane? E’ forse un risarcimento la punizione, per quanto dura, se ci sarà, dello zio-bestia? Nooo!
Nella fiaba dei Grimm finisce che il cacciatore trova il lupo, lo uccide, gli apre il ventre e tira fuori Cappuccetto Rosso e la nonna, ancora vive e in attesa di essere liberate. Ma è una fiaba, è rivolta ai bambini, con lo spirito di educarli senza spaventarli; ma anche agli adulti, col mandato preciso di fare giustizia, di stanare i lupi malvagi e di eliminarli. Nella realtà tutto è terribilmente diverso. La povera Sarah non c’è più, nessuno la può richiamare in vita e fare giustizia è un dettaglio sociale, una necessità degli altri.
A condurre Sarah a quell'atroce esecuzione è stata la sua bellezza, la sua avvenenza, la sua grazia, la sua leggerezza, interpretate dal malvagio come disponibilità alla sporcizia, all’abominio, all’animalità; ma soprattutto a condurla a morte è stato il suo rifiuto, l’aver voluto dimostrare che non era ciò che agli altri, allo zio-bestia, poteva sembrare, che lei era se stessa e per se stessa. “Queste cose non si fanno” gli aveva detto prima che su quella luce e quel candore calasse il buio, per sempre.

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