sabato 13 maggio 2023

Meloni tra Machiavelli e Manzoni

Se mai la Meloni incontrasse in sogno Niccolò Machiavelli farebbe bene a chiedergli se un politico che è al potere deve o meno mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Il segretario fiorentino non esiterebbe a dirle che se il mantenere le promesse fatte giova a conservare e a rafforzare il potere sì, ma se il mantenerle fosse causa di ruìna, ovvero di un rovescio politico, assolutamente no. La Meloni da parte sua avrebbe meno esitazione a dargli ragione, avendo già sperimentato che quando si è all’opposizione o in campagna elettorale è cosa ben diversa dal trovarsi a difendere il potere conquistato. Il presidenzialismo! Verissimo che da sempre uno dei cavalli di battaglia della destra, missina prima, aennina e di Fratelli d’Italia dopo, è stata la riforma della Costituzione in senso presidenziale, ma ora conviene farla davvero? I segnali inducono alla prudenza. Sulla riforma costituzionale hanno fallito già altri, Berlusconi nel 2006 e Matteo Renzi nel 2016, entrambi sconfitti dal referendum. A mettere in guardia la Meloni sono accorsi anche i due autori dell’ultimo libro su di lei, “Fratelli di Giorgia”, Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, i quali così concludono: “Di tutti gli errori che Giorgia Meloni e il suo partito possono fare e di cui sono indiziati questo sarebbe il peggiore: coltivare l’idea di cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza, per di più sulla base di ipotesi che al momento appaiono abbastanza bizzarre, confidando di avere dalla propria parte un largo sostegno popolare. Questo calcolo sarebbe molto arrischiato”. In caso di referendum, che sic stantibus rebus sarebbe inevitabile, la Meloni avrebbe contro tutti, che, alleati in un nuovo patto di Resistenza, avrebbero la vittoria in tasca. Nel primo giro di consultazioni effettuato, martedì, 9 maggio, a Palazzo Chigi, la Meloni si è trovata di fronte ad una varietà di posizioni, quasi tutte, ad eccezione di quella del centrista Calenda, contrarie. No al presidenzialismo da parte del Pd con proposta di un cancellierato alla tedesca, no da parte del M5S con la proposta di una bicamerale, no dei cespugli di sinistra a cui sta benissimo l’attuale situazione, con una quasi costante linea comune: il Presidente della Repubblica, quale garante della Costituzione, non si tocca. Che è come dire che di riforma non se ne parla proprio, dato che non c’è riforma costituzionale in senso presidenziale che non parta dal presidente della repubblica. Se questo non si deve toccare, non si capisce che riforma si può fare. Si consideri inoltre che in Italia, pur di non far vincere l’avversario si è disposti a vendersi l’anima e a ricorrere a qualsiasi mezzo. Ed è appena il caso di dire che in cantiere c’è l’autonomia delle regioni, che è considerata dagli avversari di questo governo come un tentativo di dividere il Paese. Le due proposte rivoluzionarie del governo di Giorgia Meloni, presidenzialismo e autonomismo regionale, finirebbero per creare un clima da guerra civile. Che le parti in campo non abbiano nessuna intenzione di trovare dei punti in comune per ipotizzare una via d’uscita lo dice il fatto che la Meloni continua a proclamare che se non trova disponibilità a collaborare la riforma la farà lo stesso; dall’altra parte, altrettanto chiaramente dicono che se si tratta di prendere o lasciare loro sono nettamente per lasciare. Il rischio è che le opposizioni cerchino di impantanare il processo riformistico con tutta una serie di ostacoli, freni e dilazioni, fino alla resa o al giudizio di Dio, ovvero allo scontro finale referendario. Poste queste condizioni, conviene avventurarsi in una riforma che porterebbe il Paese ad uno scontro sociale e politico che finirebbe non per essere un confronto sulla bontà o meno della riforma ma sul mantenimento o caduta del governo che l’ha proposta? Giorgia Meloni, nella sua autobiografia, insiste che lei “costi quel che costi” le cose in cui crede le fa, che è tipico dell’essere giovani. Il Manzoni, di cui quest’anno ricorre il 150° anno dalla morte, immaginò nel suo celebre carme In morte di Carlo Imbonati, un testo pedagogico, che un giovane non deve mai staccare gli occhi dal traguardo da raggiungere o che di lui si dica, nel caso di insuccesso, sull’orma propria ei giace. Non credo che la Meloni possa accontentarsi di questo. La sua condizione la obbliga a dare più ascolto a Machiavelli che a Manzoni. Nel “costi quel che costi”, da lei tante volte usato, sono compresi la sua vicenda personale ma anche e soprattutto quel mondo di valori e di progetti che lei rappresenta.

Nessun commento:

Posta un commento