domenica 21 novembre 2010

Salviamo la "Dante"!

L’allarme ormai dura da anni. Non è più questione di questo o quel governo. In Italia non c’è più per la cultura l’attenzione e la dedizione che hanno contraddistinto nel mondo e nella storia il nostro Paese. Antichissime e importantissime istituzioni rischiano di chiudere per mancanza di fondi. Ma, evidentemente, non solo per mancanza di fondi!
C’è nella classe intellettuale italiana una sorta di pigrizia, di rassegnazione con qualche sussulto antigovernativo. Come se veramente tutto e sempre dipendesse dal governo. Perfino importanti uomini di cultura hanno un approccio sbagliato con le istituzioni, che spesso sono considerate mucche da mungere in termini di prestigio e di denari, per essere lasciate al loro destino quando non possono dare più niente. Neppure i diretti beneficiari si sforzano di fare qualcosa in surroga. Oggi il governo non è più in grado di provvedere al loro mantenimento a causa della nota crisi economico-finanziaria che obbliga a fare dei tagli ai finanziamenti.
E’ tempo, invece, che in Italia chi ha veramente a cuore la cultura si dia una mossa, faccia qualcosa senza aspettare che altri intervengano. E’ tempo di dare, non più di avere. Non solo i privati dovrebbero ravvedersi, ma anche quelli che lavorano già nelle istituzioni pubbliche. Se a Pompei crolla uno degli edifici di maggior interesse culturale e di richiamo turistico, la colpa non può essere solo del governo o della atavica mancanza di soldi, ma anche di tanta negligenza di funzionari, intendenti e sovrintendenti cialtroni, che non svolgono con passione e interesse il loro lavoro.
Per fortuna gli esempi buoni non mancano. In questo senso il professor Gerardo Motta è un vero eroe. Ha dilapidato i suoi averi, qualcosa come quattro milioni di euro, fino ad ipotecare la casa dove abita, pur di salvare l’Istituto per gli Studi Filosofici, da lui fondato a Napoli nel 1975 (300 mila volumi raccolti, tre mila pubblicazioni, migliaia di borse di studio) nell’indifferenza degli enti pubblici. In soccorso della nobile impresa di Marotta si sono mossi duecento intellettuali di tutto il mondo, che hanno lanciato un appello per salvare l’Istituto dalla chiusura.
Un precedente importante, che dovrebbe dare la svolta al rapporto istituzioni-intellettuali. Gli operatori culturali non possono più attendere che altri salvino le loro strutture. La cultura è di coloro che la producono ed è giusto che gli stessi ne difendano il patrimonio, che è anche laboratorio di produzione. E’ questione di sopravvivenza. Dovrebbero fare come gli operai quando, sacrificando i loro più immediati interessi, si mettono in difesa della loro fabbrica.
Il Politecnico di Milano, in difetto di fondi per far fronte alle spese di mantenimento delle borse di studio per dottorati di ricerca, ha lanciato “la campagna permanente di raccolta di fondi a favore della Scuola di Dottorato”, chiedendo a tutti i suoi laureati un contributo di almeno cento euro. Siamo alla questua vera e propria, in concorrenza con francescani e associazioni onlus; ma è una grande prova di coraggio e di realismo.
Qualche anno fa il grido d’allarme venne dall’Accademia della Crusca, fondata a Firenze nel 1583, la massima autorità in materia di lingua e filologia, la depositaria del nostro patrimonio lessicale col suo “Vocabolario”.
Ora anche la Società “Dante Alighieri”, fondata da Giosue Carducci nel 1889 per promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo, rischia di chiudere. Nella Legge di Stabilità, ex Finanziaria, sono stati previsti tagli del 53,5 per cento rispetto all’anno scorso. Coi 600 mila euro accordati rischia di tenere in piedi solo la struttura centrale. E i 423 comitati che ha, sparsi in tutto il mondo?
Coi soldi ricevuti non può davvero adempiere ai compiti istituzionali. Questa istituzione dipende sia dal Ministero degli Esteri e sia dal Ministero dei Beni Culturali; i suoi operatori sono da sempre dei volontari. Fanno conferenze, tengono seminari, organizzano manifestazioni; sono la faccia bella del nostro Paese. I corsi, però, sono a pagamento e sono tenuti dal personale accreditato presso le ambasciate e i consolati. Ci vogliono i soldi!
La “Dante” svolge da sempre un grandissimo compito in favore della nostra lingua nel mondo. Tanto più importante oggi, mentre per la lingua italiana non c’è molta considerazione nell’Europa burocratica di Bruxelles, se ogni tanto tentano di escluderla dalle lingue ufficiali della comunicazione legislativa e amministrativa della Cee, che sono inglese, francese e tedesco. E’ davvero un peccato che il nostro Paese non abbia i fondi per raddoppiare e dimezza la spesa delle sue attività.
Il mio amico polacco, professor Andrzej Nowicki, grande studioso di Giordano Bruno, di Giulio Cesare Vanini e della filosofia italiana del Rinascimento, apprese l’italiano proprio seguendo i corsi presso l’Ambasciata Italiana a Varsavia negli anni Trenta. Da allora divenne uno dei più grandi amici dell’Italia e della sua cultura.
La “Dante” è stata la prima grande istituzione culturale che noi ragazzini di scuola media abbiamo conosciuto, quando ognuno di noi aveva la sua brava tessera della “Dante” e i suoi bolli, che attaccavamo sui risvolti dei quaderni e dei libri.
Ora, bando alle nostalgie, che non hanno mai risolto i problemi. A questo punto, per salvarla, si dovrebbe istituire una piccola tassa per ogni alunno iscritto ad ogni ordine di scuola. La popolazione scolastica in Italia è di circa sette milioni. Basterebbe un euro per ogni alunno e si potrebbe mettere insieme un bel po’ di soldi. Credo che si potrebbe fare già da quest’anno, attraverso gli stessi operatori della “Dante” dislocati nei comitati di tutta Italia. Per gli anni successivi si potrebbe legare questo piccolo-grande contributo alla stessa tassa di iscrizione.
Sarebbe davvero un momento celebrativo straordinario dei 150 anni dell’Unità d’Italia con qualcosa di diverso e di più concreto.
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