domenica 25 aprile 2010

Fini, dalla successione all'alternativa

Che il re possa nascere con corona in testa, scettro in mano e manto sulle spalle, oggi come oggi, non lo crede più neppure il più sciocco dei bambini. Semmai oggi si è convinti del contrario, che il re non è mai vestito. Sicché, quando Gianfranco Fini, giovedì, 22 aprile, alla Direzione Nazionale del PdL, ha gridato che il re è nudo, che – fuor di metafora – Berlusconi non è il signore indiscusso del suo governo e del suo partito, compiacendosene più che per la scoperta per il fatto di poterlo gridare agli altri e di farlo apparire ridimensionato per il piacere degli avversari, non ha fatto una bella figura. Ha fatto pena. Perché Fini non era il cavalier servente del re, che ad un certo momento trovava il coraggio di ribellarsi, Fini era stato a sua volta un re. Noblesse lo obbligava ad avere un comportamento più dignitoso. Se non altro per il popolo che rappresentava, che aveva rappresentato; per la carica di Presidente della Camera che ancora rivestiva.
Fino a qualche tempo fa Fini, politicamente parlando, era un pari di Berlusconi e di Bossi; era il capo di un partito, dell’unico che era uscito da Tangentopoli con una reputazione di tutto rispetto. Aveva un potere contrattuale importante, poteva, simmetricamente, condizionare Forza Italia al pari della Lega. Era uno dei leader più stimati dagli italiani. Come gradimento, stando ai sondaggi, era preferito perfino a Berlusconi.
Perché ad un certo punto ha commesso l’errore di sciogliere An per confluire nel PdL, il vituperato partito del “predellino”, da lui salutato con ironia e disprezzo con la frase “siamo alle comiche finali”? Qualcuno in vena di saggezza popolare potrebbe dire che tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Fini aveva già sciolto il Msi, aveva abiurato ad un’infinità di altre importanti cose. An, in fondo, era l’ultima cosa che buttava dalla finestra in quella che era la notte di San Silvestro del suo passato. Fini s’avvicinava ancora al lardo, anche facendo inversioni ad u su strade politiche a senso unico.
Va bene la scelta bipolare. Ma non va affatto bene cercare un’identità nuova, un’improbabile destra moderna ed europea che in Italia è appannaggio della sinistra, lasciando valori e sensibilità della destra parte alla Lega, parte a Berlusconi e parte – sissignori! – all’IdV di Di Pietro. Il patrimonio ideale e politico del Msi-An è stato miseramente devoluto. Oggi dietro a Fini non c’è più nessuno; come contenitore è vuoto.
Non è vero che ministri e sottosegretari, parlamentari e presidenti di enti e di commissioni, una volta di An, non lo seguano per opportunismo; il fatto è che non lo segue più la base, che si sente tradita dai suoi continui “voltafaccia”, dalle sue continue pose di saggio, d’improbabile patriarca.
Ecco, sono due gli errori pedestri che ha commesso Fini. Il primo è stato quello di privarsi del partito, che lo rendeva forte all’interno della coalizione e competitivo nel paese. Ha detto: mi sono pentito di essere entrato nel PdL. Il secondo di passare dalla successione all’alternativa a Berlusconi, cercando una nuova identità per la destra allo scopo di differenziarsene fino all’assurdo di sposare tesi di chiara sensibilità di sinistra appiccicando sopra l’etichetta “destra moderna ed europea”. Come se ciò bastasse. Ingessato ma nello stesso tempo impennacchiato sulla cattedra della Presidenza della Camera, per due anni ha fatto il controcanto a Berlusconi; ma ha anche mortificato la sua parte politica, la cui sensibilità, che non può essere cambiata come si cambia una camicia, è chiaramente di destra, facendola passare per retriva, inadeguata, culturalmente inferiore.
Come si può essere d’accordo sulla facile e breve concessione della cittadinanza e del voto agli immigrati; sull’uso della pillola abortiva; sull’eutanasia; sulla procreazione assistita; sui matrimoni gay e via di questo passo continuando a dirsi di destra? Intendiamoci, si tratta di posizioni assolutamente legittime, degne del massimo rispetto, ma esse appartengono inequivocabilmente a culture e sensibilità di sinistra. Altre sono le sensibilità di destra, esse s’inscrivono in quel pensiero conservatore che può anche rivedere qualcosa ma non abiurare alle proprie radici: la famiglia, lo Stato sociale, l’identità nazionale, la legalità, l’ordine, la sicurezza, l’orgoglio di appartenenza, la tradizione, il dover essere nella vita. Valori, questi, che non sono inferiori o superiori ad altri; semplicemente sono propri di una visione della vita, che per dirla con una parola sono di destra.
Qualche anima generosa, votata alla cause perse, potrebbe anche oggi essere tentato di andare in soccorso di Fini, in nome di antiche appartenenze o soltanto perché in effetti le cose in Italia stanno prendendo una piega decisamente contraria ad una visione dello Stato, della Nazione e della Società quale la destra ha sempre avuto e coltivato. Ma si pone un problema insormontabile: dove va Fini? E soprattutto, quali altri giravolte potrebbe fare, costringendo chi lo segue a comportarsi come chi mettendosi in viaggio domanda le previsioni meteorologiche?
Gli avversari del governo, del centrodestra, i mass media – ognuno per proprio interesse – cercheranno nei prossimi giorni di creare nel paese una sorta di rivalità tra Berlusconi e Fini che di fatto non esiste o è irrilevante. Ma, si sa, siamo tutti dipendenti dal battage pubblicitario, propagandistico, mediatico, per cui si farà di Fini una sorta di Robin Hood, di eroe che si batte contro il mostro, contro il minotauro per liberare il paese. Questo lo renderà ancora più prigioniero della finzione mediatica, fino a quando non commetterà l’errore di superare il limite di sopportazione e verrà cacciato dal PdL. Allora non potrà dire come disse Mussolini quando fu espulso dal Partito socialista ai suoi ex compagni: “voi mi odiate perché mi amate ancora”. Mussolini è un’altra storia!

[ ]

Nessun commento:

Posta un commento