sabato 16 settembre 2023

Perché negro e non nero

Lunedì sera, 11 settembre, su La 7, dopo la pausa estiva, è tornata la Gruber col suo “Otto e mezzo”. Per l’occasione la conduttrice sudtirolese – lei ci tiene che si sappiano le sue origini etniche – aveva messo in campo i pezzi forti del suo team: Pierluigi Bersani e Giovanni Floris, campioni da sempre dell’antiberlusconismo, dell’antimelonismo, dell’antidestra. A reggere il confronto Alessandro Giuli, un perfetto gentlemen della destra più raffinata, uno che si fa tagliare la lingua piuttosto che offendere l’altro. Li vedremo e sentiremo chissà quante altre volte ancora nel corso della nuova stagione discettare su tutto lo scibile umano, con la presenza di tanto in tanto del filosofo scompigliatore Massimo Cacciari e del puntuto collega Italo Bocchino. Bersani, formidabile inventore di metafore, sosteneva che un “negro” va chiamato nero e non negro, per il rispetto che gli si deve in quanto persona umana, perché negro è offensivo e significa schiavo, dato che i negri negli Stati Uniti d’America per un periodo della loro storia sono stati schiavi. Mi permetto di dissentire. Anzitutto la comunicazione deve rispondere a criteri oggettivi di immediatezza ed economicità. Per questo non bisogna usare parole dai significati molteplici o generici ma quelle che hanno un significato preciso, unico o prevalente. Si chiama proprietà di linguaggio. Se uno va a comprare dei piselli non si rivolge al bottegaio chiedendogli dei legumi o ancor più genericamente qualcosa da mangiare ma gli chiede dei piselli e se di questi ci sono più varietà ne indica il nome con una sola parola. Per indicare una persona di colore si dice perciò negro o negra e non nero o nera. Con negro si indica una persona, con nero si indica un colore. Ridurre una persona al solo colore della sua pelle è davvero come svilirla, deprivarla della sua dimensione umana e della sua storia. Che nei tempi di un popolo ci siano periodi negativi e periodi positivi, fortunati e sfortunati, è ovvio. Gli ebrei lo insegnano con la loro storia millenaria, ora schiavi degli egizi ora signori in casa propria e nel mondo. Un popolo che si rispetti si assume la responsabilità di tutto né si vergogna di qualcosa mentre s’inorgoglisce per altre. Una persona va indicata con tutto ciò che essa rappresenta. Se si omette deliberatamente qualcosa si commette un errore di occultamento di significato. Un negro chiamato nero è una persona senza identità, senza storia. La parola negro secondo il vocabolario Treccani deriva dal latino niger ed è così definita: “Che appartiene alle popolazioni nere, viventi per lo più in Africa e in poche regioni dell’Asia”. Fig. “Schiavo, con riferimento alle condizioni di schiavitù cui furono sottoposti molti africani soprattutto in America e in Africa”. Sin. nero. Significa che se si preferisce chiamare nero un negro si usa il sinonimo al posto del nome suo proprio. Il che non è opportuno. Restano le considerazioni sui derivati della parola, per cui negretto o negretta diventerebbero neretto e neretta. Si obietta che si potrebbe dire bambino nero e bambina nera. Ma in questo caso si spendono due parole invece di una, che è contro il principio dell’economicità comunicativa. Ma perché tutto questo battagliare su una parola che non ha niente di particolare rispetto ad altre? Perché – dicono i sostenitori dei neri e non dei negri – il politicamente corretto lo esige. La parola ha in sé qualcosa di offensivo, potendo appunto significare schiavo. Si sa che questa parola è entrata, sempre con significato negativo, in tanti modi di dire, fra cui lavorare come un negro. Negli ambienti letterari il negro è chi scrive un testo al posto di chi poi se ne dice autore. Insomma uno che lavora a beneficio di un altro. Tutto questo è vero, ma non basta o non c’entra a far cambiare la lingua. È di tutta evidenza che uno non può rivolgersi direttamente ad un negro dicendogli “ehi negro”. Questa sì che sarebbe offesa, ma altrettanto offensivo sarebbe dire “ehi, italiano” o “ehi, tedesco”, specialmente se lo si pronuncia con tono perentorio o allusivo a qualcosa di negativo. Va da sé che ad una persona ci si rivolge sempre gentilmente chiamandola signore o signora, siano essi neri o bianchi, gialli o rossi. Quanto ai negri, si ha il sospetto che chiamandoli neri si voglia solo riconoscere un avanzamento sociale nella non ancora del tutto risolta questione razziale. Tanto accade – e la parola negro non è il solo caso – perché i politici vogliono piegare tutto alle loro ideologie. E non si tirano indietro neppure nel dare i numeri a Pitagora o i triangoli a Euclide.

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