domenica 7 marzo 2010

Salva la democrazia non la legge, per ora

E’ davvero incredibile quel che è accaduto in Italia. In sequenza: liste Pdl alle Regionali escluse per ritardi o vizi di forma nella presentazione in Lombardia e nel Lazio, dove con ogni probabilità sarebbero state vincenti. Sconcerto del PdL che non sapeva dare una spiegazione di fronte a tanta sciatteria di alcuni suoi dirigenti. Imbarazzo degli avversari, che, pensando di avere in pugno una facile vittoria, rimanevano in attesa del "servito": non vogliamo vincere a tavolino – dicevano – fingendosi quasi dispiaciuti; ma non volevano neppure che gli avversari fossero riammessi al “gioco”. Tutto doveva accadere per colpa degli altri, quasi che in politica si possano scindere le parti come si smontano i pezzi di un meccano: da una parte gli uni (i fessi del PdL), da un’altra gli altri (i furbi del centrosinistra) e da un’altra ancora gli elettori, alcuni con libertà di voto e certi della vittoria, altri senza e di fatto esclusi dalla competizione.
Non si rendevano conto i dirigenti del centrosinistra che la situazione era oggettivamente grave e che andava ben oltre gli aspetti formali della vicenda. Si trattava di lasciare senza libertà di voto milioni di elettori, con gravissime conseguenze formali e sostanziali. Gongolavano, sapendo che gli esclusi erano elettori degli avversari. Per fargli capire che si sbagliavano forse ci sarebbe voluto Menenio Agrippa col suo apologo, magari riveduto e corretto, che spiegasse loro che il corpo della democrazia o lo si nutre tutto o tutto muore.
E’ a questo punto che governo e presidenza della repubblica studiavano una soluzione: il decreto interpretativo, cosiddetto, che di fatto riapriva i termini della presentazione delle liste. Così nella notte tra il 5 e il 6 di marzo la soluzione è stata trovata. I giudici dicano quali sono i vizi di forma e tempo ventiquattr’ore per ovviare.
Ma al di là del fatto che c’è la firma del Presidente della Repubblica, che formalmente è decisiva, a tanto mosso per evitare il peggio, l’atto dell’esecutivo è oggettivamente di una gravità inaudita, perché ha cambiato le regole in corso di svolgimento di un confronto elettorale importante favorendo la parte peraltro responsabile del guasto provocato, che è poi la parte che è al governo. Si è passati dalle leggi ad personam alle leggi ad partem. E ciò a prescindere dal fatto che la legge vigente privilegiasse eccessivamente la forma (i termini e le modalità di presentazione) rispetto alla sostanza (diritto alla libertà di voto dei cittadini) e che il decreto interpretativo ha sicuramente sanato una legge rigida e occlusiva.
Il vulnus alla legge è stato preferito al vulnus alla democrazia. Ma, ancora una volta, in Italia legge e democrazia sono entrate in conflitto al punto che si sono escluse a vicenda. E’ stato un pasticcio al pasticcio, perché legge e democrazia non dovrebbero mai escludersi in uno stato di diritto. E’ evidente che nella circostanza i tre poteri dello Stato si sono confusi e intrecciati. Quanto è accaduto non è diverso da quel che poteva accadere in una monarchia assoluta, col re che a fronte di una legge ostile la cambiava nel momento in cui gli tornava utile farlo.
Il vero problema ora è questo. Ci sono ancora in Italia le giuste garanzie di uno stato di diritto? Siamo nelle mani di gente alla buona, senza principi e senza valori? O nelle mani di masnadieri, che operano poco curanti delle leggi? Quel che vediamo e sentiamo ogni giorno provenire dal ceto politico ci dice che siamo nelle mani degli uni e degli altri e che gli uni e gli altri sono, pur con responsabilità diverse, i piloti della deriva culturale e morale del Paese.
C’è una diffusa, pervasiva noncuranza della legge, come se essa non fosse il sangue che circola nelle arterie dello Stato, della Nazione e della Società, i suoi stessi nervi, i suoi muscoli; ma una camicia, un pullover, un foulard da dismettere, cambiare a piacimento. E’ sempre più invalsa l’idea che ad ogni legge se ne può contrapporre un’altra e se non c’è la si può fare con motivi d’urgenza. Questo approccio lede il principio stesso della legge non solo nell’atto della sua violazione, quando la si abroga o la si stravolge, ma anche nella sua ratio iniziale, quando la si imposta e la si elabora. Se una legge la si può abrogare o cambiare con facilità dall’oggi al domani, con altrettanta facilità ne viene ideata ed approvata un’altra. La legge è così svalutata nella sua essenza vitale; di conseguenza sono sviliti i suoi custodi. Al potere dei giudici di interpretazione della legge si sta contrapponendo in maniera sempre più marcata il potere del governo di eliminare leggi ostative e di farne altre più confacenti al suo comodo hic et nunc.
L’aver voluto privilegiare la democrazia rispetto alla legge nella circostanza delle liste escluse è una vittoria apparente ed effimera della democrazia; in realtà è un altro grave colpo alla democrazia stessa. La quale per essere rispettata non ha bisogno di cambiare la legge, ma gli uomini che indegnamente la rappresentano e la maltrattano.
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