domenica 14 febbraio 2016

Diritti umani, ripensare la destra


La destra, intesa genericamente come insieme di valori e di stile di vita, in Italia è perdente, in dipendenza anche da una più ampia crisi della destra europea. Non la destra economica, s’intende, che ancora impera sovrana, ma quella immateriale che trova ragioni e suggestioni in un preciso statuto culturale. Ammettere di essere perdente non significa ammettere di avere torto. E’ lo spirito del tempo, lo Zeitgeist. Che non è una cosa piovuta dal cielo, ben inteso, ma preparata da uomini e da eventi abbastanza identificabili.
Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi c’è stata un’inversione di tendenza, che ha via via spazzato dalla cultura e dal costume ogni idea di conservazione e di tradizione. Le idee-forza di quella destra erano sul piano politico tutte nel primato dell’insieme, ovvero dello Stato, della Nazione, della Società, le tre grandi sintesi umane. Sul piano dell’individuo le idee-forza erano i miti della forza, della bellezza, del successo, della gerarchia.
L’inversione di tendenza ha aperto sul piano politico ad un processo di frantumazione giuridica, con un crescendo di autonomie locali; sul piano individuale ha portato se non all’esaltazione, alla comprensione e al recupero di ogni individualità, comunque fosse: debole, brutta, svantaggiata, in una visione di uguaglianza generale: non uno dopo l’altro, ma uno accanto all’altro; orizzontalità per verticalità.
Questa trasformazione è figlia di una cultura radicale, mista di socialismo e liberalismo, che ha avuto elaborazione e diffusione nel mondo. Campioni di questa cultura sono pensatori come Karl Popper (società aperta) e Zygmunt Bauman (società liquida), per citarne solo alcuni tra i più noti. L’una e l’altra, benché calibrate sull’esistente, danno l’idea della trasformazione e del dinamismo e costituiscono il supporto ideologico di ogni individualismo in una cornice sempre più fragile di società e di stato. Oggi, in ragione di un simile pensiero, è mutato il concetto di giusto. E’ giusto ciò di cui io, individuo, sento il desiderio o la necessità, qui ed ora. Ciò che mi piace non solo è lecito, ma se non mi viene concesso io lo rivendico come un diritto. Mi sottometto al denaro solo perché mi consente di soddisfare le mie esigenze, primarie secondarie superflue; ma davanti a me individuo non conta lo Stato, non conta la Società, non conta la Nazione: io sto prima di tutto. Quasi un comandamento! 
A questo processo di arretramento dell’insieme non è estranea la Chiesa, dove è avvenuto, in questi ultimi tempi, un trapasso che ha del traumatico.
“Come si riconosce ciò che è giusto?” si chiedeva papa Benedetto XVI nel suo discorso al Reichstag di Berlino il 22 settembre 2011, meno di cinque anni fa. Rispondeva: “Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. […] riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione”.
C’è sentore di una simile idea di giusto oggi nella Chiesa di papa Francesco? Il giusto di papa Francesco si limita alla natura, ovverossia all’apparente e all’immediato, che non possono essere che fisici e secolari. Papa Francesco non si è limitato a togliere la correlazione tra natura e ragione, a rompere l’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, ha cancellato la ragione. In Francesco non c’è un solo richiamo alla spiritualità, alla razionalità, alla prospettiva. Per lui non c’è che il presente e il soddisfacimento dei bisogni immediati dell’uomo.
C’è sempre una ragione nelle cose del mondo: papa Benedetto XVI che lascia – non si sa quanto spontaneamente – per papa Francesco è la dimostrazione storica e la rappresentazione plastica della sconfitta di un modo di intendere la vita. La Chiesa in questo passaggio ha voluto esserci. Il silenzio di Francesco sulle grandi questioni bioetiche è più di una indicazione di strada da percorrere. E’ la presa d’atto di una sconfitta. Una sconfitta di quella Chiesa che si è sempre riconosciuta nella conservazione e nella tradizione dei valori spirituali e universali.
Nel Parlamento italiano si fa oggi un gran parlare su una legge (unioni civili). Ma si discute inutilmente! Essa è già nella testa della gente, nella realtà delle cose, si colloca nella filiera dei diritti individuali. Dal divorzio all’aborto, dalle unioni civili alle coppie di fatto, dalle adozioni indiscriminate agli uteri in affitto e alle gravidanze multigestibili, ogni cosa va verso il riconoscimento, come le acque di un fiume vanno naturalmente al mare.
Si tratta di una battaglia che la destra, anche quella moderata, anche quella cattolica, ha perso e non si avvede neppure che l’ha persa.
Nel momento in cui un moderato o un conservatore si guarda bene dall’esprimere pubblicamente nei confronti di certi comportamenti e di certe situazioni quanto esprimeva fino a qualche anno fa, ipso facto ammette la sconfitta. Ci sono casi illustri di pentiti, collaboratori d’ingiustizia: Gianfranco Fini, che disse che lui un figlio ad un professore omosessuale non l’avrebbe mai affidato; ai Dolce & Gabbana, che osarono distinguere tra omosessualità privata e omosessualità ostentata; al pastificio Barilla, che in una pubblicità disse che avrebbe continuato sempre a produrre per la famiglia tradizionale. Tutti a scappare con la coda fra le gambe, per motivi banali e profani, chi per non perdere voti (Fini), chi per non perdere soldi (Dolce & Gabbana, Barilla).

Riconoscere la sconfitta per la destra – e direi anche per la Chiesa – può essere il primo atto di un riesame di coscienza. Oggi si conoscono i guasti di una società che si è piegata al verbo del consumismo e del nichilismo borghesi, svendendo i valori dello spirito e della legge; e perciò si va verso un altro tipo di società. Più che giusto! Ma quali guasti saranno provocati da una società basata su valori individuali, esasperati fino all’inverosimile? Non lo sappiamo. Potremmo ipotizzarli. Per certi aspetti ne vediamo le avvisaglie. Ogni modello produce dei guasti, ha le sue degenerazioni. Solo quando si avvertirà l’esigenza di rimettere ordine nelle cose si potrà ripartire. Allora la destra potrà tornare a dire la sua. Senza voler restaurare, perché nel frattempo già troppe cose saranno cambiate; ma neppure senza rinnegare, perché i valori di fondo non scambiano di colore né perdono di sostanza. Si tratta di trovare la strada di una nuova aristocrazia dello spirito.   

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