sabato 17 febbraio 2018

Mattarella scuote gli italiani: votate!




Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella continua a ripetere da qualche tempo che è importante che il 4 marzo gli italiani vadano a votare. C’è nel suo invito una motivazione d’ufficio; ma c’è anche una sollecitazione politica. E’ suo precipuo interesse che il risultato elettorale venga prodotto da una consistente partecipazione popolare. «L’Italia ha una tradizione di ampia partecipazione. – ha detto in una recente intervista alla “Famiglia Cristiana” – Una sua forte diminuzione costituirebbe il sintomo di un indebolimento della fiducia nelle istituzioni comuni e quindi uno stato di salute meno florido della democrazia».
E’ difficile dire quanto il Presidente senta florido lo stato di salute della democrazia; ma prendiamolo come ottimismo della speranza.
Certo è che un governo fondato su una scarsa partecipazione elettorale è politicamente “delegittimato” ab ovo, per quanto formalmente ineccepibile. Anzi, proprio il rapporto debolezza reale-ineccepibilità formale renderebbe più grave la crisi.
Si tratta di inviti, dal tono quasi accorato, che si configurano come autentici appelli. Rimaniamo all’invito a votare, che condividiamo in toto e che ci fa fare alcune considerazioni. La prima è che spesso nella storia è accaduto che delle minoranze, particolarmente motivate e agguerrite, sono riuscite a prevalere su maggioranze adagiate e rinunciatarie. Quando questo è accaduto sono seguiti periodi di confusione e di crisi spesso sfociate nella paralisi politica.
La partita, allora, appare giocarsi fra motivati e delusi. Se a votare andranno soprattutto i motivati, che sono gli arrabbiati dell’antipolitica, può accadere che il governo che andrà a formarsi dopo le elezioni sia costituito da persone molto motivate ma poco preparate. Il rischio c’è; ed è bene che se ne rendano conto i delusi che non votano.
Qui occorre essere chiari. I cittadini che rinunciano ad essere elettori compiono una scelta gravissima; essi si autodeclassano, si condannano da sé ad essere dei perieci, cittadini cioè privi dei diritti politici, ridotti ad una condizione di semischiavitù. Che simile condizione sia spontanea o imposta, in questa circostanza conta poco. Conta che una gran massa di cittadini, circa la metà degli aventi diritto al voto, si taglia gli attributi civili.
Ha detto Mattarella nella riferita intervista che «la responsabilità verso la nostra comunità nazionale – la Repubblica – ricade anzitutto, e in misura prevalente, su chi ha chiesto e ottenuto di assumere compiti istituzionali ma essa si pone anche su ciascuno di noi cittadini, chiamati a far la nostra parte, nei ruoli propri, per il bene comune». Vero!
Aggiungiamo un tocco di concretezza. I delusi, come i motivati, hanno bisogno del governo, delle istituzioni, dei servizi. Se devono spostarsi da un luogo all’altro, per piacere o per lavoro, hanno bisogno dei mezzi che funzionino; se sono ammalati, hanno bisogno degli ospedali dove curarsi; se hanno dei figli, hanno bisogno delle scuole per educarli e formarli; se subiscono un torto, hanno bisogno della giustizia; e via di seguito. Se non votano e dunque non incidono sulla vita del Paese, non per questo sono esenti dalle ricadute del voto degli altri. Essi si sottomettono agli altri, col rischio di sottomettersi a persone che in questo momento non danno garanzie, per quanto animati da buoni propositi.
Oggi è diffusa la percezione che la forza politica che potrebbe avvantaggiarsi dell’astensionismo degli altri sia costituita da personale impreparato. Probabile che si esageri, meno probabile che la preoccupazione sia del tutto infondata. Che accadrebbe se questa forza politica dovesse andare al potere? Per rispondere basterebbe il proverbio popolare “chi lascia la strada vecchia e prende la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova”. Anche questo è populismo.
Ma c’è un mito assai più convincente per i più raffinati. Fetonte, figlio di Febo, il dio che guidava il Carro del Sole, chiese al padre di affidargli il Carro per verificare, guidandolo, se fosse veramente figlio suo, dato che correvano voci che non lo fosse. Il padre glielo cedette. Conseguenza? Non seppe guidarlo. Il Carro si rovesciò seminando sulla Terra fuoco e fiamme, a rischio della catastrofe universale.
Oggi l’Italia è piena di figli di Febo. Non ci sono più i partiti e meno ancora le ideologie. Quando gli uni e le altre entrarono in crisi ci fu una sorta di evviva generale. Tutti si sentirono più liberi, più leggeri. Fu, invece, una iattura, perché senze le idee e senza l’organizzazione non si va da nessuna parte.
Ne ha approfittato Beppe Grillo, un comico risentito col mondo, che ha dato vita alla più incredibile e grottesca delle rappresentazioni. La sua sembra quasi la vendetta di un rigoletto offeso e umiliato. Con lui, un’azienda fantomatica, la “Casaleggio”, che sfrutta la situazione sotto il profilo politico ed economico. Dietro si è formata una lunghissima processione formata da persone che si sentono defraudate e perciò rancorose.
I delusi dalle precedenti esperienze politiche – parlo dei cittadini – sono come annichiliti e stanno come in attesa che succeda qualcosa. Ma, in politica, non succede niente che non sia determinato dall’impegno comune. Se vogliono che la situazione migliori o non peggiori devono darsi da fare; devono votare. Sbagliato pensare che peggio di così non si possa stare.
Questa volta in gioco non c’è una scelta fra due strade entrambe percorribili, magari una più scomoda dell’altra: una delle due potrebbe portare al disastro.
Chi vota determina una scelta, ma anche chi non vota la determina e ne è responsabile. Con la differenza che chi non vota nulla ha fatto per costruire il meglio o per evitare il peggio.  Di qui l’importanza di votare e di essere protagonisti. Di qui il senso dell’appello di quanti amano la politica anche quando questa è odiosa, perché l’alternativa è l’antipolitica, che, per quanto più attrattiva, è assai peggiore. 

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