Ormai siamo abituati: ogni anno Sanremo
raggiunge record di ascolti. Probabilmente è vero, ma in un mondo di bugiardi e
di imbroglioni dubitare necesse est.
Qualche volta Sanremo piace e qualche
volta no, come è normale per tutti gli spettacoli del mondo. Come è normale che
ogni anno si escogiti qualcosa di nuovo per meravigliare i telespettatori: è di Sanremo il fin la maraviglia / chi non
sa far stupir vada alla striglia. Sembra questa ormai la regola, ripresa
dal buon Marino. Che non è il bravo critico Bartoletti, ma Giambattista, poeta
del Seicento.
Ma Sanremo va visto sempre, è
questa la sua vera forza, perché è l’evento più importante dell’anno; in esso
c’è il paese intero coi suoi gusti, coi suoi cambiamenti, coi suoi umori, con
le sue stravaganze. Criticare Sanremo è criticare l’Italia; osannarlo è
osannare l’Italia.
Per circa una settimana non si
pensa ad altro, neppure se l’altro è una campagna elettorale che fa il paio in
tutto e per tutto con la manifestazione canora. Di Battista ha detto che gli
italiani sono rincoglioniti se non capiscono che devono votare Movimento 5
Stelle. Mi ricordo che così dicevano i missini di chi non votava il Msi; l’avrà
sentita da suo padre.
Fermo restando che Sanremo è il
festival della canzone italiana per nome e per antonomasia, quest’anno abbiamo
assistito ad un rovesciamento dei ruoli: non più i cantanti protagonisti con i
presentatori a curare lo svolgersi delle esibizioni in maniera discreta, elegante,
precisa, imparziale, starei per dire professionale, alla Mike Bongiorno o alla
Pippo Baudo; ma proprio i cosiddetti presentatori ad esibirsi in maniera
continua ed eccessiva, con i concorrenti relegati in secondo piano. Immaginiamo
una partita di calcio, dove non sono i calciatori i protagonisti, ma l’arbitro,
i segnalinee, i giudici di porta e quelli del Var, che si esibiscono in
palleggi, corse, entrate a gamba tesa e poi spinte e falli tra di loro, tra un
pezzetto e l’altro di partita dei calciatori. Se tanto accadesse, dopo qualche
risata, il pubblico scenderebbe in campo e li prenderebbe a…calci. Nel calcio!
A Sanremo passa tutto per cosa buona, anzi ottima.
Il direttore artistico, Claudio
Baglioni, bravo cantante degli anni Sessanta-Settanta, si è proposto come showman con esiti sconcertanti. Sembrava
un malato convalescente in cerca di un po’ di Sustenium per recuperare condizione e colorito. In linea era in
linea col…grigio delle istituzioni; sembrava il pendant di Gentiloni. Il bravo Pierfrancesco Favino ha fatto di
tutto per fare il comico, ma per far ridere occorre avere altra faccia. L’unica
che era nei suoi abituali panni era Michelle Hunziker: verbosa, irrequieta,
pierinesca, un po’ sbadata e decisamente kitsch. Orride alcune sue mises. In quella specie di bouquet
fasciata di fiori sembrava una dissepolta
viva.
Si fa fatica a ricordare qualche
canzone. Nelle orecchie insistono frasi e parole che indulgono alla
spensieratezza: stiamo tutti bene, come va come va, il congiuntivo, passame er sale.
E’ l’Italia che rassicura, che mette tutti d’accordo. Perfino gli irregolari di
una volta, come Elio e le storie tese,
si sono convertiti al sentimentalismo rabbonitore.
Sanremo, una volta, era anche
denuncia dei mali italiani, in forma ironica, ma pur sempre denuncia. Ora pare
che stiamo tutti bene. Fosse vero!
A rappresentare l’Italia dei
nostri giorni, chi meglio dello Stato sociale, inteso come lo Stato sociale
vero e lo Stato sociale gruppo
musicale che ha concorso? Italia invasa da stranieri, ospedali chiusi,
tribunali a singhiozzo, persone che si dividono sui migranti e si affrontano
sulle piazze, treni buoni che vengono venduti e vecchi e laidi lasciati a deragliare su binari rotti o a scontrarsi
su binari unici. Una vita in vacanza
dovrebbe far riaprire i manicomi. Cristo, che pena la vecchietta a vederla
volteggiare e piroettare su quelle zampette di gallina! La Guardia di Finanza
controlli caso mai prende l’assegno pensionistico di accompagnamento. Non si sa
mai!
I competenti diranno che non ho
capito niente. E non lo escludo. Ma c’è niente da capire in questo paese? Oh,
sì; ci sarebbe molto da capire Ma spettacoli come quello di Sanremo 2018
servono anche a non far pensare, perché se poco poco uno pensa si mette ad
urlare: riportami a casa perché ho paura
di me. A casa?
Arrivedorci, Sanremo, alla prossima…meraviglia!
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