martedì 24 ottobre 2023

Don Renato Attanasio, un prete che declinò il sacerdozio con la cittadinanza

Don Renato Attanasio è morto il 13 ottobre 2023, all’età di 81 anni. È tornato nella sua Ruffano il pomeriggio di sabato, 14 ottobre, mestamente accompagnato dal sindaco di Taurisano Luigi Guidano in rappresentanza e da altri suoi amici e parrocchiani. Un viaggio che forse non avrebbe voluto fare, sentendosi ormai taurisanese anche dopo la morte. Forse Taurisano non ha saputo riservargli una giusta e completa cittadinanza. È stato a Taurisano più di cinquant’anni, gran parte dei quali da arciprete. Arrivò nella sua nuova destinazione venticinquenne. Era il 1967. All’epoca c’era una sola parrocchia, quella della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, con la chiesa madre in Piazza Castello, al centro del paese. Era arciprete don Ugo Schimera, un sacerdote colto e molto partecipe alla vita culturale, un modello di prete che perpetuava la figura della massima autorità religiosa con una chiara e consapevole funzione sociale. Chi lo aveva preceduto, don Antonio De Vitis, non era stato da meno, chiamato alla Curia per incarichi importanti fino al vicariato generale sotto tre vescovi: Ruotolo, Mincuzzi e Miglietta. Don De Vitis e don Schimera erano figure di preti che marcavano una certa distanza sociale e incutevano autorevolezza e rispetto, decisamente di altri tempi. Porsi come erede di due sacerdoti così importanti non fu né difficile né facile per don Renato, poiché lui aveva una personalità tutta sua, senza spigoli e disposta all’incontro. Da viceparroco, si distinse subito per il suo carattere, per il suo porsi gioviale, per il suo essere alla mano, senza alcuna pretesa di rappresentare un’autorità né di saperne una più degli altri, retaggio secolare dei preti, a cui la chiesa di una volta affidava il compito di vigilare su chi si allontanava dalla dottrina. E sì che erano anni difficili e turbolenti, con la Contestazione, il Sessantotto, il Terrorismo, le Stragi, parole a cui dare la maiuscola nella circostanza è d’obbligo perché rappresentarono per anni dei fenomeni sociali connotativi del tempo. La società era lacerata da scontri su problematiche altamente divisive come il divorzio e l’aborto, in cui il cristiano si sentiva posto drammaticamente di fronte a se stesso. I giovani la facevano da protagonisti, pronti a dividersi su tutto. Don Renato seppe attraversare la bufera senza fare slalom tra le posizioni ma procedendo diritto con quella sua innata bonomia a comprendere tutti, coniugando con parole ed opere le virtù teologali: fede speranza carità. La fede al di sopra delle divisioni, la speranza di superare i momenti di difficoltà, la carità aiutando i bisognosi, che a lui si rivolgevano in numero e frequenza. Non che non avesse una qualche inclinazione politica, lui che veniva da una famiglia di misurato benessere, ma seppe gestirla attento a non sembrare di parte, come il ruolo imponeva. Don Renato rappresentò subito una novità e non solo per la sua età. Egli non usciva dalla chiesa per andare verso la società come i suoi predecessori, ma, al contrario, usciva dalla società per entrare in chiesa. Ma non fu mai un prete di strada, che però lui non giudicava, conscio di avere un compito più alto e più esteso. Legò subito coi giovani dell’Azione Cattolica, mediò spesso tra le confraternite sempre litigiose, si diede da fare per portare a termine l’Oratorio don Bosco, a cui tanto si era prodigato un altro parroco di Taurisano, don Vito Tonti, fin dalla prima metà del Novecento. Don Renato lo si vedeva fare perfino il manovale o il contadino nell’oratorio, curvo col badile a diserbare o a rimuovere il terreno. Lo si vedeva fare i ricci al mare, giocare a tennis nel campetto da lui stesso realizzato con la collaborazione dei suoi giovani amici. Voleva essere e sembrare allo stesso tempo un uomo tra uomini, un giovane tra i giovani. Anche per questo vestiva alla laica ma con pantaloni e maglione o maglietta rigorosamente scuri. Quando nel 1981 divenne parroco e arciprete il paese era molto cambiato. C’era un’altra parrocchia ed altre ne sarebbero state istituite. L’abitato si era esteso alle periferie, la chiesa doveva seguire i fedeli. Non era solo una questione fisica, occorreva seguire le persone che dopo gli anni delle turbolenze sociali si erano come staccate, andate verso le periferie perfino dei valori, verso l’indifferenza. In fondo la chiesa aveva sempre fatto questo, intorno a lei erano sorti paesi e città, ma là dove c’era una comunità la chiesa non poteva non raggiungerla con la sua presenza fisica. Questo fece perdere all’arciprete la sua centralità cittadina. Ma don Renato è rimasto per tutto il tempo del suo sacerdozio un riferimento per tutto il paese. Quando l’11 marzo 2017 è ricorso il suo cinquantesimo anno di sacerdozio, già minato dal male che lo avrebbe portato alla tomba, ebbe il grande privilegio di ricevere gli auguri da papa Francesco in una breve ma intensa telefonata, nel corso della quale si impegnarono entrambi a pregare l’uno per l’altro. In una intervista rilasciata ad Antonio Sanfrancesco per “Presenza Taurisanese” di giugno-luglio 2017, don Renato disse espressamente: “Sono taurisanese d’elezione, qui ho vissuto tutta la mia vita e qui spero di restare anche dopo la morte”. Le sue spoglie mortali hanno fatto ritorno al suo paese di nascita, perché così hanno voluto gli altri. Quelle spirituali sono dove la gente l’ha conosciuto e amato e dove lui aveva scelto di restare.

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