sabato 14 ottobre 2023

Israle, la difficile posizione

La guerra israeliano-palestinese, riesplosa sabato 7 ottobre, pone la comunità internazionale di fronte ad una difficile posizione. E ciò a prescindere dall’orrore delle nefandezze dei palestinesi compiute ai danni di civili israeliani, bambini giovani anziani, sui quali si sono abbattuti come una valanga travolgente e improvvisa che a noi italiani ha ricordato quella del Vajont, di cui, in quegli stessi giorni si ricordavano i sessant’anni decorsi. Una furia selvaggia, biblica, di cui solo la natura è capace, lei sola priva di anima, di cervello, di cuore, come se rispondesse ad un dio in collera. I testimoni che hanno potuto riferire quanto accaduto hanno parlato di inaudita ferocia, di allegra mattanza, compiuta in stato di eccitazione tribale. Nell’immediatezza non si può che esprimere una condanna netta e illimitata, non si può pensare che ad una punizione meccanica, a cui Israele ci ha da sempre abituati. La qualcosa significa stragi di uomini, donne, anziani e bambini palestinesi, diversamente trucidati, come l’assedio posto in essere dagli israeliani a Gaza fa pensare. Ma se pure fosse non sarebbe la soluzione di un problema che la storia ci dice non avere soluzione. Una mattanza dopo l’altra. L’ennesima tappa barbarica verso un traguardo civile irraggiungibile. I palestinesi vogliono la loro terra, che è la stessa rivendicata dagli israeliani. Per i palestinesi gli israeliani sono degli invasori. In altre epoche noi italiani abbiamo combattuto per la liberazione di interi territori dal dominio straniero. Noi abbiamo in Garibaldi il simbolo delle nostre rivendicazioni nazionali, abbiamo in poeti e scrittori di alto profilo formativo i nostri profeti, Foscolo e Manzoni su tutti. Pur negletti di questi tempi essi ci consentono di scorgere sotto la scorza di indifferenza una ragione che riemerge di fronte all’esplosione delle grandi tragedie nazionali. È per questo che noi italiani, pur inorridendo davanti alle stragi compiute dai palestinesi, avvertiamo dentro qualcosa che ci obbliga a pensare, ad uscire dalla meccanica dei gesti e dei sentimenti. Non possiamo pensare che quello che andava bene per noi, il risorgimento, non vada bene anche per gli altri, negarlo agli altri. Sappiamo che non è così semplice. Ogni situazione ha una sua specificità e quella israeliano-palestinese è emblematica nella sua unicità. La tragedia tra i due popoli è inevitabile perché entrambi hanno ragione. Ed è fallito perfino il tentativo di fare salomonicamente in due il territorio per assegnarne le parti ai due popoli. Il palestinese non riconosce Israele e ne vuole la distruzione, l’israeliano attenta continuamente alla territorialità palestinese con insediamenti e tiene divisi i palestinesi di Gaza dalla Cisgiordania, rendendo difficile con restrizioni la libera circolazione. Per capire: è come se noi italiani del Sud dovessimo attraversare il territorio di uno stato straniero per raggiungere gli italiani del Nord. Una situazione asimmetrica che vede Israele, potenza nucleare, protetta dal mondo occidentale, da una parte e dall’altra una Palestina rabberciata e chiusa in una parte dei suoi confini, che però trova nel mondo arabo una spalla. Questa situazione peggiora anziché agevolare una via d’uscita, perché potrebbe significare una guerra con coinvolgimenti mondiali. E tuttavia non c’è soluzione che nel dare ai due popoli condizioni di vivibilità nella sicurezza, attraverso una sistemazione territoriale che renda ognuno sovrano nel proprio territorio. In alternativa non c’è che l’eliminazione di uno dei due contendenti, che però porterebbe a ben più gravi e durature conseguenze. L’ultimo attacco dei palestinesi, proditorio e disumano, oltre ogni mostruosa immaginazione, purtroppo allontana qualsiasi tentativo di giungere a breve termine ad una ricomposizione delle parti. Le attuali leadership dei due paesi non lasciano ben sperare. Da una parte il terrorismo dall’altra l’inevitabile risposta dell’occhio per occhio, dente per dente. La politica adottata da Netanyahu, criticata anche da molta stampa israeliana, è in qualche modo responsabile della condotta di Hamas. Israele è Israele, ha in sé la risposta da dare come una sentenza irrevocabile. Ma finché ai palestinesi non si lascia che il terrorismo per farsi le proprie ragioni e agli israeliani la logica della vendetta per farsi le loro la situazione resterà critica per sempre e può essere, una volta o l’altra, causa di ben peggiori conseguenze sul piano mondiale. Ecco perché della questione dovrebbero occuparsi le organizzazioni internazionali di sicurezza. Ma per davvero!

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