L’Italia sta diventando il paese
dove nessuno più riconosce lo Stato, la legge, le gerarchie, i normali passaggi
decisionali, inevitabili perché ogni organizzazione, pubblica o privata che
sia, funzioni. Il fenomeno non risparmia neppure i militari. Il comandante
della Capitaneria di Livorno Gregorio De Falco, diventato famoso per quel “qui
comando io” nella disgraziata notte del naufragio della “Costa Concordia”, ha
respinto il trasferimento ad altro compito ipotizzando un reato di mobbing.
Gli esempi più negativi ed
eclatanti procedono dall’alto in basso. Il Parlamento non nomina i due giudici
mancanti della Corte Costituzionale. Impotenza o deliberata riottosità?
Mettiamola come vogliamo. I senatori, che ormai sanno di avere i giorni
contati, si vendicano nei confronti di un’istituzione che nulla ha fatto per
impedire l’abolizione del Senato.
Lo spettacolo offerto da
importanti magistrati – vedi il caso della Procura di Milano – è indecoroso per
le accuse reciproche e le reciproche delegittimazioni tra i procuratori-capo e
i procuratori aggiunti. E dovrebbero essere loro i custodi della legge! Stanno
dimostrando, essi giudici, di essere più colpevoli e più dannosi al paese dei
loro giudicati.
Il Sindaco di Napoli, Luigi De
Magistris, ex magistrato, non accetta la condanna inflittagli per abuso
d’ufficio, respinge la sospensione comminatagli dal Prefetto, continua a
riunire la sua Giunta in un luogo più ameno e manda a strafottere tutti.
Il Presidente della Regione
Veneto, Luca Zaia, dichiara di non voler obbedire alla politica estera
nazionale, che in linea con l’Europa ha comminato sanzioni alla Russia di
Putin, e dice che prenderà contatti direttamente con le autorità russe per riallacciare
i rapporti economici con quel paese.
I sindaci di molte città
italiane, tra cui Milano, Bologna, Roma, non intendono obbedire alle
disposizioni dei Prefetti e del Ministero degli Interni in materia di
trascrizione di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all’estero perché
illegali per la legge italiana.
A Melendugno – si parva licet – il Sindaco con qualche
cavillo amministrativo blocca i lavori della Tap, un’importante opera
strategica per la politica energetica nazionale, deliberati dal governo.
Ci sono zone di alcune città,
come Napoli e Bari, dove i cittadini impediscono alla Polizia di catturare o
solo identificare un pregiudicato. Il caso della sollevazione popolare a Napoli
in seguito alla morte di quel giovane sullo scooter, che non si era fermato
all’alt dei Carabinieri, è una delle pagine più eloquenti del discredito di cui
gode lo Stato in alcune regioni italiane.
Alla disobbedienza, ormai diffusa
come costume imperante, si aggiunge un continuo insultare il diretto superiore.
Ormai il cittadino, a cui non piaccia una legge, si sente legittimato a non
osservarla, a disobbedire, convinto che la sua disobbedienza basti a far
abrogare quella legge. Non il contravventore della legge, dunque, deve essere
punito, ma la legge.
Sta venendo a mancare la base del
Contratto Sociale, ipotizzato da filosofi e giuristi tra il Sei e il Settecento
per tenere insieme il corpo sociale nell’ambito di un reciproco riconoscersi in
un’autorità superiore. Il popolo – ma a questo punto è perfino improprio definirlo
così – si è disgregato in un numero infinito di monadi che non riconoscono
l’autorità dello Stato; lo Stato, da parte sua, non ha né la volontà né la
forza di imporre il rispetto del Contratto. Chi dovrebbe dare l’esempio coi
suoi comportamenti fa l’opposto, convincendo i cittadini di poter fare tutto
quello che vogliono perché tutto è permesso, e se non permesso quanto meno
concesso o graziosamente affrancato. Peggio: chi dovrebbe intervenire per far
rispettare la legge non c’è; e dunque in assenza del guardiano tutto è a
disposizione di tutti.
Di fronte alla situazione
catastrofica che si sta delineando, non solo sotto il profilo
economico-finanziario – questo è quotidianamente iperpropagandato e purtroppo
pesantemente sentito – ma anche e soprattutto sotto il profilo culturale e
sociale, invece di correre ai ripari si fa finta di niente. Si vive
nell’indifferenza, se non in una reciproca ignoranza.
Renzi dice di voler cambiare
l’Italia. Ma perché cambiare l’Italia, e non piuttosto gli italiani, immeritevoli
assegnatari di un bene che andrebbe altrimenti gestito e vissuto? Per cambiare
gli italiani, però, occorre quello che nessuno di loro vuole. Del resto, come
li si può cambiare assecondandoli? Li si può cambiare usando esattamente il
contrario di ciò che essi vogliono. Vogliono l’anarchia, l’impunibilità, il
faccio quello che mi pare e piace? E allora, a questo punto, occorre la
bacchetta! Sissignori, quella bacchetta invocata da Pier Paolo Pasolini nelle
sue “Lettere Luterane”.
Come per altre situazioni, anche
in questa, Pasolini seppe essere una formidabile spia di allarme fin da
quarant’anni fa. Gli italiani vanno riportati nell’ordine nazionale e sociale;
devono recuperare il senso dello Stato. Nessuno si spaventi per repressioni di
massa, bastonature, incarcerazioni. Nessuno pensi a bibliche deportazioni. Non
ce ne saranno. Gli italiani hanno dimostrato di essere docili e obbedienti ai
primi colpi di bacchetta. L’italiano è uno che si uniforma all’anarchia come
all’ordine, lesto e capacissimo di cambiare, passando da un regime all’altro,
appena si accorge che è in atto il cambiamento.
Preoccupa, in una simile
congiuntura, l’assenza degli intellettuali a lanciare l’allarme. Essi hanno
trasformato una torre di vedetta in una torre d’avorio. La stretta economica e
la crisi di rappresentanza politica stanno facendo passare in secondo ordine la
vera emergenza nazionale, che è quella di un paese che ormai non si riconosce
in niente e in nessuno.
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