lunedì 4 dicembre 2023

Atrocità e televisione

La televisione deve educare, non può limitarsi a divertire e a distrarre la gente, e se pure propone spettacoli di svago il fine degli stessi non può che essere educativo. Non può proporsi di rendere gli individui dei beoti. Vale per tutta la televisione, perfino per gli stacchi pubblicitari, se in qualche modo essi mancano di rispetto allo spettatore. Vale per internet, che ha trasferito la conoscenza dell’individuo dal cervello alla tasca, chiusa in pochi grammi di diavolerie elettroniche. Ognuno pensa di possedere lo scibile chiuso nel suo smartphone a portata di mano. Chi mai ci salverà da questi due “pericoli” della vita odierna? Accade che perfino i conduttori televisivi si trasformino in guitti e mischiano il messaggio serio con lo sberleffo. I primi a non essere creduti sono proprio loro, tradendo nella gestualità e nella mimica oltre che in quello che dicono la vacuità delle tesi che sostengono. E tutto questo perché? Per attrarre spettatori, per aumentare ascolti e pubblicità. Più spettatori ha una trasmissione e più sono i fruitori, gli acquirenti, i consumatori dei prodotti pubblicizzati. In questo eccellono le televisioni commerciali, che hanno monopolizzato quasi del tutto i talk politici e gli spettacoli trash. Ma neppure la Rai, che pure si muove in un’ottica diversa, dimostra di avere sempre rispetto per lo spettatore. Accade, per esempio, che mentre non ti sei del tutto ripreso dalle scene di guerra, di morte e di distruzione, provenienti dall’Ucraina a da Israele, che i Tg ti fanno vedere, vieni scaraventato nell’allegra brigata di Fiorello e compagni dello spot per “Viva Rai 2!”. Di punto in bianco ti trovi nel bel mezzo di una compagnia di burloni che, tra lazzi scherzi sfottò motteggi e autorisate, ti portano in un mondo di gaudenti balordi. Dove tu non vuoi proprio finire. A prescindere se le battute di Fiorello vanno in direzione di destra o di sinistra. Si dice: puoi cambiare canale. Ma intanto ti verrebbe voglia di cambiare epoca, se fosse mai possibile. Perché dobbiamo ridere? Che c’è da ridere? Perché distrarci, divertirci se tutt’intorno c’è il disastro? Siamo diventati tutti un popolo di irresponsabili burloni? Perché non dobbiamo pensare seriamente ai problemi che ci assillano? Marx – chi era costui? – diceva che la religione è l’oppio dei popoli. Con lo stesso metro di giudizio si può dire che Fiorello l’ha sostituita alla grande. Per favore, ridateci la religione! Ci immaginiamo quali danni subisce il nostro cervello, la nostra psiche, passando, sia pure per pochi secondi, da una condizione di sofferenza ad una di allegra balordaggine? Come dall’acqua calda all’acqua ghiacciata. C’è gente che di fronte alle disgrazie del mondo non vuole né confortarsi né rallegrarsi con altro. Come puoi volerti distrarre dopo aver appreso dell’ennesimo ammazzamento di una ragazza che proprio nel giorno dell’uccisione doveva discutere la tesi di laurea? La gente vuole riflettere. E invece sembra che la serietà sia diventato l’ottavo vizio capitale. Dunque, si consenta alla gente di piangere quando c’è da piangere e di ridere quando c’è da ridere. La televisione non lo consente di fare e ti sbatte da una parte all’altra senza nessun rispetto, facendoti perdere il senso delle cose, mettendoti sul sentiero del più becero nichilismo. Intanto l’informazione, per dovere di cronaca, non può non insistere sui soliti drammi che colpiscono l’individuo e la società. Di fronte ai quali il solito esperto ti ripete un mantra ormai vuoto come una bolla di sapone. Bisogna incominciare ad educare i ragazzi in famiglia e a scuola, come se in questi due “luoghi” sacri della crescita dell’individuo non si insegnasse da sempre il rispetto dell’altro! Come se famiglia e scuola non fossero già luoghi dove si esercitano da parte dei ragazzi le imprese più deprecabili, come pretendere in casa il soddisfacimento di ogni capriccio, come sparare a scuola agli insegnanti dopo averli insultati sul web, sui muri, di persona. Non si vuole ammettere che la colpa è dello Stato, ovvero delle sue classi dirigenti, che invece di preoccuparsi dei bisogni fondanti della convivenza civile assecondano mode per conquistare consenso, introducono leggi che vietano di intervenire ai genitori e agli educatori come converrebbe, favoriscono ogni tendenza a fare quel che ognuno vuole fare, ad essere quel che ognuno vuole essere. Non si è ancora capito che dove ognuno fa quel che vuole è giungla, vige la legge del più forte; e il più forte ha sempre prevalso sul più debole. La storia di Caino e Abele insegna che al più debole non basta avere dalla sua parte neppure Domineddio.

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