domenica 12 gennaio 2014

La vicenda dei due marò è lo specchio di un'Italia imbelle


Mamma, gli indiani! finirà da noi per sostituire mamma, li turchi! Da due anni l’India tiene col cuore in gola due famiglie pugliesi, le famiglie dei due marò del Battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati del mare. I due militari facevano parte del Nucleo Militare di Protezione della Marina Militare Italiana a difesa della petroliera Enrica Lexie da eventuali attacchi di pirati.
E’ accaduto per un malinteso? E’ stato un incidente? Comunque sia, è accaduto in acque internazionali. E’ assurdo pensare ad un atto terroristico, come minacciano di sostenere ad orologeria le autorità indiane, ora quelle politiche, ora quelle giudiziarie; atto che se confermato come tipo di reato prevedrebbe la pena di morte.
La vicenda è fin troppo nota per ripercorrerla in tutta la sua assurda scia di dico e non dico, di minacce e di controminacce, perfino di andata e ritorno dei due marò dopo una breve parentesi italiana per le feste di Natale del 2012. Dopo varie rassicurazioni, ora l’India torna a minacciare di morte i due militari.
E le autorità italiane che fanno? Niente, non fanno niente, al di là di generiche promesse che nel caso saprebbero reagire duramente. Duramente, come?
E’ di tutta evidenza che un paese come l’India, che ha complessi secolari nei confronti dell’Europa, ha preso gusto in questi due anni a tenere in scacco un paese che costituisce da sempre l’élite mondiale della civiltà. E non vengano a dire che tutti i popoli sono uguali, che tutte le civiltà sono uguali, che tutti sono uguali a tutti, come se fossimo all’anno zero della vita umana sulla terra. Lo ricordiamo non già per stabilire improbabili gerarchie nel presente, ma per renderci degni del nostro passato. L’Italia ha una storia imparagonabile a quella dell’India. Che poi sia opportuno non fare paragoni si può essere anche d’accordo; ma resta che questo paese ci sta umiliando mentre dimostra di non essere in grado di decidere sul da farsi, salvo che non lo sappia perfettamente e si serve di una vicenda drammatica per speculazioni politiche interne, come se l’altra parte fosse una repubblichetta emersa dal mare come un atollo e non l’Italia.
Certo, non si può minacciare quando si è deboli o impossibilitati. Ma non si può nemmeno continuare a sperare nella lealtà delle autorità indiane, che un giorno dicono una cosa e il giorno dopo un’altra; che tengono col fiato sospeso un popolo intero. Se questo paese, l’India dico, non è un paese di sgarrupati, allora lo è di cinici, insensibili e irrispettosi delle regole internazionali di giustizia e di convivenza.
Ma c’è anche l’amara constatazione che l’Italia non è stata in grado finora di mobilitare il paese, la sua gente, il suo popolo. Un paese che si è mobilitato per casi meno gravi, per i due marò ha dimostrato disinteresse. A parte qualche iniziativa di giovani di destra e qualche pannello apposto all’ingresso di qualche municipio, niente si è visto che possa far pensare ad una presa di coscienza di orgoglio nazionale e di preoccupazione per i due militari, che erano su quella nave per proteggerla dai pirati e non per fare essi stessi i pirati; per le loro famiglie, tenute sulla graticola..
E ancora l’altra mortificante constatazione che l’Italia non è stata in grado finora di mobilitare le istituzioni internazionali per fare pressioni sull’India per il rispetto delle leggi che regolano i rapporti fra gli Stati.
Viene di pensare che il nostro Paese non conti assolutamente nulla nel panorama mondiale, che siamo scaduti a livelli così bassi come non siamo mai stati nella nostra millenaria storia.
Intanto le voci di ritorsioni popolari nei confronti degli indiani che vivono in Italia si moltiplicano sempre di più e montano di tono. Sono voci sconsiderate, che nascono da una sorta di consapevolezza di essere impotenti, da un dover assistere ad un gravissimo atto di ingiustizia senza nulla poter fare. Sono voci, per ora. Si dice che cane che abbaia non morde. Ma ciò che vale per il singolo non vale per la massa, all’interno della quale ci può essere sempre qualcuno che morde e può fare del male. A questo punto non bisogna arrivare. Anche per questo il nostro governo non deve perdere altro tempo, deve pretendere rispetto, deve coinvolgere le grandi istituzioni internazionali delle quali fa parte; non deve chiedere rassicurazioni, deve pretendere che i due militari vengano giudicati da un tribunale serio, terzo. Il nostro paese deve far sentire il suo peso nei consessi internazionali di cui fa parte, come da anni ha fatto e fa sentire la sua presenza nei più vari teatri di destabilizzazione politica e militare nel mondo. Non si può mandare a morire soldati italiani in Somalia, in Iraq, in Kossovo, in Afghanistan, per contribuire a risolvere i problemi di civiltà di quei paesi, ed essere poi considerati pirati e terroristi in India.   

Il caso dei due marò, sballottolati da una parte all’altra, ora minacciati di ergastolo ed ora di morte, rende plastica davanti alla stessa Italia e al mondo l’immagine di un paese che non conta nulla e che chiunque può offendere e tenere in scacco come gli pare e piace.

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