domenica 28 febbraio 2016

25 febbraio 2016: l'Italia è un'altra!


Giovedì, 25 febbraio 2016, è una data che definire storica è poco. In questo giorno l’Italia è diventata un’altra; ha riconosciuto che due dello stesso sesso possono unirsi formalmente a costituire una famiglia, potendo così godere di alcuni benefici che lo Stato riconosce alle famiglie cosiddette normali. Per ora solo alcuni benefici; poi si vedrà. L’obiettivo è di riconoscere alle coppie omosessuali anche il diritto di adozione di bambini. Come il battello ebbro del poeta maledetto Rimbaud così il battello dei diritti umani scivola lungo l’italico fiume del riconoscimento pieno e dell’equiparazione totale delle unioni civili alle altre forme di unione, come il matrimonio religioso e il matrimonio civile. Fin qui il fatto, nudo e crudo; a parte la metafora del battello e del poeta francese, noto omosessuale, funzionale a stabilire in incipit da che parte sta chi scrive; che è segno di onestà intellettuale e di chiarezza.
Siccome non si tratta di una legge qualsiasi, come ognuno obiettivamente riconosce, ma di una legge di rottura col passato millenario, che potrà avere di qui a non molto ricadute importanti sulla società, fino a stravolgerla per un modello sociale al momento solo ipotizzabile, è opportuno chiedersi: ma la Costituzione cosa dice in merito? E di qui la seconda domanda: può un Parlamento o un Governo introdurre una legge senza tener conto della Costituzione, che è la Magna Charta che informa e regola la vita giuridica e politica del Paese?
All’art. 29 la Costituzione dice: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Al tempo dei padri costituenti, come pomposamente vengono ricordati i membri dell’Assemblea Costituente, non erano neppure lontanamente ipotizzabili unioni di omosessuali riconosciute dalla Repubblica. Dunque, nella lettera e nello spirito la Repubblica  esclude ogni altra famiglia che non sia quella naturale fondata sul matrimonio; né in altri articoli apre lontanamente a percorsi aggiuntivi.
E allora, come è possibile legiferare in difformità se non proprio in contrasto con la Costituzione? Risposta: si può, perché la legge sulle unioni civili è un’operazione politica; e la politica – si sa – è l’arte del possibile. E la Costituzione? Penso alla battuta di un celebre film di Totò, che non riferisco per il rispetto che ho per il massimo documento della nostra Repubblica e dei lettori.
Detto più seriamente il problema è tra la Costituzione, che per natura è rigida, e la politica che per natura è fluida. Nascono di qui i due modelli sociali. C’è chi ritiene che il Paese debba essere ordinato e osservare le leggi esistenti, cambiandole secondo modalità di legge, quando ne ricorre l’opportunità; e c’è chi ritiene, invece, che il Paese è in continuo spontaneo trasformarsi e perciò le leggi esistenti che impediscono o frenano le trasformazioni non vanno osservate. Gli uni peccano in rigidismo, gli altri in fluidità. Questi ultimi sono vincenti; è questione solo di tempo, ma gli obiettivi li raggiungono sempre. Riconoscerlo, però, non significa dar loro ragione. Ci sono conquiste che non si possono cambiare a capriccio, dopo aver fatto scempio non solo delle leggi ma anche di tutto ciò che ad esse sottende, in primis della natura e della ragione.
Questa legge, salutata come la più alta, la più importante, una tappa fondamentale sul cammino della civiltà, rompe una tradizione di diecimila anni di storia. Viene di pensare che per diecimila anni gli uomini, gli italiani, sono stati ciechi; non si sono mai accorti di vivere nell’inciviltà dei rapporti sociali.
Sarebbe tuttavia ingiusto non ricordare che le unioni civili e tutto quello che ne seguirà di conseguenza, tra inutili strepiti di alcuni parlamentari, sono passate anche per merito/colpa di un Papa, che più passa il tempo e più si configura come un Antipapa. Lo è nel fatto prima ancora che nel diritto. Francesco ha lasciato fare e continuerà a lasciar fare. Lui non si occupa di questioni spirituali, ma di questioni sindacali, politiche, giudiziarie, di costume spicciolo e di tanta voglia di apparire, di essere in cattedra. Nascono di qui le sue udienze di massa: a politici, a imprenditori, a giornalisti, ad artisti. Lui, il Papa venuto dalla fine del mondo, si sta rivelando davvero un papa dell’altro mondo.    

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