Mamma, gli indiani! finirà da noi per sostituire mamma, li turchi! Da due anni l’India
tiene col cuore in gola due famiglie pugliesi, le famiglie dei due marò del
Battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di
aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati del mare. I due militari
facevano parte del Nucleo Militare di Protezione della Marina Militare Italiana
a difesa della petroliera Enrica Lexie
da eventuali attacchi di pirati.
E’ accaduto per un malinteso? E’
stato un incidente? Comunque sia, è accaduto in acque internazionali. E’
assurdo pensare ad un atto terroristico, come minacciano di sostenere ad orologeria
le autorità indiane, ora quelle politiche, ora quelle giudiziarie; atto che se
confermato come tipo di reato prevedrebbe la pena di morte.
La vicenda è fin troppo nota per
ripercorrerla in tutta la sua assurda scia di dico e non dico, di minacce e di
controminacce, perfino di andata e ritorno dei due marò dopo una breve
parentesi italiana per le feste di Natale del 2012. Dopo varie rassicurazioni,
ora l’India torna a minacciare di morte i due militari.
E le autorità italiane che fanno?
Niente, non fanno niente, al di là di generiche promesse che nel caso saprebbero
reagire duramente. Duramente, come?
E’ di tutta evidenza che un paese
come l’India, che ha complessi secolari nei confronti dell’Europa, ha preso
gusto in questi due anni a tenere in scacco un paese che costituisce da sempre
l’élite mondiale della civiltà. E non vengano a dire che tutti i popoli sono
uguali, che tutte le civiltà sono uguali, che tutti sono uguali a tutti, come
se fossimo all’anno zero della vita umana sulla terra. Lo ricordiamo non già
per stabilire improbabili gerarchie nel presente, ma per renderci degni del
nostro passato. L’Italia ha una storia imparagonabile a quella dell’India. Che
poi sia opportuno non fare paragoni si può essere anche d’accordo; ma resta che
questo paese ci sta umiliando mentre dimostra di non essere in grado di
decidere sul da farsi, salvo che non lo sappia perfettamente e si serve di una
vicenda drammatica per speculazioni politiche interne, come se l’altra parte
fosse una repubblichetta emersa dal mare come un atollo e non l’Italia.
Certo, non si può minacciare
quando si è deboli o impossibilitati. Ma non si può nemmeno continuare a
sperare nella lealtà delle autorità indiane, che un giorno dicono una cosa e il
giorno dopo un’altra; che tengono col fiato sospeso un popolo intero. Se questo
paese, l’India dico, non è un paese di sgarrupati, allora lo è di cinici,
insensibili e irrispettosi delle regole internazionali di giustizia e di
convivenza.
Ma c’è anche l’amara
constatazione che l’Italia non è stata in grado finora di mobilitare il paese,
la sua gente, il suo popolo. Un paese che si è mobilitato per casi meno gravi,
per i due marò ha dimostrato disinteresse. A parte qualche iniziativa di
giovani di destra e qualche pannello apposto all’ingresso di qualche municipio,
niente si è visto che possa far pensare ad una presa di coscienza di orgoglio
nazionale e di preoccupazione per i due militari, che erano su quella nave per
proteggerla dai pirati e non per fare essi stessi i pirati; per le loro
famiglie, tenute sulla graticola..
E ancora l’altra mortificante
constatazione che l’Italia non è stata in grado finora di mobilitare le
istituzioni internazionali per fare pressioni sull’India per il rispetto delle
leggi che regolano i rapporti fra gli Stati.
Viene di pensare che il nostro
Paese non conti assolutamente nulla nel panorama mondiale, che siamo scaduti a
livelli così bassi come non siamo mai stati nella nostra millenaria storia.
Intanto le voci di ritorsioni
popolari nei confronti degli indiani che vivono in Italia si moltiplicano
sempre di più e montano di tono. Sono voci sconsiderate, che nascono da una
sorta di consapevolezza di essere impotenti, da un dover assistere ad un
gravissimo atto di ingiustizia senza nulla poter fare. Sono voci, per ora. Si
dice che cane che abbaia non morde. Ma ciò che vale per il singolo non vale per
la massa, all’interno della quale ci può essere sempre qualcuno che morde e può
fare del male. A questo punto non bisogna arrivare. Anche per questo il nostro
governo non deve perdere altro tempo, deve pretendere rispetto, deve
coinvolgere le grandi istituzioni internazionali delle quali fa parte; non deve
chiedere rassicurazioni, deve pretendere che i due militari vengano giudicati
da un tribunale serio, terzo. Il nostro paese deve far sentire il suo peso nei
consessi internazionali di cui fa parte, come da anni ha fatto e fa sentire la
sua presenza nei più vari teatri di destabilizzazione politica e militare nel
mondo. Non si può mandare a morire soldati italiani in Somalia, in Iraq, in
Kossovo, in Afghanistan, per contribuire a risolvere i problemi di civiltà di
quei paesi, ed essere poi considerati pirati e terroristi in India.
Il caso dei due marò,
sballottolati da una parte all’altra, ora minacciati di ergastolo ed ora di
morte, rende plastica davanti alla stessa Italia e al mondo l’immagine di un
paese che non conta nulla e che chiunque può offendere e tenere in scacco come
gli pare e piace.
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