Sembra che la modernità in
Italia, nel Mezzogiorno soprattutto, debba sempre risolversi in un dilemma: o
il lavoro e il benessere economico da una parte o la salute in povertà
dall’altra. Il caso Ilva a Taranto ha sbattuto in faccia alle persone questa
drammatica realtà: o l’occupazione e il cancro o la disoccupazione e la fame. Come se in mezzo
non ci fosse altro. Così è pure per le trivelle alla ricerca del petrolio nell’Adriatico.
La trivellazione del fondo marino
eseguita a regola d’arte, come si dice, non dovrebbe rappresentare minaccia
alcuna per l’ambiente. Ma si sa che l’incidente, l’imprevisto può sempre
accadere; e con l’imprevisto bisogna fare i conti, prima non dopo, perché le
conseguenze potrebbero essere disastrose. L’incidente accaduto nel 2010 nel
Golfo del Messico con lo sversamento in mare di enormi quantità di petrolio e
l’inquinamento delle coste della Florida, in seguito all’inabissamento di una
piattaforma petrolifera della British Petroleum, ha messo in sacrosanto allarme
il mondo.
Non voglio dire che noi in Italia
siamo più soggetti ad “imprevisti” che in altre parti del pianeta, ma non
possiamo non riconoscere che molto spesso da noi le decisioni si prendono a
cuor leggero, se non addirittura con spirito truffaldino e, a disastro compiuto,
non si sa né chi le ha prese né come né perché. Di acciaierie, tanto per fare
un esempio, ce ne sono tante in Europa, eppure non producono i disastri che
hanno prodotto in Italia. Allora…
E’ di tutta evidenza che la
politica deve preoccuparsi sia del lavoro e del benessere economico, sia della
salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini. Di qui la necessità di
dire sì o no solo dopo aver studiato la cosa in ogni suo aspetto e in ogni sua
conseguenza, come del resto vuole la legge. Qualsiasi
struttura produttiva in un contesto paesaggistico, urbano o naturale, deve
essere valutata in rapporto alle due necessità, considerate non come esclusiva
l’una dell’altra, ma come coesistenti. Laddove non è possibile garantire la
salute dei cittadini occorre rinunciare a qualsiasi impianto industriale, fino
a quando non si trovano i giusti rimedi preventivi. La salute prima di tutto!
E’ massima degli antichi.
In Italia nel 1987 abbiamo bocciato
con un referendum il nucleare (80,6 %) non perché non avessimo bisogno di
energia ma perché l’installazione di centrali nucleari poteva costituire
catastrofi. Ce lo aveva detto l’anno prima il disastro di Chernobyl in Ucraina.
Poi sappiamo che centrali nucleari ci sono in molti paesi d’Europa, perfino
confinanti col nostro. Il che conferma che progresso e salute non si escludono
l’un l’altra, laddove le cose si fanno come Dio comanda.
Ora siamo alle prese con
l’ennesima minaccia ambientale. Il governo Renzi ha dato la concessione alla
multinazionale Petroceltic Italia a fare delle prospezioni nel mare Adriatico nei
pressi delle isole Tremiti per vedere se nella zona c’è petrolio.
Ha tenuto conto il Ministero per
lo Sviluppo Economico che in quella parte di mare c’è un Parco Naturale? Ha
tenuto conto dell’impatto ambientale e dei rischi che si possono correre?
Abbiamo ragione di dubitarne. Infatti sia il governo, per bocca del ministro Federica
Guidi, sia i dirigenti italiani della multinazionale in questione, hanno
cercato di spostare il problema, minimizzando: ma si tratta solo di prospezioni,
non è il caso di allarmarsi. Ma si “prospetta” a che scopo? Gli esperti hanno
spiegato che perfino le prospezioni procurano dei danni all’ecosistema. In un
articolo apparso sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” (13 gennaio 2016) il prof.
Ferdinando Boero, docente di Zoologia e Biologia Marina all’Università del
Salento, ha detto che “le prospezioni si basano sull’emissione di fortissimi
impulsi sonori che hanno sicuramente impatti sui cetacei (delfini, balene e
capodogli) e probabilmente anche sul resto della fauna. Le prospezioni non sono
qualcosa di innocuo, e già violano la Direttiva Marina
dell’Unione Europea” (Le leggi
dell’ecologia e le leggi dell’economia, 13 gennaio 2016). Ma, a parte ciò –
a parte solo per esigenza retorica – una volta accertato che il petrolio c’è,
che si fa, buonasera e grazie e si smonta tutto? Era solo curiosità? Via,
cerchiamo di essere seri!
A fronte del referendum contro le
trivellazioni, già ammesso dalla Corte Costituzionale, il governo cerca di
perdere tempo. Alcuni quesiti sono stati disinnescati da Renzi col cambiamento nella
legge di stabilità di norme afferenti la materia, due altri sono oggetto di
conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Ed è notizia di oggi, sabato,
6 febbraio, che il Ministero dello Sviluppo Economico ha detto stop alle
trivellazioni in mare davanti alle coste dell’Abruzzo, ma non nel Canale di
Sicilia e alle Isole Tremiti, dove il limite delle dodici miglia non è garantito.
E’ probabile che il provvedimento
del Ministero miri a disinnescare la mina referendaria. Si sa che al governo i
referendum sono indigesti. Ma i referendum si devono fare, perché deve essere
chiara la volontà dei cittadini su un problema così serio.
Ma, invocati dai comitati
promotori per lo svolgimento in un unico giorno con le Amministrative (Election
day), anche per il risparmio di trecento milioni di euro, i referendum sono osteggiati perché si teme possano influire sul voto politico degli elettori. Esprimersi
contro le trivellazioni in mare è in un certo senso esprimersi contro chi le ha
autorizzate o chi potrebbe ancora autorizzarle, ossia il governo. E questo
Renzi non lo sopporta. Non teme l’inquinamento del mare e delle coste italiane;
teme il referendum contro.
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