Il caso Cucchi rischia di
diventare un caso emblematico di come lo Stato in Italia si deve far carico,
sborsando risarcimenti milionari, delle colpe, delle negligenze e delle
nefandezze dei suoi rappresentanti ai più vari livelli e nei più vari settori.
Morire in ospedale dopo
un’operazione o un parto; non essere soddisfatti di un intervento chirurgico
dal quale non si è guariti del tutto; morire in un carcere, cadere dalle scale
di un edificio pubblico, inciampare per strada ad un sanpietrino fuori livello,
scivolare su un marciapiede, urtare contro una barriera – si potrebbe
continuare con una casistica infinita – tutto può essere motivo di una
richiesta milionaria per risarcimento danni. E chi paga? Paga lo Stato, quando
ne è il diretto interlocutore; l’ente pubblico in tutti gli altri casi.
Lo spettacolo a cui stiamo
assistendo da qualche giorno in qua per il caso Cucchi è odioso in sé. Per un verso è la prova provata che lo Stato non funziona, per un altro è la
strumentalizzazione di un giovane morto, forse per percosse ricevute nel
carcere, forse per altre cause, che la giustizia non è stata in grado di
provare. Quel giovane non doveva morire, non doveva essere picchiato in
carcere, nemmeno se si fosse ribellato agli agenti, se avesse bestemmiato loro
i morti, se li avesse offesi a morte nei loro affetti più cari, se li avesse
presi a calci, a morsi, a unghiate. Questo è indiscutibile. Purtroppo qualche volta
accade che gli agenti si lascino trasportare dall’ira e si abbandonino a
violenze. Poi, per una serie di complicità, di solidarietà di corpo, di omertà
diventa difficile, quando non impossibile giungere ad individuare i colpevoli.
E’ scandaloso che un caso simile
non sia stato chiarito, individuando i responsabili, che ci sono sicuramente. Di
fronte all’assoluzione di tutti gli imputati la famiglia, la mamma e la
sorella, la sorella soprattutto, ha fatto l’ira di Dio, spalleggiata dai media
e perfino da alcuni eminenti personaggi delle istituzioni civili e della
Chiesa, come il Presidente del Senato Grasso e il Presidente della Cei, Cardinal
Bagnasco. La famiglia Cucchi non ha torto, vuole giustizia. La giustizia gliela deve garantire lo Stato e se non è in grado di farlo deve risponderne.
Ma intanto quel povero giovane è
ostentato come una macabra icona tante volte al giorno, per giorni e giorni,
quanti sono i telegiornali delle televisioni nazionali e locali. Non so, ma
meriterebbe rispetto. C’è una legge, in Italia, sulla privacy che vieta perfino
di fotografare e pubblicare un morto per incidente stradale mentre giace
esanime sulla strada. Non vale per i famigliari, i quali possono dell’immagine
del proprio congiunto farne pubblico uso? Meditiamo su certi eccessi.
Il processo comunque si rifarà. Probabilmente
non troveranno i responsabili, ma siccome quel giovane è morto in una struttura
dello Stato, quando era sotto tutela dello Stato, lo Stato sarà chiamato a
pagare risarcimenti milionari.
Questo può diventare un problema
per lo Stato, che non versa certo in condizioni felici per fare fronte a
salassi del genere. Di giudici politicizzati o mediocri, di medici disattenti e
faciloni, di dirigenti e manager che sbagliano, ce ne sono tanti che il
risarcimento può diventare un business, una vera moderna acchiatura. Pensano gli avvocati, che in questo
genere di vicende sguazzano una meraviglia. In questo paese, che si vuole dire
europeo, infatti, cerca che trovi, perché si vive nella strafottenza più
diffusa. Europei lo siamo nelle leggi, che ormai siamo obbligati ad adottare;
ma nella loro applicazione siamo da paese di terzo mondo, assai particolare per
giunta. Non c’è ente pubblico che curi il territorio con
diligenza e senso della legalità per evitare danni e disastri. Lo vediamo ogni
anno in autunno quando le piogge sconvolgono intere città. Non c’è rispetto del
cittadino, a cui spesso qualche cialtrone di impiegato dice di ringraziare Dio
per qualcosa che era suo dovere fare.
Nel diffuso senso di
incolpevolezza e di impunibilità, che regna in Italia, può accadere che ad un
povero malato dei medici alla buona facciano l’intervento alla me ne fotto con
conseguenze a volte anche mortali, che un arrestato riottoso e maleducato venga
picchiato a sangue dagli agenti, che in una strada dissestata e mai riparata
qualcuno possa cadere e farsi male, può accadere questo ed altro. Lo Stato è
chiamato poi a pagare, come se fosse il nemico pubblico, il malvagio in agguato,
il colpevole di tutte le nefandezze diffuse nel paese.
Ma a nessuno viene in mente di prenderne
le difese? Il pubblico ufficiale, il dirigente, l’impiegato, il politico, il
rappresentante delle istituzioni fanno a gara a chi più e meglio lo aggredisce.
Se qualcuno si azzarda ad accennare ad una difesa, viene zittito, come è accaduto al Presidente della Corte d'Appello. Quando il
Presidente del Senato si schiera dalla parte del cittadino, che può avere torto
o ragione, non pensa minimamente che sta oltraggiando lo Stato, perché una
sentenza, di assoluzione o di condanna,
è stata emessa da un suo organo, non da un’assemblea di condominio. Quando il
Cardinal Bagnasco, mischiando il sacro e il profano, chiede giustizia terrena, si rende
o no conto che sta colpevolizzando lo Stato?
Ma se tutto questo accade,
evidentemente c’è una ragione. La convinzione che in questo paese non funziona
più nulla. Gli operatori scolastici sanno che la scuola non funziona, i
magistrati sanno che la giustizia è una favola senza morale, i politici pensano
agli interessi propri, di soldi e di carriera, i preti pensano, con Elsa Morante, che in fondo la storia è tutta uno scherzo. Ecco perché, quando lo Stato
viene accusato, per le manchevolezze dei suoi rappresentanti, non c’è chi ne
prenda le difese.
Per tornare al caso Cucchi. Le parti in causa, la famiglia da una parte
e i responsabili, finora ignoti dall’altra, faranno di tutto per scaricare
sullo Stato le responsabilità, che invece sono di persone singole e ben individuabili.
Penseranno gli avvocati e i giudici, ancora una volta, a raccontare la favola
senza morale della giustizia italiana.
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