domenica 21 febbraio 2010

Destra: che sia almeno l'ultima...resa dei conti!

Studio storia e politica da quando avevo nove anni e mio padre mi obbligava a leggere i discorsi del Duce, le arringhe di De Marsico, le orazioni di Cicerone, perché voleva fare di me un avvocato. Le cose sono andate diversamente, ma ho tratto profitto lo stesso da quelle letture perché mi hanno dato la base per i miei successivi studi della politica in tutte le sue manifestazioni. Mi sono laureato, infatti, in Storia delle Dottrine Politiche con una tesi su Giuseppe Maranini e la partitocrazia e per quarant’anni ho insegnato Italiano e Storia negli Istituti superiori e Italiano e Latino nei Licei.
Mi perdonino i lettori la premessa, che ritengo funzionale a quanto sto per argomentare. Non ho mai trovato in nessun luogo e in nessun tempo una legge in base alla quale un soggetto politico, ad un certo punto della sua vita, spontaneamente si metta da parte per favorire un altro.
Da che mondo è mondo, premesso che la politica è servizio per la polis e nella polis, nel suo farsi percorso per giungere a servire la polis diventa lotta per vincere la concorrenza di altri che hanno lo stesso intento. Le ricadute di quel servizio conferiscono prestigio e qualche volta ricchezza, in una parola: potere. Chi, dunque, quel potere ce l’ha lo difende, chi non ce l’ha cerca di conquistarlo, ognuno mettendo in campo le sue risorse fisiche, morali e intellettuali. Ci saranno state pure delle eccezioni, che, per essere tali, confermano la regola. Cincinnato, si dice; ma per carità! Nell’oceano dei politici romani è stato una goccia, se non vogliamo considerare che la dittatura nella repubblica romana era a tempo determinato: finiva con la fine dell’emergenza per la quale a lei si era fatto ricorso.
Sicché non capisco da quale dottrina i signori del Popolo delle Libertà mutuino la convinzione che, nella fattispecie, la Senatrice Adriana Poli Bortone doveva mettersi da parte per favorire un altro, nella circostanza Rocco Palese, alla presidenza della Regione Puglia. Dicono: ha avuto tutto, è stata parlamentare, eurodeputato, ministro, sindaco di Lecce, era tempo di sentirsi sazia e di dare anche qualcosa agli altri. Un parlare da elettore qualsiasi, che della politica coglie sì e no la pelle.
Questi signori tradiscono un pessimo concetto della politica; la considerano un dare a me e un dare a te, con un basta ad un certo punto, nell’armonia generale. Non già come capacità di giungere alla cosa pubblica e di amministrarla in un progress di esperienza, di competenza, di autorevolezza; no, semplici concessioni, da parte di chi poi non si capisce.
In uno stato di diritto è la legge che decide; in una democrazia è il popolo elettore. In difetto di una legge, che specificamente preveda un limite qualsiasi, d’età o di numero, alle candidature, e in presenza di un soggetto ancora vivo e vegeto e ancor più capace di prima, tanto più che con la sua candidatura si potrebbe più facilmente vincere mentre senza la sua candidatura si potrebbe più facilmente perdere, questo soggetto dovrebbe essere candidato tranquillamente, salvo che a monte non si fosse deciso di eliminarlo definitivamente dalla scena politica a costo anche di perdere le elezioni. A questo punto, però, non sarebbe in gioco il governo della Puglia, ma la condanna a morte politica di un soggetto. A parte ogni altra considerazione, ne valeva la pena? Il PdL ha detto di sì ed è salito sul treno di “Cassandra crossing”.
Per entrare nel merito, la Senatrice Adriana Poli Bortone non è poi tanto vecchia e sazia, come si vuol far credere, ed è più anziana di battaglie che di trionfi, venendo da un partito, il Msi, che fino al 1993 era fuori da ogni gioco di potere e perseguitato in ogni modo. Né risulta che in seguito ad un incidente – facciamo scongiuri – la Senatrice sia rimbambita; anzi, è in un’età che in Italia è di normale assoluta maturità.
E allora, perché mai si sarebbe dovuta fare da parte? E sia! Nella logica, se vogliamo cinico-realistica, della politica, intesa come lotta per il potere, nulla quaestio nei confronti di chi vuole eliminarla; ma perché non capire anche le sue ragioni?
Valutiamo serenamente le due candidature: quella della Poli Bortone e quella di Rocco Palese, astenendoci per buon gusto dal fare importanti ma antipatiche differenze sulle persone e limitandoci alla loro rappresentatività. La Poli Bortone viene dal Msi e da An, partiti che sono finiti nel PdL; essa pertanto rappresenta tutte le componenti dello schieramento: dagli ex missini agli ex aennini ai conviventi di Forza Italia. Chi oggi si trova nel PdL ha avuto modo, per appartenenza o età, di fare un tratto di strada insieme a lei. Rocco Palese viene dalla Dc e da Forza Italia; per appartenenza ed età rappresenta il segmento finale del PdL. E mentre la Poli Bortone rappresenta anche quella parte di missini irredenti, Palese da quei missini è considerato un estraneo, se non ancora un avversario. Sottrazione: chi dei due rappresenta di più – lasciamo pur stare il meglio – il variegato mondo del PdL? Per ragioni d’anagrafe, se proprio non vogliamo dire altro, certamente la Poli Bortone.
Io sono un tifoso juventino, e solo per la Juventus mi rifiuto di ragionare e di calcolare. Per ogni altra cosa antepongo sempre la ragione e il calcolo. Mi piacerebbe, perciò, che a certe conclusioni si arrivasse attraverso un percorso razionale e non per risposte all’ingrosso e alla buona.
L’augurio che a questo punto viene di fare, per il bene del popolo del centrodestra, è che questa campagna elettorale per le Regionali, a mio avviso già compromessa, che segue quella per le Provinciali del 2009, sia l’ultima e definitiva resa dei conti all’interno di quel che resta di un partito e dello schieramento. Il risultato elettorale del 28-29 marzo, infatti, potrebbe significare per una delle due destre a confronto la cassa integrazione politica, preludio al licenziamento.
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