La destra, intesa genericamente
come insieme di valori e di stile di vita, in Italia è perdente, in dipendenza
anche da una più ampia crisi della destra europea. Non la destra economica,
s’intende, che ancora impera sovrana, ma quella immateriale che trova ragioni e
suggestioni in un preciso statuto culturale. Ammettere di essere perdente non
significa ammettere di avere torto. E’ lo spirito del tempo, lo Zeitgeist. Che non è una cosa piovuta
dal cielo, ben inteso, ma preparata da uomini e da eventi abbastanza
identificabili.
Dalla fine della seconda guerra
mondiale ad oggi c’è stata un’inversione di tendenza, che ha via via spazzato
dalla cultura e dal costume ogni idea di conservazione e di tradizione. Le
idee-forza di quella destra erano sul piano politico tutte nel primato
dell’insieme, ovvero dello Stato, della Nazione, della Società, le tre grandi
sintesi umane. Sul piano dell’individuo le idee-forza erano i miti della forza,
della bellezza, del successo, della gerarchia.
L’inversione di tendenza ha
aperto sul piano politico ad un processo di frantumazione giuridica, con un
crescendo di autonomie locali; sul piano individuale ha portato se non
all’esaltazione, alla comprensione e al recupero di ogni individualità, comunque
fosse: debole, brutta, svantaggiata, in una visione di uguaglianza generale:
non uno dopo l’altro, ma uno accanto all’altro; orizzontalità per verticalità.
Questa trasformazione è figlia di
una cultura radicale, mista di socialismo e liberalismo, che ha avuto
elaborazione e diffusione nel mondo. Campioni di questa cultura sono pensatori
come Karl Popper (società aperta) e
Zygmunt Bauman (società liquida), per
citarne solo alcuni tra i più noti. L’una e l’altra, benché calibrate
sull’esistente, danno l’idea della trasformazione e del dinamismo e
costituiscono il supporto ideologico di ogni individualismo in una cornice
sempre più fragile di società e di stato. Oggi, in ragione di un simile
pensiero, è mutato il concetto di giusto. E’ giusto ciò di cui io, individuo,
sento il desiderio o la necessità, qui ed ora. Ciò che mi piace non solo è
lecito, ma se non mi viene concesso io lo rivendico come un diritto. Mi
sottometto al denaro solo perché mi consente di soddisfare le mie esigenze,
primarie secondarie superflue; ma davanti a me individuo non conta lo Stato,
non conta la Società, non conta la Nazione: io sto prima di tutto. Quasi un
comandamento!
A questo processo di arretramento
dell’insieme non è estranea la Chiesa, dove è avvenuto, in questi ultimi tempi,
un trapasso che ha del traumatico.
“Come si riconosce ciò che è
giusto?” si chiedeva papa Benedetto XVI nel suo discorso al Reichstag di
Berlino il 22 settembre 2011, meno di cinque anni fa. Rispondeva:
“Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto
allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico
derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione
quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e
soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate
nella Ragione creatrice di Dio. […] riconoscendo come fonte giuridica valida
per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione”.
C’è sentore di una simile idea di
giusto oggi nella Chiesa di papa Francesco? Il giusto di papa Francesco si
limita alla natura, ovverossia all’apparente e all’immediato, che non possono
essere che fisici e secolari. Papa Francesco non si è limitato a togliere la
correlazione tra natura e ragione, a rompere l’armonia tra ragione oggettiva e
soggettiva, ha cancellato la ragione. In Francesco non c’è un solo richiamo
alla spiritualità, alla razionalità, alla prospettiva. Per lui non c’è che il
presente e il soddisfacimento dei bisogni immediati dell’uomo.
C’è sempre una ragione nelle cose
del mondo: papa Benedetto XVI che lascia – non si sa quanto spontaneamente –
per papa Francesco è la dimostrazione storica e la rappresentazione plastica
della sconfitta di un modo di intendere la vita. La Chiesa in
questo passaggio ha voluto esserci. Il silenzio di Francesco sulle grandi
questioni bioetiche è più di una indicazione di strada da percorrere. E’ la
presa d’atto di una sconfitta. Una sconfitta di quella Chiesa che si è sempre
riconosciuta nella conservazione e nella tradizione dei valori spirituali e
universali.
Nel Parlamento italiano si fa
oggi un gran parlare su una legge (unioni civili). Ma si discute inutilmente!
Essa è già nella testa della gente, nella realtà delle cose, si colloca nella
filiera dei diritti individuali. Dal divorzio all’aborto, dalle unioni civili
alle coppie di fatto, dalle adozioni indiscriminate agli uteri in affitto e
alle gravidanze multigestibili, ogni cosa va verso il riconoscimento, come le
acque di un fiume vanno naturalmente al mare.
Si tratta di una battaglia che la
destra, anche quella moderata, anche quella cattolica, ha perso e non si avvede
neppure che l’ha persa.
Nel momento in cui un moderato o
un conservatore si guarda bene dall’esprimere pubblicamente nei confronti di
certi comportamenti e di certe situazioni quanto esprimeva fino a qualche anno
fa, ipso facto ammette la sconfitta. Ci sono
casi illustri di pentiti, collaboratori d’ingiustizia: Gianfranco Fini, che
disse che lui un figlio ad un professore omosessuale non l’avrebbe mai
affidato; ai Dolce & Gabbana, che osarono distinguere tra omosessualità
privata e omosessualità ostentata; al pastificio Barilla, che in una pubblicità
disse che avrebbe continuato sempre a produrre per la famiglia tradizionale.
Tutti a scappare con la coda fra le gambe, per motivi banali e profani, chi per
non perdere voti (Fini), chi per non perdere soldi (Dolce & Gabbana,
Barilla).
Riconoscere la sconfitta per la
destra – e direi anche per la Chiesa – può essere il primo atto di un riesame
di coscienza. Oggi si conoscono i guasti di una società che si è piegata al
verbo del consumismo e del nichilismo borghesi, svendendo i valori dello
spirito e della legge; e perciò si va verso un altro tipo di società. Più che
giusto! Ma quali guasti saranno provocati da una società basata su valori
individuali, esasperati fino all’inverosimile? Non lo sappiamo. Potremmo
ipotizzarli. Per certi aspetti ne vediamo le avvisaglie. Ogni modello produce
dei guasti, ha le sue degenerazioni. Solo quando si avvertirà l’esigenza di
rimettere ordine nelle cose si potrà ripartire. Allora la destra potrà tornare
a dire la sua. Senza
voler restaurare, perché nel frattempo già troppe cose saranno cambiate; ma
neppure senza rinnegare, perché i valori di fondo non scambiano di colore né
perdono di sostanza. Si tratta di trovare la strada di una nuova aristocrazia
dello spirito.
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