domenica 19 dicembre 2010

Se lo Stato si lascia umiliare la democrazia è morta

Le immagini di guerriglia urbana del 14 dicembre scorso a Roma hanno dell’incredibile. Carabinieri, agenti di polizia, finanzieri presi a sassate, a sprangate, a bottiglie incendiarie, selvaggiamente colpiti. Mezzi militari dati alle fiamme, con colonne di fumo che s’innalzavano fino al cielo. Auto, negozi, vetrine colpiti, incendiati; tutto in un’orgia di distruzione. Da una parte i manifestanti, che cercavano di uccidere; dall’altra, gli uomini dello Stato, che cercavano di non farsi e di non fare del male. Uno spettacolo ignobile, sconvolgente. Tutto quello che avevano ordine di fare le Forze cosiddette dell’Ordine era di subire per evitare il peggio, non per se stessi, né probabilmente per i manifestanti, ma per l’establishment politico, che si sarebbe trovato a dover gestire qualcosa di diverso di un voto di sfiducia o di fiducia in Parlamento. E difatti il cordone di uomini e di mezzi delle Forze dell’Ordine era intorno a Palazzo di Montecitorio per impedire che i manifestanti, fra cui i soliti professionisti del crimine sociale, gratuito e garantito, infiltrati o semplicemente aggregati, irrompessero nell’Aula sacra della democrazia, dove c’erano altri scalmanati, i signori politicanti, nell’inutile liturgia della conta.
A Roma, come ad Atene, come a Parigi e a Londra. D’accordo. Si vive in tutta Europa un momento terribilmente serio. Ognuno rivendica diritti, chiede sicurezza di lavoro e di reddito, di prospettiva sociale, di studio e di formazione. I giovani hanno più ragione di tutti. Ha detto il filosofo polacco Zygmunt Bauman che “C’è senza dubbio nei giovani studenti una grande rabbia, che è una mistura esplosiva di paure verso il futuro – certamente giustificate – e di una disperata ricerca – altrettanto giustificata – per scaricare l’ansia che hanno dentro” (Il Messaggero, 18 dicembre). Diventa drammatica la situazione quando si riconoscono le ragioni ma ad impossibilia nemo tenetur. Le risorse finanziarie scarseggiano, mentre la crisi sociale viene da molto lontano. In dittatura il sospetto che altri si stiano fottendo le cose che spetterebbero a te resta un sospetto; in democrazia è certezza e diventa il carburante del pensiero e dell’azione. Male io, male tutti!
In Italia non si sta né peggio né meglio di altri paesi. Le forze politiche di opposizione, fra cui gli incredibili esponenti di un vuoto “futuro” e di un'altrettanto vuota “libertà”, che per sedici anni sono stati come culo e camicia con quello che oggi definiscono il tiranno, non fanno che gufare; sperano nel tanto peggio tanto meglio. Ma non dicono che se in Italia dovesse arrivare la crisi greca o irlandese, come loro vorrebbero, i primi a venir colpiti sarebbero i cittadini che vivacchiano con uno stipendio di fame e con una pensione d’estrema unzione; gli stessi che in qualche modo sostengono i loro figli disoccupati o precari. Se lo Stato ha bisogno di soldi va sul sicuro e prende da chi non può neppure opporsi, e cioè dai lavoratori a reddito fisso.
Proprio per la gravità della situazione tutte le forze politiche avrebbero dovuto da tempo mettere da parte gli egoismi di partito e le maniacali, irrazionali, fanatiche avversioni al governo, per dare una dimostrazione di serietà e di responsabilità al popolo. E’ penoso starli a sentire tutti parlare di responsabilità e pretendere che altri facciano quel che loro per primi non fanno. Non c’è forza politica, di maggioranza e di opposizione, che non sia lacerata, spaccata, in guerra con se stessa, prima ancora di esserlo contro le altre. E pur, nel disaccordo generale, c'è chi  nelle opposizioni invoca la formazione di un Cln (Comitato di liberazione nazionale) contro il governo Berlusconi.
Pazzi e criminali! Evocano bande partigiane e formazioni salodiane, in un momento in cui abbiamo bisogno di stringerci insieme per affrontare la crisi, senza farci più male di quello che già abbiamo.
A Roma lo Stato è stato insultato, mortificato, irriso, umiliato e danneggiato e non solo per colpa dei cosiddetti dimostranti. Certo, la loro è la rappresentazione più fisica e immediata. Ma ancor più colpevoli sono quelli che erano dentro il Palazzo a trastullarsi nei giochi di chiama e conta.
I magistrati hanno fatto bene, a prescindere dalle loro intenzioni ideologiche, purtroppo ormai acquisite, a scarcerare quella ventina di ragazzi presi durante i disordini. Probabilmente non erano questi neppure i peggiori responsabili di quanto era accaduto. Dovevano prenderne alcuni e magari hanno preso i meno furbi e scaltri. Sarebbe stato cinico e ingiusto trattenerli in carcere e magari processarli e condannarli, mentre chi veramente si era scatenato nella furia devastatrice era riuscito a farla franca, solo per dire che lo Stato c’è e che funziona. No, quei ragazzi andavano liberati e restituiti alle loro famiglie, come è stato fatto. Lo Stato ha dimostrato che non c’è, proprio perché non funziona.
Uno Stato che non riesce a prevenire, che non sa reprimere difendendosi sul campo, che non sa fare giustizia di quanto è accaduto è uno Stato ostaggio di gente incapace, che si gingilla con le parole, che passa il suo tempo a tramare per personali ambizioni; più che uno Stato giuridicamente inteso, è una condizione di degrado e di disfacimento.
Se questo governo, chiaramente inadeguato – non c’è davvero bisogno d’altro per capirlo – ma non sostituibile nell’immediato, per evitare che la situazione peggiori, meritasse di essere dimissionato lo è proprio per quanto è accaduto a Roma il 14 dicembre.
Non c’è cittadino che di fronte a dei selvaggi che col volto coperto e con la spranga in mano colpivano dei poveri poliziotti o finanzieri già a terra con tutte le insegne dello Stato sotto i piedi, non c’è cittadino, dicevo, che non abbia invocato ben altre giustizie, ben altre metodiche politiche, ben altre atmosfere. E forse se quei giovani esagitati fossero riusciti ad entrare nelle sacre stanze del potere infingardo per dargli una lezione non sarebbe stato più grave dell’averglielo impedito. Anche l’indignazione vuole la sua parte.

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