Il Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella continua a ripetere da qualche tempo che è importante che il
4 marzo gli italiani vadano a votare. C’è nel suo invito una motivazione
d’ufficio; ma c’è anche una sollecitazione politica. E’ suo precipuo interesse
che il risultato elettorale venga prodotto da una consistente partecipazione
popolare. «L’Italia ha una tradizione di ampia partecipazione. – ha detto in
una recente intervista alla “Famiglia Cristiana” – Una sua forte diminuzione
costituirebbe il sintomo di un indebolimento della fiducia nelle istituzioni
comuni e quindi uno stato di salute meno florido della democrazia».
E’ difficile dire quanto il
Presidente senta florido lo stato di salute della democrazia; ma prendiamolo
come ottimismo della speranza.
Certo è che un governo fondato su
una scarsa partecipazione elettorale è politicamente “delegittimato” ab ovo, per quanto formalmente
ineccepibile. Anzi, proprio il rapporto debolezza reale-ineccepibilità formale
renderebbe più grave la crisi.
Si tratta di inviti, dal tono
quasi accorato, che si configurano come autentici appelli. Rimaniamo all’invito
a votare, che condividiamo in toto e
che ci fa fare alcune considerazioni. La prima è che spesso nella storia è
accaduto che delle minoranze, particolarmente motivate e agguerrite, sono
riuscite a prevalere su maggioranze adagiate e rinunciatarie. Quando questo è
accaduto sono seguiti periodi di confusione e di crisi spesso sfociate nella
paralisi politica.
La partita, allora, appare
giocarsi fra motivati e delusi. Se a votare andranno soprattutto i motivati,
che sono gli arrabbiati dell’antipolitica, può accadere che il governo che
andrà a formarsi dopo le elezioni sia costituito da persone molto motivate ma poco
preparate. Il rischio c’è; ed è bene che se ne rendano conto i delusi che non
votano.
Qui occorre essere chiari. I
cittadini che rinunciano ad essere elettori compiono una scelta gravissima;
essi si autodeclassano, si condannano da sé ad essere dei perieci, cittadini
cioè privi dei diritti politici, ridotti ad una condizione di semischiavitù.
Che simile condizione sia spontanea o imposta, in questa circostanza conta
poco. Conta che una gran massa di cittadini, circa la metà degli aventi diritto
al voto, si taglia gli attributi civili.
Ha detto Mattarella nella
riferita intervista che «la responsabilità verso la nostra comunità nazionale –
la Repubblica – ricade anzitutto, e in misura prevalente, su chi ha chiesto e
ottenuto di assumere compiti istituzionali ma essa si pone anche su ciascuno di
noi cittadini, chiamati a far la nostra parte, nei ruoli propri, per il bene
comune». Vero!
Aggiungiamo un tocco di
concretezza. I delusi, come i motivati, hanno bisogno del governo, delle
istituzioni, dei servizi. Se devono spostarsi da un luogo all’altro, per
piacere o per lavoro, hanno bisogno dei mezzi che funzionino; se sono ammalati,
hanno bisogno degli ospedali dove curarsi; se hanno dei figli, hanno bisogno
delle scuole per educarli e formarli; se subiscono un torto, hanno bisogno
della giustizia; e via di seguito. Se non votano e dunque non incidono sulla
vita del Paese, non per questo sono esenti dalle ricadute del voto degli altri.
Essi si sottomettono agli altri, col rischio di sottomettersi a persone che in
questo momento non danno garanzie, per quanto animati da buoni propositi.
Oggi è diffusa la percezione che
la forza politica che potrebbe avvantaggiarsi dell’astensionismo degli altri
sia costituita da personale impreparato. Probabile che si esageri, meno
probabile che la preoccupazione sia del tutto infondata. Che accadrebbe se
questa forza politica dovesse andare al potere? Per rispondere basterebbe il
proverbio popolare “chi lascia la strada vecchia e prende la nuova, sa quel che
lascia e non sa quel che trova”. Anche questo è populismo.
Ma c’è un mito assai più
convincente per i più raffinati. Fetonte, figlio di Febo, il dio che guidava il
Carro del Sole, chiese al padre di affidargli il Carro per verificare,
guidandolo, se fosse veramente figlio suo, dato che correvano voci che non lo
fosse. Il padre glielo cedette. Conseguenza? Non seppe guidarlo. Il Carro si
rovesciò seminando sulla Terra fuoco e fiamme, a rischio della catastrofe
universale.
Oggi l’Italia è piena di figli di
Febo. Non ci sono più i partiti e meno ancora le ideologie. Quando gli uni e le
altre entrarono in crisi ci fu una sorta di evviva generale. Tutti si sentirono
più liberi, più leggeri. Fu, invece, una iattura, perché senze le idee e senza
l’organizzazione non si va da nessuna parte.
Ne ha approfittato Beppe Grillo,
un comico risentito col mondo, che ha dato vita alla più incredibile e
grottesca delle rappresentazioni. La sua sembra quasi la vendetta di un rigoletto offeso e umiliato. Con lui,
un’azienda fantomatica, la
“Casaleggio”, che sfrutta la situazione sotto il profilo
politico ed economico. Dietro si è formata una lunghissima processione formata
da persone che si sentono defraudate e perciò rancorose.
I delusi dalle precedenti
esperienze politiche – parlo dei cittadini – sono come annichiliti e stanno
come in attesa che succeda qualcosa. Ma, in politica, non succede niente che
non sia determinato dall’impegno comune. Se vogliono che la situazione migliori
o non peggiori devono darsi da fare; devono votare. Sbagliato pensare che
peggio di così non si possa stare.
Questa volta in gioco non c’è una
scelta fra due strade entrambe percorribili, magari una più scomoda dell’altra:
una delle due potrebbe portare al disastro.
Chi vota determina una scelta, ma
anche chi non vota la determina e ne è responsabile. Con la differenza che chi
non vota nulla ha fatto per costruire il meglio o per evitare il peggio. Di qui l’importanza di votare e di essere
protagonisti. Di qui il senso dell’appello di quanti amano la politica anche
quando questa è odiosa, perché l’alternativa è l’antipolitica, che, per quanto
più attrattiva, è assai peggiore.
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