sabato 27 settembre 2025

Fascisti immaginati e sfascisti veri

Le manifestazioni del 22 settembre in 81 città italiane in favore della Palestina hanno provato, ancora una volta, che in Italia c’è il “partito” degli sfasciatori, che per esigenza di nominalismo dialettico chiamo sfascisti. A Milano specialmente, in centinaia, si sono scatenati con l’unico scopo di sfasciare, ovvero di distruggere, dando sfogo ad una sollecitazione interiore a vendicarsi di vere o presunte frustrazioni subite. Risultato, allo sfascio di oggetti, auto e vetrine, va aggiunto il tentato sfascio di sessanta agenti delle Forze dell’Ordine, tra poliziotti e carabinieri, finiti in ospedale. Deve essere proprio bello per soggetti simili abbandonarsi agli istinti primordiali e infantili di distruggere tutto in una sorta di rito orgiastico nel trionfo dell’irrazionalità! Si capirebbe – ma saremmo nella razionalità – se l’esito della manifestazione dipendesse dai danni prodotti. Più danni più successo. Il che non accade, il successo dipende dalla partecipazione pacifica del maggior numero di persone, obiettivo sicuramente ridotto perché c’è sempre chi non partecipa per non rischiare di trovarsi nel mezzo delle violenze. Questo “partito” non è solo. C’è il suo legale rappresentante in Parlamento, che è costituito da tutte le forze di sinistra, le quali se mai accadesse qualcosa di grave ad uno di quegli sfascisti, la morte per esempio, come accadde un po’ di anni fa a Genova, come minimo chiederebbero di intitolargli una piazza e di punire esemplarmente i responsabili della sua morte. Non c’è niente da fare. Qualsiasi manifestazione è buona per questi mestieranti dello sfascio per dimostrare che loro ci sono, a prescindere dalle ragioni e dalle finalità. Una volta, chi organizzava la manifestazione, fosse partito politico o sindacato, si preoccupava di affidare al servizio d’ordine il compito di impedire che si infiltrassero guastatori. In genere questo era formato da persone accorte e robuste che mettevano niente a prendere qualcuno e a sbatterlo fuori senza complimenti. Allora tutto o quasi si svolgeva nell’ordine. La manifestazione si poteva dire riuscita se nessuno si faceva male. Dal ’68 non è stato più così. Il governo ribadisce che non impedirà mai lo svolgimento delle manifestazioni anche quando dovessero degenerare in aggressioni violente, come poi regolarmente accade. La democrazia prima di tutto. Lo ha confermato il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, al termine della giornata pro Pal del 22 ultimo scorso. Attenzione! Non siamo agli anni Sessanta e Settanta dell’altro secolo quando alle manifestazioni si andava con la P 38, con le catene e le spranghe di ferro, ma ci stiamo avvicinando. Per la Palestina è stata occupata a Roma la Facoltà di Lettere dell’Università, così a Bologna e in altre città. Altro sopruso, che passa con un rassegnato “ci sta”, come se occupare un luogo pubblico, impedendo ad altri di usufruirne, fosse lecito. A simile sfascismo è proibito reagire. Farlo significherebbe passare per fascisti e incappare nelle ganasce della giustizia costituzionale, che, come si sa, vieta di essere fascisti a salve e consente di essere fascisti a pallottole. Dobbiamo, allora, rassegnarci ad essere in balia di questa gente? Dobbiamo assistere inermi al progressivo attacco allo Stato? Non consideriamo che le Forze dell’Ordine sono lo Stato e che se colpite si colpisce lo Stato? Quando nelle piazze trionfa la violenza degli antagonisti a danno della popolazione e di chi la difende è la democrazia che si arrende. Tanti buoni cittadini – e in Italia sono la stragrande maggioranza – devono assistere senza poter fare niente alla degenerazione della democrazia e preoccuparsi perfino della propria incolumità. Se si consente la manifestazione a simili sfascisti, si priva altri della possibilità di esercitare democraticamente i propri diritti. Sono considerazioni di estrema semplicità, che dovrebbero fare i responsabili della tenuta democratica di questo Paese. Agli inizi del governo Meloni, tre anni fa, tra le tante contumelie dette dagli avversari c’era quella di fascismo, la più scontata; ma dopo tre anni nessuno è in grado di indicare un solo episodio di fascismo compiuto dalle forze governative. Per trovare qualche esempio gli avversari devono citare il busto di Mussolini di La Russa o la foto goliardica di qualche Fratello d’Italia vestito da nazista. I fascisti immaginati hanno dimostrato di sapersi comportare rispettando la Costituzione, mentre gli sfascisti veri alzano sempre il tiro e in nulla sono cambiati da quello che sono sempre stati: violenti e prevaricatori.

sabato 20 settembre 2025

La violenza nasce dal disprezzo e dall'odio

L’uccisione dell’influencer americano di estrema destra Charlie Kirk è stata occasione in Italia per risvegliare rancori non proprio sopiti. In questo ritorno si sono distinti personaggi importanti del mondo della politica e della cultura. La premier Giorgia Meloni, a cui, evidentemente, dovrebbe stare più a cuore l’unità del paese e la pace sociale, si è spinta ad accuse pesanti alla sinistra, che, con uomini come lo scrittore Saviano e il matematico Odifreddi, ha ravvivato lo scontro. Per fortuna finora si è rimasti allo sproposito delle parole. Il che dimostra che il Paese nella sua generalità è più saggio di chi lo rappresenta a livelli alti e altissimi. C’è una ragione, però, che rende il clima sempre foriero di “disgrazie” ed è per un verso il rancore nutrito dalla destra per essere stata emarginata ed esclusa per mezzo secolo dalla partecipazione piena alla politica, e per un altro dal rancore nutrito dalla sinistra, che non è riuscita ad elaborare il lutto della sconfitta del 2022 e dell’ascesa al governo di una destra considerata la storica erede del Msi e perciò del neofascismo, sopravvissuto alla catastrofe del regime nel 1943 e alla liberazione dal fascismo nel 1945. Destra e sinistra hanno componenti di rancorosità che si ravvivano ogni volta che se ne presenta l’occasione, ossia sempre. A destra per cinquant’anni, dal 1945 al 1994 (I governo Berlusconi col Msi al suo interno) i missini hanno vissuto una condizione che un raffinatissimo intellettuale come Piero Buscaroli definiva da sopravvissuti in territorio nemico. Essi, a parte la partecipazione alle elezioni e l’esigua rappresentanza politica ad ogni livello, erano esclusi da ogni effettiva partecipazione politica di governo e rischiavano lo scioglimento con l’accusa di aver rifondato il già disciolto partito fascista. Ci si era quasi convinti a destra di essere degli alieni, degli incapaci di amministrare la cosa pubblica, esclusi dai luoghi e dai fatti del potere che contano, in una sorta di apartheid. Era inconcepibile che si potesse fare una coalizione col Msi. I missini, a parte l’esperienza siciliana del milazzismo, erano nel panorama politico italiano una presenza-assenza, che per un verso completava la democrazia, per un altro la limitava alle forze cosiddette democratiche e antifasciste, di cui il Msi non faceva parte. I giovani missini non potevano avere nessuna speranza di poter diventare un giorno sindaci e assessori del proprio paese, mentre vedevano i loro coetanei che, per militare in altri partiti, raggiungevano qualsiasi meta, in politica e in carriera. Vivere per molti anni in condizioni “dimezzate” significa accumulare dentro tanto di quel rancore che all’occasione esplode in comportamenti anche violenti, se non fisicamente di certo moralmente. È quanto vediamo in alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, che rispondono con iattanza alle accuse e alle insolenze di quelli di sinistra, già rancorosi e avvelenati dall’aver visto assurgere al governo del Paese, delle regioni, delle città e dei comuni quelli che, secondo loro, non avrebbero mai potuto. Questo brodo di rancori è così forte che i protagonisti neppure si accorgono della violenza che producono coi loro comportamenti. Ci sono reti televisive, a destra come a sinistra, che non fanno che propaganda politica a senso unico a guisa degli organi di partito di una volta. Va’ a far capire ad una Lilli Gruber di essere una propagandista antigovernativa! E lo stesso a Giovanni Flores e a Corrado Formigli! E questo vale per gli opposti Paolo Del Debbio e sodali di reti che sono megafoni dei partiti di maggioranza. Non diversamente i giornali cartacei, tutti regolarmente schierati e tutti regolarmente neganti di esserlo. La “violenza” che queste fonti producono contribuisce a tenere sempre teso il rapporto. I politici non sono da meno, parlano sempre per metafore offensive, vagamente spiritose, disprezzano l’avversario, cercano di ridicolizzarlo, offendono, a volte diffamano. I cittadini si indispettiscono, quelli di destra per i continui attacchi che ricevono da politici e giornalisti di sinistra; quelli di sinistra, di rimando, mal tollerano i politici di destra, considerati inadeguati e arroganti impostori. L’aver evocato in Italia da parte della destra, dopo l’assassinio di Kirk, atmosfere da anni di piombo non è stato un esempio di prudenza, ma la reazione della sinistra con dei distinguo inaccettabili è stata la risposta che non doveva esserci. Uccidere una persona per le sue idee politiche o per i suoi compiti istituzionali è da condannare, punto e basta. Voler mettere in discussione un simile assioma è violenza, che genera a sua volta altra violenza.

sabato 13 settembre 2025

Astensionisti, arrendetevi e votate!

Quando sui giornali vedo qualche lettera al direttore mi soffermo sempre, perché la voce dei cittadini va sempre ascoltata, contiene un po’ di quel che ognuno di noi pensa. Tra le più frequenti vi sono le lettere che spiegano perché non è più il caso di andare a votare. Per lo più gli astensionisti insistono sul fatto che oggi gli uomini che ci devono rappresentare, non li scelgono gli elettori ma i segretari dei partiti. Perciò – concludono – è mancanza di rispetto sottoporre alla volontà degli elettori ciò che è stato già deciso altrove. Molti si dicono certi che se si ritornasse alle preferenze tornerebbero a votare e con entusiasmo, perché i cittadini, secondo loro, sanno scegliere meglio gli uomini a cui affidare l’esercizio delle cose pubbliche. Gli astensionisti hanno ragione su un punto, hanno torto su molti altri. Hanno ragione quando dicono che è una presa in giro chiamare i cittadini a decidere ciò che è stato già deciso; è una messinscena che riduce la democrazia ad una sorta di liturgia, peraltro costosa. Hanno torto quando dicono che i cittadini sanno scegliere meglio delle segreterie di partito. Essi dimenticano che molti candidati, in modalità voto di preferenza, in passato compravano i voti, alimentando le mafie che in certe località del Sud gestiscono mano e mente di migliaia e migliaia di elettori. Gli astensionisti, in genere, sanno poco dei candidati, sanno quello che filtra dalla propaganda; i partiti, invece, conoscono vita, morte e miracoli dei loro rappresentanti. Alcuni candidati – è arcinoto – i voti li “comprano” anche oggi perché le elezioni restano pur sempre delle gare e il tentativo di barare in politica è sempre a portata di mano. Li chiamano voti di scambio: do ut des. Ma c’è un punto che gli astensionisti dimostrano di non voler capire. Il voto è una grande conquista. È superfluo elencare tutti i sacrifici fatti nella storia per giungere a possedere questo strumento, che è così importante che il solo pensare di abolirlo crea sconcerto. Quelli che si astengono banalizzano il voto e senza rendersi conto delegano gli altri cittadini a rappresentarli nella scelta. Chi si tira fuori dal voto finirà sempre per essere rappresentato. A stabilire da chi non è il Padreterno ma altri uomini, normalissimi elettori; i quali se non fossero andati a votare, sia pure nella finzione liturgica, non avrebbero reso possibile elezione alcuna. Immaginate che arretratezza se ci fossero per legge persone con diritto di voto ed altre senza; sarebbe un precipitare di millenni indietro nella storia. Chi si astiene dal voto si priva da sé di un diritto, è un suicida politico. Quanto al voto di preferenza, occorre ricordare che c’è anche oggi, sia pure limitato a taluni candidati ritenuti per collocazione nella lista tra i papabili. Va da sé che gli elettori si trovano di fronte ad una lista già redatta e approvata, non possono votare uno che non è incluso in essa. Gli elettori, che lamentano le liste già preparate e i candidati da eleggere già “eletti”, non tengono conto che in una democrazia ordinata è necessario proporre una lista di candidati chiusa, che non può esistere una competizione elettorale aperta a ogni cittadino, indipendentemente se incluso o meno nella lista. Non è il voto di preferenza l’alternativa all’attuale sistema ma la possibilità di scegliere un cittadino qualsiasi per la gestione della cosa pubblica. Il che non può accadere. Il voto è in primis scelta di partito o di lista e poi scelta di persone inserite nella lista. Gli astensionisti, che in Italia raggiungono quasi il cinquanta per cento, si privano di un diritto senza avere in cambio nulla, senza nessuna contropartita; demandano ad altri di rappresentarli e si compiacciono della loro drittezza. A me non la fanno – dicono – io è da anni che non voto più. Ma il danno che producono al sistema è relativo, per cui non possono neppure compiacersi della loro scelta. Se nei sondaggi fosse possibile conoscere gli orientamenti politici anche degli astensionisti ci sarebbe da credere che non sarebbero diversi da quelli che si esprimono per chi votare. Chi non vota non danneggia una parte politica a favore di un’altra, in buona sostanza lascia tutto inalterato. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che astenersi non conta nulla e che il voto è l’essenza della democrazia. Chi si ostina ad astenersi dovrebbe convincersi che votare è sempre importante, perché significa partecipare a scelte che riguardano tutti, presenzialisti e astensionisti del voto. Essi, peraltro, sono responsabili di chi per età ancora non vota. È una questione di educazione civica, non di calcolo. Se pure l’incidenza fosse irrilevante si potrebbe sempre essere paghi di aver dato un contributo di civiltà. Che in democrazia, di questi tempi, non è poco.

domenica 7 settembre 2025

Ucraina, volenterosi e non

Volenteroso o volontaroso è chi è di buona volontà, diligente, desideroso. Dunque l’accezione è positiva, ma nello stesso tempo fa pensare a qualcosa di limitato, come a uno che vorrebbe ma non può perché non ha i mezzi. Ad uno studente bravo non si dice che è volenteroso, stante la bravura una condizione che va oltre la volontà e la comprende. In politica ha la stessa accezione. I volenterosi in genere conducono battaglie perse. Così in Italia furono detti quelli che volevano salvare il governo Conte dopo la crisi pandemica. Essi non avevano né le politiche né i numeri per farlo, avevano però la volontà. Il loro ragionamento era, prescindendo da tutto, trovare i voti sufficienti in Parlamento per approvare un Conte-ter. Come è noto, non riuscirono, perché in politica i volenterosi fanno pensare ai profeti disarmati di cui parlava Machiavelli, destinati a “rovinare”, cioè ad essere inevitabilmente sconfitti. Con lo stesso termine, Volenterosi, sono oggi chiamati i capi di stato o di governo europei, che, rimasti orfani dell’America trumpiana, per difendere la causa ucraina ricorrono alla volontà, non bastando evidentemente i loro soldi e le loro armi. In genere chi può fa, chi non può è volenteroso; vorrebbe fare. L’idea dei volenterosi è venuta al francese Macron e all’inglese Starmer, estesa poi ad altri, Meloni compresa, in Europa e fuori nello schieramento occidentale come Canada e Australia. Il progetto consiste nel garantire all’Ucraina una serie di tutele, dal foraggiamento militare, all’applicazione dell’art. 5 della Nato nell’ipotesi che venisse nuovamente attaccata dopo la fine della guerra, all’invio di truppe anglo-francesi in territorio ucraino a garanzia degli accordi raggiunti. Si ipotizzano cioè situazioni che al momento sono ben lontane dall’essere. Putin, infatti, di cessare il fuoco non ne vuol sapere e il ripetuto invito a Zelensky di incontrarsi a Mosca ha tutta l’aria di ribadire che le cose si decidono nella casa madre e che l’Ucraina è in fondo la figlia ribelle da ricondurre all’obbedienza, da riportare a casa. Accogliere l’invito di Putin per Zelensky sarebbe come riconoscersi sottomesso ad una volontà superiore; e difatti ha già risposto picche. Di fatto il Presidente ucraino si muove come un membro dell’Europa e della Nato senza farne parte, né dell’una né dell’altra: un ospite di riguardo, ma anche di fastidio. Intanto dall’altra parte del mondo si è ricompattato l’asse Russia-Cina con l’India e la Corea del Nord. Cosa curiosa e preoccupante è che anche la Turchia, che fa parte della Nato, era a Pechino per partecipare ai festeggiamenti per gli 80 anni dalla liberazione della Cina dai giapponesi. Lì, altro che volenterosi! Stanno cogliendo l’occasione della crisi dei rapporti dell’America trumpiana con l’Europa e la Nato per ostentare forza e per proporsi come padroni dei destini del mondo. Una situazione non incoraggiante per noi europei, che ci ritroviamo con una guerra alle porte e con la crisi delle vecchie alleanze, con zero prospettive che dipendano da noi. Volenterosi noi europei lo siamo per condizione, non essendo capaci di incidere in qualche modo con chiarezza e risolutezza. Abbiamo una visione molto chiara della situazione ma non abbiamo i mezzi per gestirla. Sappiamo che con la Russia non possiamo cedere, perché è chiaro a tutti che essa ha in progetto di riportare tutti i territori una volta dell’Unione Sovietica sotto il dominio di Mosca. L’allargamento dell’Europa, fino comprendere alcuni stati che sono stati in passato nell’Unione Sovietica, ci obbliga ad intervenire direttamente ove uno o più di essi venissero attaccati. Cedere oggi con l’Ucraina significa aspettarsi altre aggressioni. L’Europa non può accettare che si cambi la sua carta geografica con la forza delle armi. Questo lo ha detto e ripetuto. Ma finché l’America non tornerà ad essere l’”America” che abbiamo sempre conosciuto, da più di un secolo a questa parte, siamo come immobilizzati, incapaci di affrontare il nemico russo in maniera decisa e sperabilmente risolutoria. Possiamo solo prendere qualche iniziativa ai margini del campo in cui si muovono le grandi potenze mondiali. L’iniziativa dei volenterosi, che oggi conta sulla disponibilità di ventisei paesi a sostegno dell’Ucraina, segna la strada da seguire ma esprime anche l’incertezza del modo più efficace per percorrerla. Fino ad oggi si è parlato di cose da fare nelle ipotesi di un cessate il fuoco che in questo momento è ancora lontano dal verificarsi. La guerra in Ucraina continua mentre i Volenterosi pensano al dopo e Putin non sembra avere né fretta né volontà di finirla.