domenica 11 luglio 2010

Se berlusconismo vuol dire brancherismo

Fin dall’inizio della sua storica discesa in campo nel 1993 Berlusconi ha cercato di convincere tutti, in Italia e fuori, che il modo di fare politica dei politici italiani era stato fallimentare, perché astratto astruso lento contraddittorio dispendioso, e che era necessario passare la mano a gente pragmatica e di grande esperienza decisionale, come poteva essere un imprenditore che deve dare risposte immediate anche a problemi non previsti e che tiene alla res publica quanto alla propria azienda. Se poi questo tipo di imprenditore-politico si è fatto da sé, tanto meglio. Un caso, insomma, di autoelezione a nuovo modello della politica.
Non era proprio ortodosso il suo porsi, ma neppure del tutto peregrino, se si considera che il Paese era precipitato in una gravissima crisi di credibilità, con una classe dirigente fatta di corrotti e corruttori, con due poteri dello Stato (legislativo ed esecutivo) prigionieri del terzo (giudiziario), con un capitalismo fatto di imbroglioni ed evasori fiscali.
Se non che il Cavaliere, come fu subito adottato dall’antonomasia giornalistica, non tardava a manifestare insofferenza per il galateo della politica. Berlusconi si accorse che decidere nel rispetto delle regole era problematico e che procedere come lui aveva promesso di fare era necessario o cambiarle o violarle. Nell’immediato, in attesa di cambiarle, ricorse all’escamotage di costruire un personaggio che non viola le leggi a fin di particulare, ma per insopprimibile temperamento al lieto, al giocoso, all’ottimistico perseguimento del bene pubblico. Un’operazione di mascheramento, insomma, in cui le corna ad un personaggio in una foto ufficiale in sede europea o il cucù ad un altro davanti alle telecamere sono confusi con gesti politici importanti e incanalati tutti nel carattere giocoso e perfino ingenuo del personaggio.
Così certe anomalie, per non dire stravaganze o autentiche mattane, sono passate anche per simpatiche manifestazioni di brio e di giocosa cordialità proprio e in quanto provenivano da un uomo, che si sapeva essere dotato anche di competenze importanti. Come dire, ad un genio come Mozart, secondo la versione cinematografica di Milos Forman, si poteva anche perdonare un saluto in rumorosa flatulenza perché faceva musica da Dio. Mozart, si capisce, non la flatulenza.
Ma poi le cose per Berlusconi si sono aggravate, con accuse pesanti in diversi processi che lo riguardavano come imprenditore. Da quel momento ha incominciato a fare un altro tipo di discorso, e cioè che il personaggio, nel bene e nel male, era un caso eccezionale, non estensibile ad altri, non imitabile, non solo per la sua giocosità ma anche per certa metodica negli affari, in cui magistrati solerti ravvisavano reati su reati. Allora è stato giocoforza passare alle leggi ad personam per far sì che non cadesse e trascinasse con sé il paese intero, privato del suo archimandrita. In fondo si trattava non del Berlusconi politico, ma di questioni pregresse di quando egli era imprenditore. Il lodo Alfano a questo mirava. Il legittimo impedimento, che è un “lodino”, esteso ai ministri, risponde alla stessa esigenza.
Tutto questo fino a quando, però, il suo carisma non è venuto meno sia per le aggressioni fisiche subite e dalla magistratura mai punite sia per le contestazioni interne al suo movimento politico, che lo hanno costretto a far ricorso ad auting di impotenza decisionale. Il personaggio, come il re della nota fiaba dei Grimm, a questo punto, è apparso nudo. Più grave è la venuta meno della singolarità del personaggio. Berlusconi, che si è sempre vantato di dire e di fare quel che gli italiani avrebbero voluto dire e fare, ha dovuto assistere al rovesciamento delle parti, con sempre più italiani che pretendono di dire e fare quel che Berlusconi dice e fa. Berlusconi è stato così banalizzato.
L’episodio che ha posto davanti agli occhi degli italiani in maniera clamorosa la reductio berlusconiana è stato il caso Brancher. Questo episodio è come se avesse acceso la luce nel buio e ha permesso di vedere le cose nel loro giusto profilo. Il legittimo impedimento, che doveva servire, pur con tutte le riserve giuridiche, costituzionali e morali del caso, da scudo all’eccezionale Berlusconi, aggredito sistematicamente dai giudici deviati, è diventato strumento ad uso e consumo di un Brancher qualsiasi. Inquisito costui per aver tentato la scalata alla Banca Antonveneta con mezzi delittuosi, per sfuggire alla giustizia, che fa? Si fa nominare ministro per usufruire del legittimo impedimento. Ma ministro di cosa? Ministro del Federalismo, senza portafoglio, ossia di nulla. A sbugiardarlo era lo stesso Bossi qualche giorno dopo a Pontida, affermando di essere lui l’unico e il solo Ministro del Federalismo. E Brancher? Neppure si era presentato alla festa della Lega, che, come ognun sa, è la mamma del federalismo. Ma quand’anche si fosse trattato del Ministro degli Interni o degli Esteri o dell’Economia, con tanto di portafoglio, nulla sarebbe mutato. Un conto è essere ministro prima dell’accusa, un altro essere nominato ministro per non rispondere dell’accusa. Nessun Presidente del Consiglio avrebbe chiamato a far parte del governo uno già compromesso in vicende giudiziarie complicate e gravi. Qui si è passato il limite, perché, anche dopo le dimissioni di Brancher, in seguito alla presa di posizione dura e indignata del Presidente della Repubblica, che di fatto ha cacciato via Brancher, e di una parte della maggioranza di governo, lo stesso Berlusconi ha insistito a considerare ingiuste e pretestuose strumentalizzazioni le legittime proteste degli altri.
Qui davvero hanno perso i sensi, nel significato che i salentini danno all’espressione, e cioè sono diventati matti. Col caso Brancher si è voluto proprio dare uno schiaffo agli italiani e aggiungo soprattutto agli italiani che si riconoscono nel centrodestra. Essi per anni hanno pensato che certe cose potessero valere per Berlusconi in quanto perseguitato dalla magistratura per i suoi trascorsi di imprenditore, ma non possono tollerare che il berlusconismo si riduca a sfacciato brancherismo.
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