Ha detto papa Francesco domenica,
4 settembre, nel dichiarare santa Madre Teresa di Calcutta, che quella donna,
parlando all’Onu, fece sentire la sua voce ai potenti della terra “perché
riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini, dinanzi ai crimini! – ha
ripetuto – della povertà creata da loro stessi”. Sicché tutti quelli a cui
Madre Teresa si rivolse in quell’occasione, secondo papa Francesco, erano dei
criminali, relativamente alle colpe che avevano nell’aver creato la povertà. Un ’accusa,
che pure a volerla considerare politica e non penale, non ne attenua la gravità. Un Capo
di Stato – il papa è il capo dello Stato Città del Vaticano – ha giudicato
criminali tutti i capi di Stato della terra, in quanto potenti e creatori di
povertà. Per fortuna nessuno ci fa più caso a questo nuovo “picconatore”, che, dell'altro, Cossiga, ha nome e piccone. Papa
Francesco è simpaticamente e bonariamente sopportato. Così è fatto… Voleva
dire… Francesco è il papa del voleva dire.
Chi non ha l’obbligo
dell’obbedienza, non ci sta. Chi al “voleva dire” preferisce il “detto”,
sapendo che un papa non può mettere uno scarto tra quello che dice e quello che
vorrebbe dire, non ci sta. Denuncia senz’altro le grossezze di questo come di
altri capi di Stato, come di altri uomini pubblici. L’aspetto religioso non
interessa. Chi è laico e un po’ ghibellino è sempre pronto a raccogliere sfide
e a rispondere a minacce, da qualunque parte provengano. La parte di don
Chisciotte, in ultima analisi, è preferibile a quella di don Abbondio.
Ormai questo papa ha indossato
gli abiti del rivoluzionario sudamericano, alla Zapata, alla Pancho Villa, ad
uno dei tanti caudillos, che hanno caratterizzato quelle lontane regioni della
terra. Lo Spirito Santo lo ha voluto a Roma, ai palazzi vaticani, che lui ha
rifiutato per una assai più modesta Santa Marta. Ma c’è una bella differenza
tra Francesco e fare il Francesco.
Duole tornare su questo Francesco
che qualcuno ha pensato che si sarebbe trovato tra i lupi, ma le cose che dice
con più o meno regolare scadenza sono così gravi che ignorarle comporta peccato
se non verso Dio – che teoricamente dovrebbe stare con lui – verso la verità e la storia. I lupi? Si sono
dileguati. Francesco azzanna più di loro.
Non è neppure il caso di parlare
di populismo. E perché mai dovrebbe fare il populista un papa? Lui non
s’aspetta consensi e voti. Lui quel che dice e fa, lo dice e lo fa per se
stesso, magari per un irrinunciabile esibirsi in vanità di comportamenti.
Accade, è umano che accada. Francesco è un lussurioso, gode nel sentirsi
osannato dalle turbe di questa globalizzazione che ha scavalcato con violenza
l’ecumenismo cattolico. I suoi nemici non sono i musulmani o i protestanti, gli
ortodossi e gli ebrei; i suoi nemici sono i ricchi e i potenti. Lui non fa
guerre di religione o di civiltà; fa guerre sociali, in originalità di intenti.
Se potesse, farebbe jacqueries.
La differenza tra Francesco,
infatti, e tutti i rivoluzionari finora conosciuti è che non vuole affatto che
tutti diventino ricchi, cosa impossibile a verificarsi, ma che tutti diventino
poveri. E’ la povertà, secondo lui, la cifra dell’umanità. La ricchezza – Marx,
Proudhon e compagni alla mano – è un furto, è un susseguirsi di furti; è furto
elevato a sistema. Che poi da questo sistematico rubare, da questo sottrarre ad
altri per accumulare ricchezza siano nati il benessere diffuso, lo sviluppo
tecnologico, il progresso sociale, quali si vedono in tanta parte del mondo, a
Francesco non interessa. Per lui è inaccettabile che
ancora ci siano ricchi e poveri. Sarebbe capace di rinunciare a tutto quel che
l’uomo ha fatto sulla terra, dopo la cacciata dal paradiso terrestre, strade,
città, ospedali, scuole, trasporti, progressi scientifici, tecnologie avanzate,
pur di non vedere un solo ricco, un solo potente sulla terra. La sua presenza
è, in quanto risvolto di povertà, un crimine. Il vero male, per Francesco, non
è la povertà, è la ricchezza; perché essa produce la povertà, è condizione di
povertà: dunque, un male assoluto.
Sarebbe assai interessante usare
per capire Francesco la
psicanalisi. Ci deve essere qualcosa di non razionale nella
sua visione della storia. Intendiamoci, di papi la chiesa ne ha avuti tanti e
di tanti tipi: questo, dunque, con gli altri! E francamente non riteniamo neppure
di condannare certe sue sortite: criticare sì, condannare no.
Ma criticare un papa che ha una
sua particolare visione delle cose comporta inevitabilmente la condanna di chi
per compito laico non dovrebbe accodarsi, non dovrebbe assecondarlo, ma puntualmente
denunciarne le sortite. Invece assistiamo ad un coro o di silenzi o di lodi.
Senza insistere su una materia
per certi aspetti anche delicata, perché investe la sfera dello spirito,
diciamo solo che ad atteggiamenti insoliti non c’è nulla di male a rispondere
in maniera insolita. Abbiamo forse dimenticato che nella storia ci sono stati
dei coraggiosi che hanno pagato con la vita le loro critiche al papa? O la
storia, men che essere magistra vitae,
non è neppure ancilla, disciplina
degna di essere quanto meno conosciuta?
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