domenica 16 settembre 2012

Monti e la mentalità di cui è figlio



Ha scritto Romano Prodi nel suo domenicale sul “Messaggero” del 9 settembre che Il tunnel è lungo ma il treno si è mosso. Ci è capitato di riconoscere a Prodi qualche attestato non di intelligenza e competenza, cose che non si discutono, ma di onestà e soprattutto di libertà critica nei confronti del governo Monti; e dunque ora non vogliamo rimangiarci niente: quel che è digerito, digerito. Sostiene l’ex Presidente del Consiglio che ormai la crisi dura da quattro anni e la soluzione non è ancora arrivata, superando le più pessimistiche previsioni. Ora la danno finita fra tre anni, quattro e tre sette, quanto il numero delle bibliche vacche magre. Ma, sebbene l’uscita dal tunnel sia ancora di là da apparire alle viste, a parere di Prodi il treno si è mosso. Nihil novi. Il treno si era già mosso, ma era un treno locale, di quelli che si fermano perfino nei casolari di campagna. Allora, perché Prodi lo ha detto? I tempi delle elezioni stringono e al tavolo di chi decide i giocatori  incominciano a calare gli assi. C’è un pericoloso concerto per un Monti bis, con l’intento di continuare la suggestione Monti e sanare con le elezioni l’eversione costituzionale e politica di un governo questa volta votato dalla gente. Napolitano ha detto che vigilerà sul dopo Monti. E come? Non sta già per scadere il suo mandato o la sua è la minaccia per quei pochi giorni che gli restano di riconfermargli l’incarico? Pallide le reazioni dei politici, confusi e annichiliti dalla solita mentalità fratricida, di guerra civile continua, gli uni contro gli altri e all’interno di ciascuno una parte contro l’altra, un leader contro l’altro, un giovane contro un vecchio. Un giovane più sgangherato del vecchio.
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E’ la mentalità dei politici italiani che bisognerebbe cambiare! Essi sono sempre in disaccordo e contro; intendono l’amministrazione della cosa pubblica come una spartizione di potere e chi è all’opposizione la intende come un giuramento sull’altare degli avi di far cadere il governo. Per cui qualunque cosa un governo faccia i suoi oppositori sono sempre contro. E se pure fa qualcosa di buono si è ancor più velenosamente contro; e se qualcosa di buono lo ha già fatto, quello che gli succede l’annulla prima che si vedano gli effetti benefici. E’ la mentalità di considerare il confronto politico come una guerra civile. Le cose che ha fatto Monti le avrebbe potute fare qualsiasi governo, alcune addirittura erano state già fatte – vedi la riforma delle pensioni fatta da Maroni e cancellata da Prodi –, ma l’opposizione non glielo avrebbe mai concesso, non per convinta negatività dell’iniziativa ma per strumentalità politica. E’ il modo di intendere la democrazia, più in generale la politica, che non va in questo paese. Una mentalità deleteria, nefasta, che porta tutti a dare in testa al leader, per indebolirlo, delegittimarlo, sconfiggerlo, eliminarlo. Lo si vede all’interno dei partiti. Nel Pd, un leader votato come Bersani, che, per statuto, dovrebbe essere il naturale candidato premier, è contestato fin dal giorno dopo ed oggi il centrosinistra, che avrebbe bisogno di compattezza, forza, solidità, per garantire un governo che governi, invece è diviso, incerto, sbandato; rischia nuove spaccature. Contro simile mentalità né Monti né Napolitano dicono niente. E mica son fessi! L’uno è figlio e l’altro padre di ciò che quella mentalità ha prodotto: il governo Monti, appunto!  
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Mercoledì, 12 settembre: la Consulta tedesca si è pronunciata in favore del fondo salva-stati. Grida di giubilo per la vittoria. Ma è veramente una vittoria? Evidentemente no, perché se è vero che il principio non poteva non essere riconosciuto è vero anche che la Consulta ha posto una condizione: il contributo della Germania non può superare 190 miliardi di Euro e qualsiasi aumento dovrà passare dal Parlamento. C’è inoltre che i giudici della Consulta dovranno pronunciarsi sul piano Draghi per la Bce di acquistare titoli dai paesi in difficoltà in maniera illimitata. Questo piano, secondo un eurodeputato tedesco, avrebbe cambiato il quadro dei rapporti tra gli stati membri dell’Europa e la Bce. La Germania, a questo punto, potrebbe anche rivedere il suo rapporto con la Banca centrale europea. Sta di fatto che la notizia dell’approvazione del fondo ha fatto volare le borse e ridotto lo spread a poco più di 360 punti. Draghi, non Monti, oggi è il vero difensore dell’Euro e dei paesi in difficoltà, Italia compresa.
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Monti, intanto, torna sullo Statuto dei Lavoratori ed irrita i sindacati. Ha detto che la colpa per come oggi si trovano i lavoratori è anche dello Statuto e dei sindacalisti che per anni hanno preteso di farlo applicare in maniera eccessivamente anti-azienda. Questo il succo della sua accusa, a cui prontamente hanno risposto i leader sindacali. Il ruolo di castigamatti va sempre più ritagliandosi sull’uomo della Bocconi e della Commissione europea. Non è che a volte non dica la verità o il giusto, a seconda del rapporto che ognuno ha con queste categorie, ma sbaglia quando insiste su alcuni target e non ne vede altri. Questa mania di far grandeggiare se stesso sminuendo gli altri è tipica del professore. La crisi che ha investito il mondo non è colpa né dello Statuto dei lavoratori né dei sindacati, è la risultante di molti fattori nazionali e internazionali, soprattutto internazionali. I nazionali sono riconducibili alla mancanza di una classe dirigente, non solo politica, adeguata, che si è persa dietro piccinerie, ruberie varie e favorerie diffuse da becero populismo (tangenterie, favorerie, pensioni di invalidità regalate, stipendi altrettanto regalati, spese inutili e via sperperando il denaro pubblico). Quelle internazionali sono riconducibili all’irruzione selvaggia e sregolata sui mercati di bestie da giungla come Cina, India, Coree, e via orientaleggiando). In altre epoca – è mia convinzione e la ribadisco – si sarebbe già fatto ricorso da un pezzo ad una guerra, che oggi è assolutamente improponibile. Dalla crisi certamente usciremo, ma solo dopo che avremo saputo prendere le misure per una situazione, alla quale non eravamo preparati. E qui le colpe vanno anche alle classi dirigenti di tanti altri paesi del cosiddetto Occidente, Usa compresi.
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E a proposito di mentalità dei politici italiani! Michele Ainis, uno dei più brillanti e acuti politologi oggi in Italia, ha scritto sul “Corriere della Sera” di venerdì, 14 settembre, La lunga notte di una riforma, che va a finire che anche la riforma elettorale la deve fare il governo tecnico di Monti. Gli si può dare torto? Nient’affatto. Grazie, Professore, per averci dato un esempio lampante di come si è finiti in Italia nelle mani di Monti. I politici non vogliono imparare la lezione e continuano a dimostrarsi incapaci di svolgere il proprio compito. Sulla legge elettorale continuano a scannarsi ogni giorno, finché Napolitano non perde la pazienza e trova un escamotage giuridico per dare a Monti il compito di farla. Allora, come tanti debosciati suonati, i politici daranno la loro approvazione non alla legge, che probabilmente non condivideranno, come non hanno condiviso tante altre cose pur approvandole, ma al governo con un voto di fiducia. Ecco la prova che Monti finirà per succedere a se stesso, a dispetto di politica e democrazia, vilipese e svuotate di ogni contenuto.

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