domenica 19 ottobre 2014

Fassino, Renzi e l'eutanasia della politica


Ha detto Piero Fassino, sindaco Pd di Torino ed ex segretario dei Ds (l’ultimo ad esserlo stato prima del Pd), nonché ex Ministro della Giustizia e del Commercio con l’Estero, attualmente presidente dell’Anci, che «se il Parlamento restasse chiuso sei mesi, potrebbe perfino capitare che nessuno se ne accorga», perché «ha perso la sua centralità». Ed è, secondo lui, cosa normale, ancorché dolorosa, perché «dobbiamo ripensare le forme della democrazia politica», non dobbiamo rifugiarci «nella nostalgia di quel che c’era prima. Di nostalgia non si vive, si muore» (Intervista di Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” di sabato, 11 ottobre). Poi una irrilevante rettifica sul “Corriere della Sera” del 14 successivo: «Ho posto un tema politico e culturale che sta sotto gli occhi di tutti: vi è una crisi […] delle forme politiche e istituzionali di rappresentanza» e via di seguito con altre considerazioni, condivisibili sul piano diagnostico, di meno su quello terapeutico.
Fassino va capito nell’economia della sua situazione. In quanto sindaco di Torino è espressione della più ampia platea del centrosinistra e se punta ad essere confermato alla scadenza del mandato – come punta – non può dire o fare cosa che in questo momento urti quella platea, larghissimamente renziana. Non è un’interpretazione maligna; semplicemente la sua è una condizione che non gli consente di dire altro. Questo solo oggi può dire…
Resta tuttavia grave la filosofia politica che sottende il suo pensiero. Così ragionando, infatti, tutto ciò che è accaduto, che accade e che accadrà nella vita politica di un paese, finisce per essere giustificato. Fassino non è uno qualsiasi. Cariche politiche e governative a parte, è uno che solo qualche anno fa scrisse un libro “Per passione” (Rizzoli, 2003), in cui, a proposito di Giancarlo Pajetta, disse che «non volle mai arrendersi all’idea, che si è dimostrata inesorabilmente vera, che il comunismo fosse incompatibile con la libertà e la democrazia» (p. 49). E si diceva convinto che «il riformismo [fosse] la politica più “di sinistra”, mentre [riteneva] ingannevoli le lusinghe dell’estremismo e del massimalismo e demagogiche le loro accuse al riformismo di “svendere” le idee di progresso per debolezza e incapacità» (p. 53). Alla luce di queste e di altre affermazioni non c’è da sorprendersi se oggi è su posizioni lontane da D’Alema e Bersani, i quali, però, senza essere estremisti e massimalisti, difendono alcuni principi basilari della democrazia, come la si intende a sinistra; anzi, come la si intende e basta, dato che alcune reali derive sono tali da non avere dubbi sulla loro antidemocraticità o sono tendenzialmente antidemocratiche.
Eccone alcune, senza alcun bisogno di esagerarle: 1. c’è un Parlamento, eletto con una legge incostituzionale, che ratifica, con voto di fiducia, quel che decide un governo che di fatto è un solo uomo, Renzi; 2. c’è un Senato, che si diceva andasse abolito, che non è più votato dai cittadini; 3. ci sono le province, che si diceva andassero abolite, che non sono più votate dai cittadini; col governo Renzi siamo in presenza del secondo governo extraparlamentare, non votato dai cittadini, con l’aggravante che né Monti né Renzi erano parlamentari all’atto dell’incarico; 4. il Parlamento è stato incapace di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, lasciando in carica Napolitano, di fatto in regime di prorogatio; i cittadini, nelle loro più diverse condizioni politiche, economiche e sociali, sono privi di rappresentanza, per cui non possono in alcun modo far sentire la loro voce; 5. il capo del governo è solo uno che fa quel che la Commissione Europea gli impone, a prescindere da ogni altra considerazione;  6. l’Italia ha ceduto pezzi di sovranità all’Europa senza aver sottoposto nulla al giudizio degli italiani; 7. la quasi generalità dell’informazione spaventa quotidianamente il Paese con notizie che hanno carattere intimidatorio e ricattatorio, enfatizza quelle poche funzionali alla propaganda governativa e nasconde quelle considerate nocive; 8. importanti conquiste sociali come le garanzie dei lavoratori sono abolite come se si trattasse di vecchie inservibili suppellettili; 9. la Costituzione ormai è carta straccia, vanificata da una realtà emergenziale; 10. la Presidenza della Repubblica è impelagata in “presunte” trattative con la mafia, devastanti sul piano della credibilità e dei valori istituzionali di cui deve godere lo Stato di diritto.
A fronte di una situazione del genere, che di democratico non ha che le macerie – le si voglia vedere o meno è un altro discorso – Fassino non ha da opporre che una risibilissima obiezione: «Viviamo l’epoca in cui un movimento arriva al 25 % dei voti senza una sezione, senza una tessera, senza un segretario. Vogliamo discuterne e capire perché?» (intervista citata).
Ma Fassino è troppo intelligente per non capire che un conto è il fine un altro il mezzo. Che oggi la politica abbia forme e percorsi diversi è un dato di fatto inoppugnabile, ma che le finalità democratiche debbano essere le stesse non bisognerebbe minimamente discuterlo. Anche nei paesini di poche migliaia di abitanti ci sono giovani che con i social network riescono alle elezioni amministrative a prendere una caterva di voti; e sono giovani praticamente sconosciuti ai luoghi urbani, alla frequentazioni pubbliche, nascosti alla politica quale ancora si fa, attraverso incontri, convegni, conferenze e dibattiti. E, allora? Allora vuol dire che oggi bisogna prendere atto dei cambiamenti formali e strumentali, ma per perseguire le finalità di sempre, che durano dalle origini della democrazia.

Non bisogna farsi abbacinare dai piccoli o grandi cambiamenti e perdere di vista i piccoli o grandi traguardi dell’uomo politico, del cittadino. Questo correre dietro a Renzi, se per il sindaco Fassino ha una ragione politica, per l’uomo Fassino, culturalmente provveduto, non ha alcuna ragione etica. Il renzismo dilagante è un vero impazzimento diffuso. Lo svilire i valori della politica incomincia a diventare pratica demenziale. I valori non sono alimenti che scadono, possono perdere la loro brillantezza, la loro luce, per le inevitabili traversie della realtà, ma restano validi. Essi sono come la lampada di Aladino, rottami buttati in un angolo, ma basta che li strofini ed ecco che ritrovi i grandi desideri-bisogni della vita politica.

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