domenica 5 ottobre 2014

Berlusconi-Fitto, per quanto ci riguarda


Si possono dire tante cose di Berlusconi, ma non si può dire che si sia mai nascosto dietro una maschera. Certo, ha fatto di tutto per apparire gradevole, ricorrendo a tutti i trucchi delle apparenze tipiche degli uomini di spettacolo; ma il volto, il suo vero volto, quello di un Mastro don Gesualdo milanese, quello del padrone che fa e disfa, che invita e caccia, che dona e prende, che ride e fa ridere, che si diverte e fa divertire, che usa e getta, che con una mano fa finta di nascondere e con l’altra mostra, quello non lo ha mai nascosto. Perché per Berlusconi non c’è piacere, non c’è potere senza ostentazione.
Il guaio è che il suo volto non è più quello di una volta. Forse oggi la maschera se la dovrebbe proprio mettere, incollarsela, perché il suo volto di oggi è devastato dalle rughe di un invecchiamento malvagio, impietoso che rivela non solo l’età – a quella ancora può in qualche modo rimediare – ma soprattutto la natura intima, tra il grottesco e il tragico; e qui non può fare proprio niente. Grottesco, quando pensa a finalità giovanili e spera in ricandidature importanti, ed è un vecchio di ottant’anni, graziato dai suoi nemici solo perché serve a tenere in piedi la baracca di Napolitano-Renzi; tragico, perché pensa di poter rinascere mentre sta solamente morendo.
Quanto è accaduto all’Ufficio di Presidenza di Forza Italia giovedì, 2 ottobre, tra lui e Raffaele Fitto è la rappresentazione del suo vero stato di salute mentale e politica. E purtroppo non solo sua. La corte che gli sta attorno suscita, ormai da qualche tempo, quel pietoso rispetto che in genere si deve a dei poveri malati, straniti e spaesati, che hanno perso la via di casa e stanno, come si dice, più di là che di qua.
Aver attaccato Raffaele Fitto, uno dei suoi più votati leader politici, perché in dissenso dalla sua linea politica, ritenuta ambigua e suicida, con rozze e volgari minacce, non è da uomo assennato, da padre nobile, come lui ogni tanto dice di essere. Avere esplicitamente cacciato Fitto paragonandolo a Fini non sminuisce Fitto ma riabilita senza merito Fini e lo fa apparire quello che non è. Aver accusato Fitto di fargli perdere consenso nel paese con le sue critiche alla linea politica del partito, anfibia rispetto al governo Renzi, ha dimostrato solo che Forza Italia è un partito personale, che la politica che fa serve solo al suo padrone. Un padrone che, ormai prossimo alla fine, decide, come quell’altro personaggio verghiano, di portarsi con sé la sua roba.
Ha rimproverato a tutti di essere stati fedeli quando lui era il dominus assoluto e li faceva ministri ed uomini importanti, per abbandonarlo quando poi si è trovato in difficoltà, perseguitato e non più candidabile. Ecco, ancora una volta ammette di essere quello che i suoi nemici gli hanno sempre contestato: un despota! Ecco, ancora una volta dimostra di non capire che il partito non è un’azienda e che è perfettamente normale che ognuno persegua il proprio interesse nell’ambito del più ampio interesse del partito e del supremo interesse del paese. Che c’è di strano che un politico si preoccupi delle prospettive del partito a prescindere da quelle del capo, quando questi non è più nelle condizioni di guidarlo con successo? Un partito politico non è una comitiva di scapocchioni, leali e fedeli nei felici bagordi e leali e fedeli nelle tristi penitenze. Berlusconi non ha cultura politica: è digiuno per costituzione mentale come Marco Pannella lo è per calcolo e scelta.   
Fitto – e lo diciamo a prescindere se ha torto o ragione nella sua analisi e nei suoi calcoli – crede davvero che Forza Italia sia il suo partito e che la sua vita politica possa continuare in quel partito. La sua è una lealtà calcolata quanto si vuole, ma è lealtà. Forse, alla luce di quanto sta accadendo, incomincia a riconsiderare il suo più recente passato per giungere ad altre conclusioni; ma non v’è dubbio che al punto in cui è giunto non può pensare a Forza Italia come ad un porto dal quale salpare per allontanarsene così dall’oggi al domani.
Berlusconi lo ha chiamato “prete di Lecce”. Ché i preti di Milano sono diversi? Abbiamo visto chi sono i Gelmini e i Verzè. Berlusconi andrebbe silenziato per il suo bene, se continua di questo passo, altro che rivelazioni di pentiti!    
Ha rimproverato a Fitto di essere figlio di un vecchio democristiano, come se si può rimproverare a qualcuno di essere figlio del proprio genitore, sia pure politicamente parlando. Ma Salvatore Fitto, padre di Raffaele, aveva 47 anni quando morì di incidente stradale; democristiano sì, dunque, ma non vecchio, comunque volesse intenderlo Berlusconi. Ma anche qui l’ex cavaliere dimostra di essere incapace di dominarsi.
E’ forse figlio di nessuno lui? Può anche non avere riguardo per la dignità personale e per la morale pubblica – i Mastro don Gesualdo in genere non hanno né una cosa né l’altra – ma fa un torto a tanta gente che, sbagliando o costretta da un sistema elettorale bipartitico, ha avuto fiducia in lui e lo ha seguito per diversi anni; gente che alla dignità personale e alla morale pubblica tiene.
Lo scontro dell’altro giorno in Forza Italia, al di là dell’esito del voto sulla relazione di Berlusconi, con due soli voti contrari, Fitto e Capezzone, lascia il segno non solo e non tanto nel partito, ma soprattutto nell’elettorato di centrodestra.

In una stagione di riposizionamenti anche elettorali il Pd potrebbe catturare, tramite il renzismo, tanti moderati di Forza Italia e del fu PdL, e tramite le istanze sociali della sinistra tanti ex missini autenticamente convinti della bontà di una giusta politica sociale. Berlusconi rischia, con le sue stravaganti chimere, con le sue folli resistenze, di ricostruire – proprio lui! – la vecchia Democrazia Cristiana. E chissà che per lui non sia un ritorno alla pietosa grande madre Terra, dalla quale è uscito!

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