domenica 12 ottobre 2014

Non credere, non obbedire, mandare a strafottere


L’Italia sta diventando il paese dove nessuno più riconosce lo Stato, la legge, le gerarchie, i normali passaggi decisionali, inevitabili perché ogni organizzazione, pubblica o privata che sia, funzioni. Il fenomeno non risparmia neppure i militari. Il comandante della Capitaneria di Livorno Gregorio De Falco, diventato famoso per quel “qui comando io” nella disgraziata notte del naufragio della “Costa Concordia”, ha respinto il trasferimento ad altro compito ipotizzando un reato di mobbing.
Gli esempi più negativi ed eclatanti procedono dall’alto in basso. Il Parlamento non nomina i due giudici mancanti della Corte Costituzionale. Impotenza o deliberata riottosità? Mettiamola come vogliamo. I senatori, che ormai sanno di avere i giorni contati, si vendicano nei confronti di un’istituzione che nulla ha fatto per impedire l’abolizione del Senato.
Lo spettacolo offerto da importanti magistrati – vedi il caso della Procura di Milano – è indecoroso per le accuse reciproche e le reciproche delegittimazioni tra i procuratori-capo e i procuratori aggiunti. E dovrebbero essere loro i custodi della legge! Stanno dimostrando, essi giudici, di essere più colpevoli e più dannosi al paese dei loro giudicati.
Il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ex magistrato, non accetta la condanna inflittagli per abuso d’ufficio, respinge la sospensione comminatagli dal Prefetto, continua a riunire la sua Giunta in un luogo più ameno e manda a strafottere tutti.
Il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dichiara di non voler obbedire alla politica estera nazionale, che in linea con l’Europa ha comminato sanzioni alla Russia di Putin, e dice che prenderà contatti direttamente con le autorità russe per riallacciare i rapporti economici con quel paese.
I sindaci di molte città italiane, tra cui Milano, Bologna, Roma, non intendono obbedire alle disposizioni dei Prefetti e del Ministero degli Interni in materia di trascrizione di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all’estero perché illegali per la legge italiana.
A Melendugno si parva licet – il Sindaco con qualche cavillo amministrativo blocca i lavori della Tap, un’importante opera strategica per la politica energetica nazionale, deliberati dal governo.
Ci sono zone di alcune città, come Napoli e Bari, dove i cittadini impediscono alla Polizia di catturare o solo identificare un pregiudicato. Il caso della sollevazione popolare a Napoli in seguito alla morte di quel giovane sullo scooter, che non si era fermato all’alt dei Carabinieri, è una delle pagine più eloquenti del discredito di cui gode lo Stato in alcune regioni italiane.
Alla disobbedienza, ormai diffusa come costume imperante, si aggiunge un continuo insultare il diretto superiore. Ormai il cittadino, a cui non piaccia una legge, si sente legittimato a non osservarla, a disobbedire, convinto che la sua disobbedienza basti a far abrogare quella legge. Non il contravventore della legge, dunque, deve essere punito, ma la legge. 
Sta venendo a mancare la base del Contratto Sociale, ipotizzato da filosofi e giuristi tra il Sei e il Settecento per tenere insieme il corpo sociale nell’ambito di un reciproco riconoscersi in un’autorità superiore. Il popolo – ma a questo punto è perfino improprio definirlo così – si è disgregato in un numero infinito di monadi che non riconoscono l’autorità dello Stato; lo Stato, da parte sua, non ha né la volontà né la forza di imporre il rispetto del Contratto. Chi dovrebbe dare l’esempio coi suoi comportamenti fa l’opposto, convincendo i cittadini di poter fare tutto quello che vogliono perché tutto è permesso, e se non permesso quanto meno concesso o graziosamente affrancato. Peggio: chi dovrebbe intervenire per far rispettare la legge non c’è; e dunque in assenza del guardiano tutto è a disposizione di tutti.
Di fronte alla situazione catastrofica che si sta delineando, non solo sotto il profilo economico-finanziario – questo è quotidianamente iperpropagandato e purtroppo pesantemente sentito – ma anche e soprattutto sotto il profilo culturale e sociale, invece di correre ai ripari si fa finta di niente. Si vive nell’indifferenza, se non in una reciproca ignoranza.
Renzi dice di voler cambiare l’Italia. Ma perché cambiare l’Italia, e non piuttosto gli italiani, immeritevoli assegnatari di un bene che andrebbe altrimenti gestito e vissuto? Per cambiare gli italiani, però, occorre quello che nessuno di loro vuole. Del resto, come li si può cambiare assecondandoli? Li si può cambiare usando esattamente il contrario di ciò che essi vogliono. Vogliono l’anarchia, l’impunibilità, il faccio quello che mi pare e piace? E allora, a questo punto, occorre la bacchetta! Sissignori, quella bacchetta invocata da Pier Paolo Pasolini nelle sue “Lettere Luterane”.
Come per altre situazioni, anche in questa, Pasolini seppe essere una formidabile spia di allarme fin da quarant’anni fa. Gli italiani vanno riportati nell’ordine nazionale e sociale; devono recuperare il senso dello Stato. Nessuno si spaventi per repressioni di massa, bastonature, incarcerazioni. Nessuno pensi a bibliche deportazioni. Non ce ne saranno. Gli italiani hanno dimostrato di essere docili e obbedienti ai primi colpi di bacchetta. L’italiano è uno che si uniforma all’anarchia come all’ordine, lesto e capacissimo di cambiare, passando da un regime all’altro, appena si accorge che è in atto il cambiamento.

Preoccupa, in una simile congiuntura, l’assenza degli intellettuali a lanciare l’allarme. Essi hanno trasformato una torre di vedetta in una torre d’avorio. La stretta economica e la crisi di rappresentanza politica stanno facendo passare in secondo ordine la vera emergenza nazionale, che è quella di un paese che ormai non si riconosce in niente e in nessuno.    

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