domenica 18 aprile 2010

Il caso "Quotidiano": da Minicucci a Scamardella

Il problema dei problemi, la mamma di tutti problemi – come si ama dire oggi – della democrazia è come sorvegliare i sorveglianti. Se lo pose già Platone, che nella sua Repubblica asserì che i sorveglianti devono astenersi dal bere per non ubriacarsi ed avere essi stessi bisogno di essere sorvegliati. In maniera più caustica il problema se lo pose il poeta satirico latino Giovenale, che, in un passo della sua celeberrima sesta satira contro le donne dice: Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes? Cauta est et ab illis incipit uxor, che letteralmente significa: “Metti la spranga, tienila costretta, ma chi sorveglierà i sorveglianti? La donna è astuta, comincerà da quelli.
La donna per noi è la metafora della politica; e, da quanto accaduto da un anno a questa parte, non solo la metafora. Essa ubriaca, mandando fradici i suoi sorveglianti, per dirla col filosofo Platone; li corromperà, per dirla col poeta satirico Giovenale.
Ora, chi sono in una democrazia i sorveglianti? Verrebbe di dire tutti, perché tutti dovrebbero essere sorvegliati e sorveglianti allo stesso tempo. In realtà non è così: i sorveglianti per eccellenza sono i magistrati e i giornalisti. Gli uni hanno per legge l’obbligo dell’azione penale. Gli altri hanno per compito l’obbligo di informare, commentare, giudicare secondo verità. Essi costantemente e istituzionalmente sorvegliano, gli uni per colpire chi non rispetta le leggi; gli altri per informare il pubblico su tutto, sul bello e sul brutto, sull’utile e sul dannoso, sul bene e sul male, per lasciargli la possibilità di farsi un’opinione. Ci sarebbero i sacerdoti, ma essi appartengono più alla Civitas dei che alla repubblica dei cittadini; si limitano a fare pratiche di sdoganamento per peccatori.
Lasciamo stare i magistrati, in questa sede; e parliamo dei giornalisti, che, invece, ci interessano pour cause. Non siamo giornalisti per professione; siamo pubblicisti, essendo altra la nostra professione, educatori per l’esattezza, ed operiamo nel campo dell’informazione, come per continuare il lavoro scolastico extra moenia. Lo facciamo con spirito magistralis. Siamo – come dire – un’anomalia nel campo del giornalismo, che pure è uno dei più compatti e solidali in Italia.
Dire che i giornali informano e basta significa non aver mai aperto un manualetto di politica. I giornali sono rubricati come strumenti di lotta politica. Certo informano. Ma come? E’ raro che di questo argomento se ne parli. Sono caduti tutti i tabù di questo mondo, tranne questo. Si gira attorno al ruolo degli intellettuali, si dicono cose bruttissime sul loro conto; ma dei giornali nessuno parla. Si capisce perché, essi sono come il latino primum vivere; sono il ramo su cui il rimondatore sale per il suo lavoro. Che fa il rimondatore, se la piglia col ramo d’appoggio?
Veniamo al punto. Qualche mese fa Giancarlo Minicucci, direttore da dieci anni del “Nuovo Quotidiano di Puglia” fu rimosso e al suo posto l’Editore, che è la famiglia Caltagirone da Roma, mandò Claudio Scamardella. Per la cronaca, ora Minicucci insieme con un’altra nostra vecchia conoscenza, Alessandro Barbano, è vice direttore del quotidiano romano “Il Messaggero”, di proprietà sempre dei Caltagirone, fra cui Azzurra, moglie di Casini, il leader dell’Udc. “Il Messaggero” e “Nuovo Quotidiano” sono l’accoppiata del prendi due e paghi uno del giornalismo nazionale. Naturalmente uno lo paghiamo noi, l’altro lo Stato munifico elargitore.
Minicucci, quando giunse a Lecce, trovò un giornale che aveva notevoli difficoltà proprio nel suo farsi. Non era male, ma ad un occhio esperto balzavano aspetti quasi artigianali, del “si fa quel che si può”, per intenderci; con gli abiti puliti e ordinati, ma rivoltati. Prima di lui c’era stato Giulio Mastroianni, il quale negli ultimi tempi era come se non ci fosse. Di fatto il giornale era nelle mani dei due vice: Alessandro Barbano e Adelmo Gaetani; tanto che si pensava che o uno o l’altro ne sarebbe diventato il direttore. Né l’uno né l’altro: arrivò Minicucci.
Questi, nel giro di dieci anni, restituì una forte identità al “Quotidiano”, forza e salute, facendo aumentare la tiratura a livelli mai conosciuti prima. Scriveva poco. Se ha scritto una ventina di editoriali in dieci anni saranno stati pure troppi. Ma era molto presente nel giornale. Con lui si ricompose e si rinsaldò la redazione, molto professionale nella cronaca sia cittadina che provinciale, sia ordinaria che politico-amministrativa. Ridusse lo spazio della cultura ad una sola pagina, privilegiando peraltro la letteratura e lo spettacolo, meno la saggistica e la storiografia. Qualcuno, evidentemente, gli aveva detto che qui una casa sì ed una no c’è uno storico o un poeta o tutt’e due le cose insieme. Consentì, tuttavia, un ampio e continuo dibattito politico agli esterni, sia della società politica sia della società civile, sia di destra che di sinistra. Interventi che trovavano nel “Periscopio” di Giacinto Urso il punto di equilibrio. Rispettava i notabili politici locali ma dimostrava di non temerli, tanto da entrare in rotta di collisione sia con Alfredo Mantovano che con Giovanni Pellegrino; e quando c’era da difendere il giornale e i suoi uomini non si tirava indietro.
Nessuno ha spiegato la ragione del cambio. Eppure si tratta di una questione molto importante. L’uomo, come animale, sarà pure ciò che mangia, per dirla con Feuerbach, ma come cittadino è ciò che legge. La lettura è la sua biada: corre, lavora, crea, resiste se si alimenta con una buona biada-lettura. I giornali producono lettura. Ecco perché di essi si dovrebbe parlare ogni giorno. Invece tutto si fa e si disfa nel silenzio più assoluto.
Qualcosa, però, sebbene non detta, traspare. Per prima cosa Scamardella esce sempre ogni domenica con un suo fondo, alla Scalfari di “Repubblica” per intenderci. E, come Scalfari, si propone come interlocutore dei politici. Dice loro come stanno le cose e come dovrebbero stare; cosa sarebbe opportuno fare e come si dovrebbero comportare. Egli sta cercando di dare un’identità politica precisa al “Quotidiano”, meno plurale sul piano partecipativo ma più efficace su quello politico. Ne ha perso il dibattito, che, in un ambiente povero di intelligenze e di coraggio, com’è il nostro attuale, è sempre fastidioso ai politici, pronti a impermalirsi e a minacciare. Il pensiero politico del “Quotidiano” – dice Scamardella, anzi non lo dice, ma lo fa capire – c’est moi. Ha poi ampliato gli interventi dei suoi redattori ai campi più diversi, impegnandoli di più, evidentemente per sottrarre spazio alla partecipazione esterna. Immutata la pagina culturale, sempre molto contenuta, anche se il nuovo direttore ha aperto spazi, prima riservati al dibattito politico, a vagabondaggi lirico-ricreativi.
E’ presto per dire se Scamardella farà meglio di Minicucci, in termini sia di qualità che di quantità (tiratura). Non è affatto presto, però, ipotizzare le ragioni del cambiamento, che si esauriscono per ora in un dibattito politico più sorvegliato, quasi inesistente, ma incanalato verso una direzione. Verso dove? La fine del “Quotidiano” bipartisan per una sorta di irenismo politico, per ora praticato piuttosto che teorizzato, porta a pensare che esclusi gli estremi, che in ogni caso fanno sempre risaltare le idee nella loro forza e nel loro colore, in uno spazio comunque ben delimitato, com’è quello politico, andar verso il centro, dove le forze si svigoriscono e si confondono e i colori s’ingrigiano, è quasi un obbligo.
Si capirebbe, se così fosse, che l’operazione Scamardella per Minicucci ha un obiettivo, che si può benissimo cercare nella formula usata dal “Quotidiano” del 13 aprile nell’annunciare la vittoria a Galatina dell’ex Msi-An, poi Io Sud, Giancarlo Coluccia: “Ha vinto il moderato Coluccia”. Forse non è così, ma sembra che Scamardella sia venuto a Lecce per farci diventare tutti “moderati”.

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