sabato 31 agosto 2024
L'estate sta finendo...anzi no
L’estate sta finendo…, così cantavano i Righeira, un gruppo musicale che spopolò negli anni Ottanta. Manca meno di un mese al burocratico finale di stagione, ma il caldo continua, come se non esistesse il calendario. La natura non obbedisce ai decreti degli umani. L’estate ha sparato i suoi fuochi, roventi, che ci ha fatto dire «mai come quest’anno!». Ora è alle ultime saette; e ci prepariamo ad un lungo autunno-primavera.
Ormai le stagioni sono ridotte a due: estate e pre-estate. Il cambiamento climatico è sulla nostra pelle. L’inverno non c’è più coi suoi rigori di gennaio e di febbraio, coi giorni della merla, col freddo ostinato di febbraio, minaccioso: se i giorni miei li avessi tutti farei cagliare il vino nelle botti.
Nessuno può dire che tutto ciò è normale, solo i ragazzi che non hanno conosciuto il prima. Negli occhi e sulla pelle di tutti c’è qualcosa che prima non c’era. Cinquant’anni, per riferirci agli ultimi, di aggressione al verde delle campagne, dei giardini, dei parchi, del verde pubblico e privato, hanno creato il deserto. «Là dove c’era l’erba ora c’è una città» cantava Celentano nel 1966. Ettari ed ettari di verde sono stati sostituiti dal cemento. Il Salento è una landa piatta, caratterizzata dalla mancanza di corsi d’acqua e di rilievi per il gioco naturale degli elementi. Il Salento ubertoso, ricco di arboree ombre, di squarci di sole e di freschi ripari è un ricordo.
La distruzione di milioni di palme e di milioni di ulivi, annientati dal punteruolo rosso e dalla xylella, ha alterato l’equilibrio naturale, ha privato il territorio delle sue resistenze e lo ha esposto alla “vendetta” della natura. Che, perciò, ha chiuso l’ombrello. Prima le campagne erano separate da viuzze e lungo i muretti a secco erano piantati alberi in filari come andava lo sterrato: lecci, ulivi, peri, giuggioli, prunastri, viscioli sì che l’ombra da qualunque parte fosse il sole copriva sempre.
Ora ne prendiamo atto tutti, dubbiosi e ideologicamente prevenuti, che anche l’uomo ha avuto la sua parte nel processo del cambiamento. Anche quest’anno centinaia di migliaia di ettari di bosco sono andati in fumo, in gran parte per opera di criminali, ma anche per la mancanza di prevenzione e di adeguata repressione. A Roma ci sono stati due incendi che hanno lambito addirittura le strutture della Rai. Il fuoco è alle porte di Roma, anzi le ha varcate. I nuovi barbari, che nessun Leone Magno potrà mai fermare!
Papa Francesco non ha scelto un nome, ha scelto un programma, che evoca il cantico delle creature: il sole, la luna, le stelle, l’acqua, la terra: il creato; ma è troppo misericordioso per essere convincente. Ha abolito i peccati e la seconda parte del cantico, laddove il «guai!» suonava come un’inevitabile minaccia a chi si trova, morendo, nel peccato. Gli uomini, non solo gli italiani e i salentini, stanno dimostrando a tutti i livelli di essere sordi e ciechi di fronte alla realtà. Facciamo i nostri comodi e stupidamente non pensiamo ad altro. In alcuni paesi del Salento sono stati espiantati meravigliosi filari di pini italici perché rendevano impraticabile il fondo stradale con le loro radici e minacciavano le case che nel frattempo erano state costruite abusivamente. Rimondatori improvvisati hanno fatto seccare splendidi esemplari di casuarina e di pini d’Aleppo; boschi di querce, di roverelle e di carrubi hanno lasciato il posto all’urbanizzazione selvaggia.
Le piazzole di sosta delle nostre strade sono piene di rifiuti, quasi fossero state fatte apposta per i vacanzieri che lì scaricano i loro “cessi” prima di arrivare in Svizzera, in Germania, in Olanda, in Belgio, dove gli stessi diventano modelli di disciplina e di pulizia. Quasi tutti gli incendi sono provocati dall’uomo non solo per insania mentis ma anche, a volte, solo per fare pulizia sommaria. Montagne di rifiuti, carta plastica legno gomma, insieme, creano un ambiente insopportabile per chi ci abita vicino, ricettacolo anche di topi, volpi, faine, lupi e cinghiali; e allora, via, tutto al fuoco purificatore. Solo che questo non sa cosa sia la distinzione e dallo sporco dei rifiuti passa agli alberi, alla vegetazione, fino ad aggredire tutto ciò che è suo.
La polemica se la colpa è solo della natura e non anche dell’uomo è pretestuosa. Se vogliamo, anche l’uomo rientra nella natura e quello che fa è un’aggiunta a quello che la natura fa da sé. Dunque non possiamo continuare a chiamarci fuori. Tenere puliti i luoghi non è solo questione di civiltà è diventato un bisogno. Le pubbliche autorità devono provvedere a vigilare e a stroncare qualsiasi principio di inciviltà e di strafottenza.
Non so se è vero che da qualche parte è scritto che il secondo giudizio universale sarà un lento e progressivo suicidio dell’umanità. Ma già è chiaro che quanto sta accadendo sembra dar ragione alla triste profezia.
sabato 24 agosto 2024
Politici, giornalisti e giudici
A volte lo si chiama “don Donato” prima che questi sia nato. Non c’è notizia, allora: inventiamola. In onda, la trasmissione di «La 7», una delle corazzate mediatiche anti destra, da qualche sera non fa che parlare del nulla, che tradotto sarebbe un’indagine della magistratura su Arianna Meloni per traffico di influenze in relazione ad alcune nomine del governo. La notizia l’ha sparata il direttore del «Giornale» qualche giorno fa. Sallusti è credibile? Tutto fa pensare di sì. Può essere che, grazie ai rapporti che ha con il mondo della giustizia, sia venuto a conoscenza di qualcosa. Sarebbe venuto a sapere, il condizionale è d’obbligo, che qualche procura stia indagando sui comportamenti della sorella del Presidente del Consiglio, ipotizzando il reato di cui sopra. Che Sallusti non riveli la fonte è normale, ci mancherebbe altro.
Il traffico di influenze è un reato ancor più aleatorio dell’abuso d’ufficio, che è stato eliminato di recente, ed entra nella riforma Nordio. Si tratta di un reato che alcuni anni fa trovò Alberto Sordi a rappresentarlo nel comico di un film. Consiste nel vantare rapporti importanti con un pubblico ufficiale allo scopo di ottenere beni o favori ed è regolato dall’art. 346 bis del c.p.. Il buon Sordi del film lo faceva per “professione”, entrando e uscendo dai vari uffici, come se fosse di casa.
Si vorrebbe dimostrare che Arianna Meloni, che è uno dei massimi dirigenti di FdI, nonché sorella di Giorgia e moglie del ministro Lollobrigida, abbia influenzato il governo nella scelta di alcune nomine, fra cui quelle della Rai. Se lo ha fatto era lecito che lo facesse. Che fa un dirigente di partito se non collaborare a ogni livello coi suoi colleghi? Oggettivamente Arianna Meloni è un soggetto che potrebbe influenzare. E ci sarebbe da meravigliarsi che non lo fosse nelle funzioni che svolge nel partito. Come si fa a non pensare che Giorgia e Arianna non si sentano, non si scambino reciproci consigli su cose pubbliche e private? E dove sta il reato, se la questione è tutta qui? Reato sarebbe se si dimostrasse che Arianna Meloni ha ricevuto una qualche ricompensa per aver influenzato la sorella a nominare Tizio piuttosto che Caio. Insomma, il reato lo fa il tornaconto personale, non la parentela, non l’azione, lecita fino a prova contraria, di una consulenza, di un consiglio. Invece niente. L’accusa sarebbe che lei, in quanto non facente parte del governo e non essendo neppure parlamentare, avrebbe fatto da ninfa Egeria per la sorella.
La cosa potrebbe finire in una bolla di sapone. Ma, intanto, le televisioni portano in casa degli italiani il sospetto che Arianna Meloni sfrutti la sua condizione per chissà quali vantaggi personali. L’espressione poi di traffico di influenze, non facilmente comprensibile dal comune cittadino, crea atmosfere torbide di familismo.
Altro è sostenere che il triangolo Giorgia-Arianna-Lollobrigida è di per sé discutibile. Non c’è una legge che vieti la parentela tra soggetti di un partito o di un governo, ma sarebbe opportuno non crearle certe situazioni per non esasperare le opposizioni, per non scandalizzare i cittadini, per non esporsi al sospetto.
Il fatto è che nel nostro Paese tutto fa brodo. Non è importante la verità, ma il dubbio e il sospetto. Basta questo per alimentare lo scontro politico, i conflitti tra i vari poteri dello Stato. E, infatti, subito si è acceso ancora una volta il fuoco dello scontro coi giudici, i quali dicono di sentirsi minacciati da un esecutivo esuberante. In questo “dalli e dalli”, tutti contro tutti, non si sottraggono i giornalisti televisivi, che sono autentici “agenti”, solo apparentemente in incognito. Le loro prestazioni sono suasorie, recitazioni tra il comico e il farsesco, tese a persuadere la gente di tutto il negativo di cui possa essere portatore il governo.
C’è da fare un’ultima considerazione, che non pare tanto peregrina. A pensar male…diceva Andreotti! Non è che stiano incominciando a battere sul traffico di influenze per fargli fare la fine che ha fatto l’abuso d’ufficio? Se così dovesse essere sarebbe grave, perché un reato in politica non danneggia mai una sola persona, ma inquina l’ambiente e colpisce l’intera società. Un reato non dovrebbe mai essere abolito, semmai perfezionato nei suoi aspetti procedurali in tutti i suoi passaggi. Abolito l’abuso d’ufficio il cittadino è più esposto alle angherie del potere; abolire il traffico di influenze significherebbe legittimare un vizio già ampiamente diffuso in questo paese, quello della raccomandazione.
sabato 17 agosto 2024
L'incagnata
Che spettacolo è quello del cosiddetto conduttore o conduttrice e di tre-quattro ospiti che chiacchierano su tutto e cercano di sovrapporsi l’uno all’altro come a Gallipoli nell’asta del pesce? In genere viene sempre in prima serata, dopo i telegiornali, che sono discutibili quanto si vuole, ma in fondo ti informano con rappresentazioni della realtà e brevi commenti didascalici, e l’intervento dei protagonisti dei fatti. Lì, sì, che capisci qualcosa. Ma nelle baruffe neochiozzotte della televisione oggi che si capisce?
Ogni rete ne ha tre o quattro. Li chiamano all’inglese talk show. Una volta per imbrogliare la gente c’era il latinorum, oggi c’è l’inglesorum. A seguirli tutti non ce la fai sia per la simultaneità e sia perché verresti assalito da crampi al cervello, non più capace di prendere il telecomando e spegnere il maledetto arnese torturatore. Un po’ rappresentano la politica, un po’ la condizionano.
Dicono di essere quasi tutti giornalisti, i partecipanti, ma assai diversi dagli altri. Magari scrivono pure, hanno delle rubriche sui loro giornali. Se ti ci imbatti e non ti piacciono, ad incominciare dalla faccia, passi avanti e li mandi affanculo. (La nobiltà della parolaccia dipende da chi la dice. Aristofane insegna!) Ma con la televisione che fai, come fai? Cambi canale! Macchè non cambi un cazzo (come sopra!), giri e giri e ti trovi sempre con un altro conduttore o conduttrice, con altri ospiti e le stesse gridate. “Sto parlando io”, “Io non ti ho interrotto”. “Lasciatemi finire il concetto”. “Tu obbedisci a chi ti paga”. “Perché, tu no?”. “No, io sono libero”. “Ma va là!”. E, invece, stanno tutti lì per il gettone di qualche spicciolo di Euro.
Poi ci sono i più maleducati e insofferenti, che sono gli esperti, non ci stanno ad aspettare il loro turno e si sovrappongono agli altri con la boria di essere più “saputi”. In genere interviene il conduttore, che cerca di portare la calma senza riuscirci. Meglio riescono le conduttrici, che minacciano di spegnere i microfoni. Tolgono la parola a chi vogliono e a chi vogliono la danno. Cose da manicomi, che oggi non ci sono più e forse per questo i protagonisti di simili scempi non si rendono conto, manca loro la pietra di paragone. Ci fosse ancora la commedia all’italiana, almeno! Macché, neppure quella!
Ma la cosa che irrita di più è che a seconda della rete, può essere di destra o di sinistra, governativa o antigovernativa, è che lo spettacolo ti obbliga a veder fare strame della verità e del buon senso. Una volta la verità era il risultato di un processo maieutico (Socrate). Oggi dalla “verità” si parte per finire alle legnate. Una volta l’esagerazione era parlare del sesso degli angeli, oggi del sesso della pugile algerina Imane Khelif, che non si sa se è maschio di sotto e femmina di sopra o viceversa. (Anche la volgarità è nobile. Dipende dalla fonte).
Nel momento in cui ti sintonizzi ad uno spettacolo simile sai che conduttore o conduttrice non cerca di ricavare dal gran casino un minimo di verità, che è la deontologia del giornalista, ma di dare quante più legnate possibile alla parte avversa. Cioè, sai in partenza che spettacolo ti aspetta. È come vedere un film giallo con la rivelazione dell’assassino in principio. “Signori, l’assissino è questo!”. Così se vai sull’una, sono botte da orbi al governo e alla destra e al povero fesso che fa lì da alibi di imparzialità, solo contro quattro e l’arbitro che gli va contro. E se vai sull’altra, succede esattamente la stessa cosa a legnate invertite. E il bello, si fa per dire, è che sono tutti molto permalosi, se poco poco dici al conduttore o alla conduttrice di essere di parte, Dio liberi, è capace, specialmente se donna, di rovesciarti il mondo sopra. Alla fine tra di loro sono solidali, d’amore e d’accordo, sono giornalisti! La pagnotta viene prima di tutto.
Bene fece Berlusconi quando si alzò e con eleganza mandò affanculo la Lucia Annunziata, che pretendeva che il Cavaliere dicesse le cose che lei voleva sentirsi dire.
Schifezze simili non si capisce come siano giunte a tanto in un paese che è noto nel mondo per la cultura, per l’arte, per la raffinatezza dei gusti. Questi spettacoli sono epidemici, purtroppo fanno scuola, creano tendenza, distorcono la verità per propagandare gli interessi dei loro “padroni”. Naturalmente, guai a parlare di padroni! Meglio parlare di corde in casa dell’impiccato. Dicono torvi e minacciosi di essere liberi, liberissimi. Questi cani arrabbiati, lasciati a digiuno ventiquattr’ore prima, per arrivare all’incagnata più affamati e più aggressivi!
Una volta, quando si era più poveri, c’erano le tribune elettorali e i confronti dei leader con un conduttore, quello sì imparziale e professionale. Io sì me li ricordo i Jacobelli, i Vecchietti, gli Zatterin, spasso televisivo di Alighiero Noschese che li imitava. Ma forse la ricchezza, in cui siamo caduti, dico caduti, invece di migliorarci, ci ha peggiorati. Speriamo non irrimediabilmente.
sabato 10 agosto 2024
Anniversari. 8 agosto 1956: la tragedia di Marcinelle
All’anagrafe di Taurisano non sono pochi i Pasquale Stifani, tutti nipoti dell’unica vittima di Taurisano nella tragedia di Marcinelle: Stifani Pasquale, detto Ninu (1924-1956). In quell’inferno, che esplose a più di mille metri di profondità, morirono 262 minatori di 12 nazionalità diverse; gli italiani furono quelli che pagarono il prezzo più alto: 136 vittime.
Perché tanti italiani in Belgio in quel periodo, ben 44mila? Già in precedenza, durante il fascismo, il governo belga aveva richiesto al governo italiano manodopera per le miniere di carbone. Mussolini, provocatoriamente, chiese se nelle miniere c’erano finestre e alla risposta scontata disse che gli italiani non lavorano dove non entra la luce del sole. Una mussolinata, perché gli italiani lavoravano, e come!, nelle miniere in Sardegna. Ma, evidentemente, per il Duce, lavorare in miniera per la patria è un conto, per capitalisti stranieri, un altro; la cosa gli provocava rigurgiti socialisti.
L’Italia, all’indomani della sconfitta militare nella seconda guerra mondiale, aveva un’altra classe dirigente, più realista e più consapevole dei bisogni del Paese; e soprattutto aveva le ali più abbassate. Di quanto era accaduto nel mondo aveva la sua parte di responsabilità, di cui ora doveva farsi carico la nuova dirigenza.
Così, il 23 giugno 1946, l’allora presidente del consiglio italiano Alcide De Gasperi rispose positivamente e firmò un accordo col governo belga. Il che andava incontro sia alle esigenze belghe sia all’Italia, che, in questo modo allentava la crisi occupazionale e nello stesso tempo aveva il carbone, di cui aveva necessità per riavviare l’industria italiana. L’accordo prevedeva che per ogni minatore italiano c’era un corrispettivo da 2,50 a 5,00 tonnellate di carbone.
Posto così, il discorso sembra oltremodo immorale. Non si scambia la vita umana né con soldi né con altro. Perché, se è vero che non tutti i minatori sono morti giù in miniera in incidenti come quello di Marcinelle, è anche vero che tutti i minatori, dopo anni di miniera, hanno contratto malattie tipiche, come la silicosi, la pneucomoniosi, l’artride reumatoide, che hanno reso più penosa e più corta l’esistenza in vita. Si può dire che dopo una guerra ce ne fu un’altra, che colpiva però solo una parte della popolazione, mentre neppure essa si accorgeva delle ferite che quotidianamente subiva. Da questo punto di vista si può dire che le vittime di quella “guerra” non si contano.
I paesi che hanno avuto vittime a Marcinelle hanno avuto modo di riflettere ancora di più su quella tragedia. Taurisano è uno di questi. Eravamo ragazzini nel 1956 e Antonio Stifani, figlio di Pasquale era nostro amico. Rimase orfano insieme alla sorella. I due ragazzi furono assistiti dalle istituzioni per l’interessamento di alcune personalità influenti di Taurisano, fra cui il dr. Luigi Lopez y Royo dei Duchi di Taurisano, all’epoca consigliere provinciale. Quei ragazzi furono tolti dal loro ambiente famigliare e paesano per tutto il periodo della scuola elementare e media. Noi, amici, fummo deprivati della loro compagnia.
Grazie anche al fatto che Antonio è divenuto poi docente di materie letterarie, sindaco di Taurisano e più volte consigliere provinciale, di quella tragedia non ci siamo mai dimenticati, ben oltre quello che fa l’informazione pubblica ogni anno. Si consideri che all’epoca non erano molti i televisori a Taurisano. La Rai aveva iniziato le trasmissioni due anni prima, nel 1954. La tragedia, perciò, fu vissuta porta a porta.
Alcuni anni fa, il Comune di Taurisano ha fatto gemellaggio col comune di Manoppello, in Abruzzo, che ebbe a Marcinelle ben 23 vittime, un paesino di qualche migliaio di abitanti. Perché tanti? Perché, come accade nel mondo degli emigranti, basta uno per aprire la strada agli altri, per lo più parenti e vicini di casa. Si formano così piccole colonie.
A Taurisano rimase vittima solo lo Stifani, perché i tantissimi altri minatori taurisanesi o erano in altri bacini carboniferi o osservavano altri turni di lavoro. Quando la salma arrivò a Taurisano fu un evento, con larghissima partecipazione di gente comune e di autorità civili e militari.
A Manoppello c’è un monumento che ricorda quelle vittime. Anche in altri comuni ve ne sono. A Casarano c’è il monumento al minatore, di cui si occupò l’ex minatore Lucio Parrotto. A Taurisano ancora niente. Ma non è detto che non si faccia. La miniera di Marcinelle è stata chiusa ed è diventata Patrimonio dell’Umanità Unesco, luogo dell’intelligenza universale. Un monumento al minatore o alla tragedia di Marcinelle ci consentirebbe di avere un contatto perenne.
sabato 3 agosto 2024
I dolori di Frau Ursula e le licenze della sora Giorgia
C’è un modo di dire da noi salentini che pressappoco suona così: «ogni mucchiu è nnu turchiu», cioè ogni mucchio di cose che ben non si distinguono è un turco. Ciò sottolinea la paura atavica di noi salentini per i turchi, per cui qualsiasi cosa che non si veda bene è scambiata per un turco.
Dopo la devastante esperienza dei fascismi nel mondo, nel corso del XX secolo, i turchi sono stati sostituiti dai fascisti, ed ecco che ogni politico che parla di Dio, patria, famiglia, ordine, produttività, efficienza, onore, tradizione, non si capisce di che cosa parli e si grida “mamma, i fascisti!”.
Ho avuto personalmente la fortuna o la sfortuna, a seconda dei punti di vista, di vivere a Berna per due dei miei anni più formativi, dai quindici ai diciassette; e colà ho avuto modo di apprezzare il “fascismo”. Sissignori, tutto ciò che specialmente in Italia passa per fascismo ed è aborrito, da quelle parti è normale ordinamento di vita. Colà la democrazia, il liberalismo, il socialismo, il rispetto della persona e dello Stato, delle leggi e delle costumanze, sono un consolidato modo di vivere, accettato senza tanti arzigogolii filosofici ed ideologici.
Arrivo al dunque, sperando che l’aperitivo non sia andato di traverso a qualcuno. Sarà stato un caso ma appena si è profilata all’orizzonte la nave con le vele nere della Meloni, con lei stessa sulla prora e i capelli biondi sparsi al vento, che sembrava l’eroina del Titanic, c’è stato dalla Rai un fuggi fuggi, come i topi che appena sentono il primo giro di serratura la mattina presto in un vecchio negozio scappano da tutte le parti. Non sto qui ad elencarli tutti i sorci scappati dalla Rai. Alcuni erano bravi, altri di meno.
Le opposizioni hanno subito colto la palla al balzo e hanno gridato a Tele Meloni, non sapendo che dire, ponendo un problema che non esiste. Che però è esistito quando la Rai era tripartita: Uno-Dc, Due-Psi, Tre-Pci. E gli altri? Non avevano diritto, erano fuori dall’unione matrimoniale, pardon, costituzionale. Ma di quelli, chi se ne frega? Ringrazino Iddio che non sono stati reclusi a vita.
Comprensibile che Frau Ursula von der Layen si sia allarmata e nelle sue note sullo stato di diritto nell’Unione Europea abbia attenzionato l’Italia. Ahi, ahi, ahi, liebe Ghiorghia, che mi combini? Nota: il suono della g in tedesco è sempre gutturale.
La Ghiorghia le ha inviato una lettera in cui si fa le sue ragioni, semplicemente dimostrando che in Italia non c’è nessuna limitazione all’informazione pubblica. Chi se n’è andato dalla Rai lo ha fatto per motivi suoi, comprensibilissimi, che con la politica hanno a che fare ma non nel senso che si vorrebbe accreditare. E, poi, diciamo la verità: alcuni erano ormai dei vecchi ottoni.
Il problema della libertà di stampa in Italia ancora esiste, nel senso che, laddove i direttori di giornale o di rete, privati, possono, operano da autentici dittatori e fanno le discriminazioni che vogliono. Giornali in cui si danno il cambio cinque o sei esponenti di sinistra, sistematicamente, nella totale assenza di esponenti di destra. I motivi dell’esclusione sono tanti e possono essere variamente giustificati. Solo in un modo non possono essere giustificati ed è quello della discriminazione politica quando così la si chiama perché così è. Chi si riempie la bocca, ed ovviamente la pancia, di democrazia e di libertà di parola e di pensiero, neppure si accorge del gesto che compie con la mano sconnessa dal cervello quando clicca su un file e lo porta nel cestino.
Se fossi il fascista che molti dicono che io sia, direi bravo, hai compiuto un bel gesto, amico; ti capisco. E poco importa che l’hai fatto contro di me! Chi non la pensa come te non ha diritto di parola. Ma io sono io, starei per continuare alla Sordi…ma mi accorgo che sono gli altri a poter usare quel linguaggio nei miei confronti. Perché a non essere un cazzo sono io.
Ora, per non pagare le quattro grane, come si diceva al tempo dei Borbone, dico che sono il fascista di Berna e che qui, in Italia, non so più chi sono. Mi guarderei bene dal dirmi fascista e non perché un Giuli al Maxxi mi porrebbe in una pozzanghera, mentre lui siede su poltrone dal fondo soffice e dai fregi dorati, o per non dover subire i rigori della legge, ma per non offendere i miei tanti amici bernesi, i quali di essere fascisti non passa loro neppure dalla mente, sono solo dei cittadini, che non si sognerebbero mai di affibbiare epiteti al prossimo allo scopo di escluderlo. Du, ja, lieber Ghighi – mi direbbero – du bist ein richtige Italiener.
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