domenica 7 maggio 2023

Fratelli d'Italia ai raggi X

In un saggio del 2013, “La fine del potere” (Mondadori), il politologo venezuelano Moisés Naím notava che il potere in tutti i settori della vita, è in decadenza. “Il potere – diceva – è più facile da ottenere e più difficile da esercitare o conservare”. E questo non solo negli stati ma anche nei consigli di amministrazione, nei campi di battaglia, nelle chiese. Ed offriva una serie di esempi nel mondo. Il caso italiano ne costituisce uno. In Italia è accaduto che un sistema politico consolidato si è sbriciolato dopo cinquant’anni. Tanti ne sono trascorsi dalla sua nascita ciellenistica (1943) fino alla sua caduta sotto i colpi di Tangentopoli (1993). Da allora si è passati da un tentativo all’altro alla ricerca di un nuovo sistema di potere per rimpiazzare quello dei partiti, che Giuseppe Maranini definiva partitocrazia. I due soggetti politici che da allora si sono fronteggiati, nella classica dialettica maggioranza-opposizione, sono stati rubricati molto genericamente come centrosinistra e centrodestra. Dal 2011 ad oggi, poco più di dieci anni, c’è stata addirittura un’accelerazione di cambi e di trasformazioni in sintonia con un elettorato piuttosto liquido. Abbiamo avuto otto capi di governo per nove governi: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte uno, Conte due, Draghi, Meloni. Non si può che prendere atto di una sorta di schizofrenia della politica, con due formazioni, il M5S di Beppe Grillo e FdI di Giorgia Meloni, che era del tutto impensabile potessero conquistare la maggioranza del paese e guidare coalizioni politiche di governo. L’inizio di questo tumultuoso succedersi di forze politiche e di governi in Italia risale alla fine della cosiddetta prima repubblica, quando andò in frantumi il potere strutturato coi partiti di alto profilo ideologico e programmatico, dalla Dc al Pci e al Msi, con i partiti socialista, socialdemocratico, liberale e repubblicano. Dalle macerie di quel sistema, siamo nel 1993, nasce Forza Italia, che nel 1994, l’anno dopo, conquista il potere. Nel 1995 nasce l’Ulivo di Romano Prodi e l’anno dopo, nel 1996, va al potere. Il Movimento 5 Stelle nasce nel 2009, già nel 2013 poteva assumere il potere, lo fece nel 2018, nel 2022 è fuori, dopo tre governi, uno diverso dall’altro (Conte uno con la Lega, Conte due col Pd, con Draghi in un governo di unità nazionale). Fratelli d’Italia nasce nel 2012, nel 2022 va al potere, dopo un decennio. È di tutta evidenza che siamo di fronte ad un fenomeno che trova nell’analisi di Naím la sua cornice. Ora, di fronte all’ultima scheggia di questo fenomeno, che è Meloni con FdI al governo, si sono posti due studiosi, Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, entrambi dell’Istituto Cattaneo, uno insegna all’Università di Bologna Politica comparata e Analisi dell’opinione pubblica, e l’altro si occupa di politica e di storia del cinema. Il loro saggio, “Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice” (il Mulino, 2023), è di assoluto rigore scientifico e risponde a tutti i quesiti che i cittadini e gli studiosi possono porsi. Quando, come e perché è nato questo partito. Quali persone, ceti e interessi rappresenta. Chi sono e da dove vengono i loro leader. Come è riuscito a diventare in così breve tempo il primo partito d’Italia, le sue tecniche di comunicazione, le sue strategie politiche, le sue evoluzioni. Come ha potuto passare il guado da partito maledetto ed escluso (date le sue origini postfasciste mai nascoste e rivendicate) a partito preferito da una maggioranza di italiani patriottici, moderati e nazionalconservatori, che hanno preso atto dell’approdo e l’hanno accettato, passando da camerati a fratelli. I due studiosi hanno dovuto partire inevitabilmente da lontano, avendo come costante punto di riferimento il simbolo, la fiamma tricolore: il Msi di Giorgio Almirante (1946), An di Gianfranco Fini (1994) e FdI di Giorgia Meloni (2012). Il volume è strutturato in maniera tale da poter seguire l’evoluzione di FdI, con continui rimandi interni come guida nei vari passaggi. Al centro non poteva esserci che la protagonista in assoluto, Giorgia Meloni, vista come a lei piaceva proporsi, donna madre italiana cristiana, impegnata sui vari fronti della politica, ad incominciare da quelli interni del suo partito a quelli della coalizione. Al suo interno Meloni non ha avuto nessun problema ad essere il capo indiscusso, essendo stata la creatrice fin dall’esperienza di Atreju, un’esperienza umana e politica costituita da giovani che in lei si sono riconosciuti e con lei sono partiti e giunti al traguardo. Il suo successo all’interno della coalizione di destra è per i due studiosi un felice incontro di fortuna e di virtù. Per la fortuna, sicuramente gli errori di Salvini, il progressivo appannamento della leadership berlusconiana e l’irruzione nell’elettorato del M5S che ha indebolito le identità politiche. Per la virtù, innanzitutto le qualità della Meloni, capace di essere coerente e duttile, poi le caratteristiche organizzative del partito “personalizzato e centralizzato”. Ora, di fronte alla Meloni ci sono diverse sfide da affrontare, interne ed esterne al partito, verso i suoi competitors e verso il Paese. Una, però, è da evitare. Secondo i due studiosi “Di tutti gli errori che Giorgia Meloni e il suo partito possono fare e di cui sono indiziati questo sarebbe il peggiore: coltivare l’idea di cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza”, ove gli altri partiti non fossero disponibili ad andare verso una repubblica presidenziale condivisa. Ma la sfida delle sfide è durare al potere, per dimostrare di essere qualcosa di più di una delle tante convulsioni di un sistema politico che cerca di stabilirsi.

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