domenica 14 marzo 2010

Ma che spettacolo: l'Italia tra dittatura ed eversione

Tanto tuonò che piovve. Da anni le opposizioni di sinistra tuonano e gridano che Berlusconi è l’Ahmadinejad italiano. E’ da anni che Berlusconi tuona e parla di una sinistra eversiva, fatta di magistrati rossi, di giornalisti e conduttori televisivi comunisti, di sindacati strumentalizzati. Alla fine la situazione, seppur non vera, è recepita come nelle iperboli minacciate. Conseguenza: nessun paese europeo si trova nel disordine politico in cui versa l’Italia.
Il caso delle liste del PdL escluse in Lombardia e nel Lazio è la chiara dimostrazione che la “banda di talebani” – così Berlusconi aveva definito quei magistrati che a suo dire lo perseguitano – si sono vendicati mettendosi a fare i pignoli sulle modalità e i termini della presentazione delle liste. Le dichiarazioni più ripetute ed insistite di alcuni rappresentanti della sinistra sul caso hanno dell’incredibile. Dice Bersani: “il governo si preoccupa dell’esclusione di alcune liste dalle elezioni regionali, ma parli piuttosto delle cose che interessano alla gente!”. Ed altri esponenti della sinistra gli fanno eco: “Che Berlusconi si preoccupi di cose più importanti!”.
Ma come, il voto non è cosa che interessi alla gente? Non è importante? Il voto, che è la mamma di tutti i diritti dei cittadini, sempre difeso dalla sinistra, una delle sue massime conquiste nella storia, ora per la sinistra non ha più nessuna importanza! Che restino senza libertà di voto alcuni milioni di elettori per la sinistra italiana è una bagattella?
Di come si sarebbero dovuti comportare a destra e a sinistra nella “comune congiuntura” delle liste escluse si sono sprecate pagine e pagine di giornali. L’una, la destra, non ha voluto essere umile e riconoscere l’errore chiedendo scusa agli elettori; l’altra, la sinistra, dopo qualche dichiarazione di simulata superiorità sportiva (Di Pietro: non vogliamo vincere a tavolino), si è trincerata dietro una reticenza, tanto minacciosa quanto comoda, dimostrando che vuole proprio vincere a tavolino, dato che dispera di poterlo fare sul campo. Intendiamoci, hanno ragione quando gridano allo scandalo del decreto interpretativo. Ma poi cosa propongono? Nulla, che è come dire; vogliamo il tavolino!
Prende sempre più corpo l’idea che gli errori dei responsabili delle liste PdL escluse, sicuramente fatti per incertezze di compilazione ed anche per soverchia leggerezza, sono stati predisposti a far scattare una trappola. E’ la spia di un percorso “eversivo” che la sinistra ha deciso di perseguire, cercando di vincere le elezioni con la scorciatoia dei cavilli, che una magistratura amica trasforma in fattori decisivi di lotta politica.
A mali estremi, estremi rimedi sembra sia la filosofia della sinistra, che ormai va avanti a colpi di mano. Magistrati, improvvisamente pignoli, conduttori televisivi militanti e una piazza scatenata hanno ruoli diversi di un unico piano.
I magistrati. Dopo che alcuni di essi hanno escluso le liste del PdL per vizi di forma, il Tribunale Regionale del Lazio ha riammesso i programmi di approfondimento in campagna elettorale. Quando era Berlusconi a non volere la par condicio tutti gridavano allo scandalo, perché ritenevano che con le sue reti televisive Berlusconi avrebbe sopraffatto gli avversari. Ora che sono quelli di sinistra a disporre delle falangi mediatiche (“Anno zero”, “Ballarò”, “L’infedele”) ecco che contro la par condicio sono loro. A parte il fatto che chiamano programmi di approfondimento quelli che sono autentici linciaggi.
Ancora i magistrati, questa volta della Procura di Trani. In seguito ad intercettazioni telefoniche, hanno scoperto che Berlusconi ha fatto pressioni sui vertici della Rai per sopprimere quei talk show che tante volte lo stesso ha definito pubblicamente nel migliore dei modi “processi pubblici” e nel peggiore “pollai”, intendendo “Anno Zero” del duo Santoro-Travaglio e “Ballarò” del duo Crozza-Floris.
I giornalisti e i conduttori televisivi. Alla notizia delle nuove intercettazioni, regolarmente rese pubbliche, si è scatenata l’altra sponda mediatica, in un insieme dove tutto sembra slegato ma dove tutto in realtà si tiene.
La piazza, metafora per indicare il popolo scontento, in questo caso quello viola, che non sono i tifosi della Fiorentina, ma il variegato mondo di Grillo-Travaglio-Di Pietro e compagni, ha organizzato una manifestazione di piazza per gridare contro l’Ahmadinejad italiano (sabato 13 marzo), appena un giorno dopo che il cugino “popolo rosso” di Epifani ha fatto lo sciopero generale della Cgil (venerdì, 12).
Gogna e spettacolo, spettacolo e gogna devono continuare per far sì che si accrediti in Italia e fuori l’immagine di un paese che si sta rivoltando contro un governo che, liberamente eletto, per i suoi avversari è, invece, una dittatura da abbattere con una guerra di liberazione.
A fronte di quella che lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in genere è misurato nelle parole, ha definito bolgia, il popolo, quello che nonostante tutto crede nella libertà e nella democrazia e che vorrebbe che le elezioni in Italia si svolgessero come in un paese pacifico e unito si dovrebbero svolgere, è veramente sconcertato.
Ma questo popolo, evidentemente non era preparato per affrontare le due anomalie: un Berlusconi sempre più alle corde e insofferente per un verso ed un’opposizione sempre più eversiva per un altro. Questo popolo, per ora, non è rappresentato!
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