domenica 8 novembre 2009

Altro che radici, qui ci negano Cristo!

Qualche anno fa i pontefici romani, prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI, lamentarono il fatto che nel famoso preambolo della costituzione europea non c’era cenno alcuno alle radici cristiane dell’Europa. Sembrava una cosa da niente. Che bisogno c’è di metterle per iscritto? Dissero, imbarazzati, alcuni autorevoli intellettuali e politici cristiani, che non volevano dispiacere ai loro omologhi europei. E poi, se l’Europa è diventata cristiana vuol dire che prima non lo era, perciò viva la sua vocazione ad accogliere altri in costanza di arricchimento di idee e di fedi! Replicarono i più ostinati difensori della laicità.
Era la spia di un modo di pensare l’Europa, non sintesi dei vari popoli europei, nel rispetto delle loro diversità e tradizioni, come sarebbe stato giusto che fosse, ma idea univoca, una sorta di tassa comunitaria, alla stregua di una quota-latte. Era ed è questa l’idea di Europa che hanno quei signori che s’aggirano tra Belgio, Olanda e Lussemburgo, i cittadini della “città della nebbia”, nuova utopia in contrapposizione alla “città del sole”. Tant’è che, in ragione di quell’idea, essi discriminarono Rocco Buttiglione, non facendolo diventare commissario europeo. Alla loro domanda: “che pensi dell’omosessualità?”, quello rispose con assoluta onestà: sono un cattolico e perciò la ritengo un peccato. Raus! Gli dissero, non sei degno della carica.
Sapemmo, allora, che in Europa i cattolici professi, in quanto tali, non hanno gli stessi diritti che hanno gli altri. Forse Buttiglione avrebbe dovuto fare come tanti di quei parrucconi di Bruxelles o di Strasburgo e dintorni, che in privato sono omosessuali e pedofili, alcolisti e cocainomani, e in pubblico sono icone del più puro pensiero democratico.
Oggi la Corte di Strasburgo, accogliendo il ricorso di una (dico una) finlandese stanziatasi in Italia, ha sentenziato che il Crocefisso non deve stare nelle aule scolastiche perché lede la libertà di formarsi nelle proprie credenze di chi cristiano non è. Siamo passati – come si vede – dal non considerare le radici cristiane alla campagna di scristianizzazione dell’Europa. Siamo passati dalla dittatura della maggioranza a quella della minoranza, anzi della minimanza. Non è più la cosiddetta normalità a non tollerare la diversità, ma il contrario: un’intolleranza alla rovescia.
Ora, a parte la questione personale, che ogni cittadino italiano può e deve porsi, sol che lo voglia, rispondendo a se stesso sul suo rapporto col cristianesimo o con la fede in generale, c’è una questione di etica nazionale. Ognuno di noi è individuo e cittadino. Come individuo può anche non credere in nessun Dio né tanto meno nella sacralità del Crocefisso; ma come cittadino non può assolutamente ignorare di aver già metabolizzato nella sua storia, nella sua identità, nella sua cultura, nel suo essere, tanto di quel cristianesimo che l’ipotizzare un diverso rapporto col sacro che lo riguarda, dalle icone domestiche al cimitero, dai monumenti alle chiese, dal nome delle strade al nome dei paesi, dalle nicchie votive urbane a quelle rurali o montane, comporterebbe una seria difficoltà perfino a riconoscersi; diventerebbe come il pirandelliano Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila.
Neppure Roma, ai suoi magnifici tempi imperiali, proibiva ai popoli sottomessi di avere le loro pratiche religiose, di esibire i loro simboli. Si accontentava che rispettassero le leggi civili e che pagassero i tributi. Che diritto ha oggi una corte europea, che non ha prerogative imperiali, che non ha sottomesso nessuno, di imporre leggi spirituali e culturali, di dire: voi italiani, basta quanto siete stati italiani, da oggi in poi dovete essere diversi?
Si limitino i signori della corte ai traffici e ai commerci, alle misure economiche e finanziarie, alle dimensioni delle banane, e lascino stare la tradizione nella quale ciascun popolo si riconosce da millenni! Purtroppo non è un caso che questo fiume carsico del fanatismo e dell’intolleranza scompaia e ricompaia nel cuore dell’Europa. Carlo Magno ai suoi dì macellò, in ripetute spedizioni, centinaia di migliaia di Sassoni che non si piegavano alla sua religione; Hitler, non potendo trasformare gli ebrei in non ebrei, decise di toglierli tutti dalla faccia della terra. Ora il nuovo totalitarismo imperante, sotto mentite spoglie, vuole che gli europei siano tutti grigi come il colore del cielo continentale, da dove sono sempre fuggiti gli spiriti più liberi e vivaci. Da dove preferiva allontanarsi lo stupor mundi, quel Federico II di Svevia, che non era un bacchettone al servizio del Papa, e dimostrò che si può rispettare l’altro senza tradire se stesso.
Non ricordo personalmente di aver abitato da bambino una casa diversa da quella in cui ho trascorso gran parte della mia infanzia. I miei ricordi arrivano a quella dirimpetto alla chiesa romanico-bizantina della Madonna della Strada, a Taurisano. Vedevo la gente che passava di lì segnarsi, farsi il segno della croce, fare un lieve cenno di saluto, baciarsi la punta della mano destra e poi alzarla verso di lei; e ancora oggi lo fa, passando davanti ad un’icona, ad una nicchia votiva, ad un’immagine sacra. Così imparai a fare anch’io e tutti gli altri bambini. E ogni volta che passo di lì o da dove c’è un luogo sacro, ancora oggi mi porto pollice e indice uniti della mano destra alle labbra, per mandare un bacio di saluto e di rispetto. Eppure – maledizione! – ho perso la fede da non ricordo più quanti anni.
Ma se la fede l’avevo, l’ho persa e potrei ritrovarla, mi chiedo: che può comportare la presenza dei simboli religiosi al formarsi liberamente di una persona? Nulla, non influisce minimamente. Sono semmai gli uomini che ti fanno acquistare o perdere la fede, coi loro esempi.
Per favore, perciò, signori della Corte di Strasburgo, lasciate a ciascuno il Crocefisso suo; non foss’altro che per ricordarsi chi è e soprattutto di chi è figlio!

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