Giovedì, 25 febbraio 2016, è una
data che definire storica è poco. In questo giorno l’Italia è diventata un’altra;
ha riconosciuto che due dello stesso sesso possono unirsi formalmente a
costituire una famiglia, potendo così godere di alcuni benefici che lo Stato
riconosce alle famiglie cosiddette normali. Per ora solo alcuni benefici; poi
si vedrà. L’obiettivo è di riconoscere alle coppie omosessuali anche il diritto
di adozione di bambini. Come il battello ebbro del poeta maledetto Rimbaud così
il battello dei diritti umani scivola lungo l’italico fiume del riconoscimento
pieno e dell’equiparazione totale delle unioni civili alle altre forme di
unione, come il matrimonio religioso e il matrimonio civile. Fin qui il fatto,
nudo e crudo; a parte la metafora del battello e del poeta francese, noto
omosessuale, funzionale a stabilire in incipit da che parte sta chi scrive; che
è segno di onestà intellettuale e di chiarezza.
Siccome non si tratta di una
legge qualsiasi, come ognuno obiettivamente riconosce, ma di una legge di
rottura col passato millenario, che potrà avere di qui a non molto ricadute
importanti sulla società, fino a stravolgerla per un modello sociale al momento
solo ipotizzabile, è opportuno chiedersi: ma la Costituzione cosa dice in merito?
E di qui la seconda domanda: può un Parlamento o un Governo introdurre una
legge senza tener conto della Costituzione, che è la Magna
Charta che informa e regola la vita giuridica e politica
del Paese?
All’art. 29 la Costituzione dice:
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio”. Al tempo dei padri costituenti, come pomposamente vengono
ricordati i membri dell’Assemblea Costituente, non erano neppure lontanamente
ipotizzabili unioni di omosessuali riconosciute dalla Repubblica. Dunque, nella
lettera e nello spirito la Repubblica
esclude ogni altra famiglia che non sia quella naturale fondata sul
matrimonio; né in altri articoli apre lontanamente a percorsi aggiuntivi.
E allora, come è possibile
legiferare in difformità se non proprio in contrasto con la Costituzione?
Risposta: si può, perché la legge sulle unioni civili è un’operazione politica;
e la politica – si sa – è l’arte del possibile. E la Costituzione? Penso alla
battuta di un celebre film di Totò, che non riferisco per il rispetto che ho
per il massimo documento della nostra Repubblica e dei lettori.
Detto più seriamente il problema
è tra la Costituzione, che per natura è rigida, e la politica che per natura è
fluida. Nascono di qui i due modelli sociali. C’è chi ritiene che il Paese
debba essere ordinato e osservare le leggi esistenti, cambiandole secondo
modalità di legge, quando ne ricorre l’opportunità; e c’è chi ritiene, invece,
che il Paese è in continuo spontaneo trasformarsi e perciò le leggi esistenti
che impediscono o frenano le trasformazioni non vanno osservate. Gli uni
peccano in rigidismo, gli altri in fluidità. Questi ultimi sono vincenti; è
questione solo di tempo, ma gli obiettivi li raggiungono sempre. Riconoscerlo,
però, non significa dar loro ragione. Ci sono conquiste che non si possono cambiare
a capriccio, dopo aver fatto scempio non solo delle leggi ma anche di tutto ciò
che ad esse sottende, in primis della natura e della ragione.
Questa legge, salutata come la
più alta, la più importante, una tappa fondamentale sul cammino della civiltà,
rompe una tradizione di diecimila anni di storia. Viene di pensare che per
diecimila anni gli uomini, gli italiani, sono stati ciechi; non si sono mai accorti
di vivere nell’inciviltà dei rapporti sociali.
Sarebbe tuttavia ingiusto non ricordare che le unioni civili e tutto
quello che ne seguirà di conseguenza, tra inutili strepiti di alcuni
parlamentari, sono passate anche per merito/colpa di un Papa, che più passa il
tempo e più si configura come un Antipapa. Lo è nel fatto prima ancora che nel diritto. Francesco ha lasciato fare e continuerà a lasciar fare. Lui non si
occupa di questioni spirituali, ma di questioni sindacali, politiche,
giudiziarie, di costume spicciolo e di tanta voglia di apparire, di essere in
cattedra. Nascono di qui le sue udienze di massa: a politici, a imprenditori, a
giornalisti, ad artisti. Lui, il Papa venuto dalla fine del mondo, si sta
rivelando davvero un papa dell’altro mondo.
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