Ha detto Piero Fassino, sindaco
Pd di Torino ed ex segretario dei Ds (l’ultimo ad esserlo stato prima del Pd),
nonché ex Ministro della Giustizia e del Commercio con l’Estero, attualmente
presidente dell’Anci, che «se il Parlamento restasse chiuso sei mesi, potrebbe
perfino capitare che nessuno se ne accorga», perché «ha perso la sua
centralità». Ed è, secondo lui, cosa normale, ancorché dolorosa, perché
«dobbiamo ripensare le forme della democrazia politica», non dobbiamo
rifugiarci «nella nostalgia di quel che c’era prima. Di nostalgia non si vive,
si muore» (Intervista di Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” di sabato, 11
ottobre). Poi una irrilevante rettifica sul “Corriere della Sera” del 14
successivo: «Ho posto un tema politico e culturale che sta sotto gli occhi di
tutti: vi è una crisi […] delle forme politiche e istituzionali di
rappresentanza» e via di seguito con altre considerazioni, condivisibili sul
piano diagnostico, di meno su quello terapeutico.
Fassino va capito nell’economia
della sua situazione. In quanto sindaco di Torino è espressione della più ampia
platea del centrosinistra e se punta ad essere confermato alla scadenza del
mandato – come punta – non può dire o fare cosa che in questo momento urti
quella platea, larghissimamente renziana. Non è un’interpretazione maligna;
semplicemente la sua è una condizione che non gli consente di dire altro.
Questo solo oggi può dire…
Resta tuttavia grave la filosofia
politica che sottende il suo pensiero. Così ragionando, infatti, tutto ciò che
è accaduto, che accade e che accadrà nella vita politica di un paese, finisce
per essere giustificato. Fassino non è uno qualsiasi. Cariche politiche e
governative a parte, è uno che solo qualche anno fa scrisse un libro “Per
passione” (Rizzoli, 2003), in cui, a proposito di Giancarlo Pajetta, disse che
«non volle mai arrendersi all’idea, che si è dimostrata inesorabilmente vera,
che il comunismo fosse incompatibile con la libertà e la democrazia» (p. 49). E
si diceva convinto che «il riformismo [fosse] la politica più “di sinistra”,
mentre [riteneva] ingannevoli le lusinghe dell’estremismo e del massimalismo e
demagogiche le loro accuse al riformismo di “svendere” le idee di progresso per
debolezza e incapacità» (p. 53). Alla luce di queste e di altre affermazioni
non c’è da sorprendersi se oggi è su posizioni lontane da D’Alema e Bersani, i
quali, però, senza essere estremisti e massimalisti, difendono alcuni principi
basilari della democrazia, come la si intende a sinistra; anzi, come la si
intende e basta, dato che alcune reali derive sono tali da non avere dubbi
sulla loro antidemocraticità o sono tendenzialmente antidemocratiche.
Eccone alcune, senza alcun
bisogno di esagerarle: 1. c’è un Parlamento, eletto con una legge
incostituzionale, che ratifica, con voto di fiducia, quel che decide un governo
che di fatto è un solo uomo, Renzi; 2. c’è un Senato, che si diceva andasse
abolito, che non è più votato dai cittadini; 3. ci sono le province, che si
diceva andassero abolite, che non sono più votate dai cittadini; col governo
Renzi siamo in presenza del secondo governo extraparlamentare, non votato dai
cittadini, con l’aggravante che né Monti né Renzi erano parlamentari all’atto
dell’incarico; 4. il Parlamento è stato incapace di eleggere il nuovo
Presidente della Repubblica, lasciando in carica Napolitano, di fatto in regime
di prorogatio; i cittadini, nelle
loro più diverse condizioni politiche, economiche e sociali, sono privi di
rappresentanza, per cui non possono in alcun modo far sentire la loro voce; 5.
il capo del governo è solo uno che fa quel che la Commissione Europea
gli impone, a prescindere da ogni altra considerazione; 6. l’Italia ha ceduto pezzi di sovranità
all’Europa senza aver sottoposto nulla al giudizio degli italiani; 7. la quasi
generalità dell’informazione spaventa quotidianamente il Paese con notizie che
hanno carattere intimidatorio e ricattatorio, enfatizza quelle poche funzionali
alla propaganda governativa e nasconde quelle considerate nocive; 8. importanti
conquiste sociali come le garanzie dei lavoratori sono abolite come se si
trattasse di vecchie inservibili suppellettili; 9. la Costituzione ormai è
carta straccia, vanificata da una realtà emergenziale; 10. la Presidenza della
Repubblica è impelagata in “presunte” trattative con la mafia, devastanti sul
piano della credibilità e dei valori istituzionali di cui deve godere lo Stato
di diritto.
A fronte di una situazione del
genere, che di democratico non ha che le macerie – le si voglia vedere o meno è
un altro discorso – Fassino non ha da opporre che una risibilissima obiezione:
«Viviamo l’epoca in cui un movimento arriva al 25 % dei voti senza una sezione,
senza una tessera, senza un segretario. Vogliamo discuterne e capire perché?»
(intervista citata).
Ma Fassino è troppo intelligente
per non capire che un conto è il fine un altro il mezzo. Che oggi la politica
abbia forme e percorsi diversi è un dato di fatto inoppugnabile, ma che le
finalità democratiche debbano essere le stesse non bisognerebbe minimamente
discuterlo. Anche nei paesini di poche migliaia di abitanti ci sono giovani che
con i social network riescono alle elezioni amministrative a prendere una
caterva di voti; e sono giovani praticamente sconosciuti ai luoghi urbani, alla
frequentazioni pubbliche, nascosti alla politica quale ancora si fa, attraverso
incontri, convegni, conferenze e dibattiti. E, allora? Allora vuol dire che
oggi bisogna prendere atto dei cambiamenti formali e strumentali, ma per
perseguire le finalità di sempre, che durano dalle origini della democrazia.
Non bisogna farsi abbacinare dai
piccoli o grandi cambiamenti e perdere di vista i piccoli o grandi traguardi
dell’uomo politico, del cittadino. Questo correre dietro a Renzi, se per il
sindaco Fassino ha una ragione politica, per l’uomo Fassino, culturalmente
provveduto, non ha alcuna ragione etica. Il renzismo dilagante è un vero
impazzimento diffuso. Lo svilire i valori della politica incomincia a diventare
pratica demenziale. I valori non sono alimenti che scadono, possono perdere la
loro brillantezza, la loro luce, per le inevitabili traversie della realtà, ma
restano validi. Essi sono come la lampada di Aladino, rottami buttati in un
angolo, ma basta che li strofini ed ecco che ritrovi i grandi desideri-bisogni
della vita politica.
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