domenica 24 agosto 2025
Pippo Baudo, un uomo per sempre
Pippo Baudo non ha mai servito tanto la sterminata gente che gli era affezionata come nella circostanza della sua morte, con quel che ne è seguito. Per il pubblico era già “morto” prima che morisse davvero, nel senso che di lui non si parlava da tempo, negletto nella sua discreta sofferta vecchiaia. Sic transit…anche per lui. Ma la sorpresa è stata grande lo stesso. È come se all’improvviso fosse resuscitato per ricordare al suo pubblico che mancava ancora l’ultimo atto della sua commedia umana, i giorni in cui sarebbe stato ancor più vivo. La sua pasqua, una sorta di festival, per stare al lessico consueto del Pippo nazionale.
Generosissimo, ha “scelto” di morire in piena estate per fornire alla sua Rai, stagionalmente in crisi di contenuti, materiale per riempire gli spazi altrimenti ripetitivi e noiosi dei Teche Teche Te’. Per annunciare la sua morte si sospese la trasmissione “Evviva” condotta da Gianni Morandi su RaiUno, un incontro del tutto fortuito, ma come fatale. Fosse morto a dicembre, se ne sarebbe parlato per un paio di giorni al massimo e in spazi assai più limitati. Che più dalla sua fedeltà alla televisione di Stato, a cui era debitore e creditore insieme?
La televisione per questo lo ha deificato. Tutta la sua corte – cantanti attori comici coreografi ballerini presentatori conduttori musicisti autori giornalisti – ha sprecato elogi e definizioni come mai si era sentito in Italia per un uomo, che ha avuto il grande pregio di interpretare la più corretta e inappuntabile italica medietà. Il Vescovo di Caltagirone nella sua omelia ha detto che ora è “una stella che brilla nel cielo”. Altri hanno sprecato attributi per glorificarlo, giungendo a dire che con la sua morte finiva una fase importante della storia d’Italia. Altri hanno insistito sul re del sabato sera. Qualcuno ha proposto che gli venisse intitolato il Teatro delle Vittorie. Fiorello, che evidentemente non sa più distinguere la realtà dalla sua rappresentazione, ha proposto di sostituire il cavallo dello scultore Messina, simbolo della Rai, con una statua di Pippo. È mancato solo che qualcuno suggerisse il Pantheon per la sua tumulazione. In fondo un re, lo è stato. Si è detto anche che per anni è stato lui il vero segretario nazionale della Democrazia cristiana. Iperboli, che fanno perdere il senso del reale, pur importante; la sua vera dimensione.
Pippo Baudo non può uscire dalla sua collocazione di uomo di spettacolo e di costume. Quello era. In quell’ambito è stato insuperabile. Neppure i suoi colleghi storici, coi quali pure viene proposto in foto iconiche, Mike Bongiorno, Corrado ed Enzo Tortora, possono reggere il confronto. Pippo Baudo è stato di più, è andato oltre, ma mai allontanandosi da quel che forse lui stesso perseguiva, la medietas, l’uomo del giusto mezzo, l’interprete dell’italiano tipo. Il suo eloquio era di una semplicità e scorrevolezza uniche, mai una sbavatura, né in senso colto né in caduta di stile. Mai una citazione, ma mai un lapsus, un errore. Una grande prontezza di fronte all’imprevisto ne caratterizzava la capacità di andare oltre l’incidente, come dimostrano i casi di contestazione nel corso di alcuni suoi Sanremo; li superava e andava oltre, all’insegna dello spettacolo che deve continuare. La sua disinvoltura nel superare le situazioni più diverse e imbarazzanti resta insuperabile, dal bacio con l’attrice americana Sharon Stone a quello con la nostra Luciana Littizzetto, alle volgarità di Fiorello e Benigni. Lui se ne usciva sempre più personaggio. Ma anche l’esagerazione, se vogliamo, è appropriata alla circostanza.
Personaggio nazional-popolare, non poteva sottrarsi a quel gusto tipicamente popolare per le iperboli che lo hanno avvolto in occasione della morte. La televisione di Pippo Baudo era fatta per quel particolare tipo di popolo che non si allontana dalla consapevolezza identitaria e si riconosce anche con fierezza nella nazione, nelle sue tradizioni, perfino nei più frusti luoghi comuni che la accompagnano da sempre. Per questo faceva storcere il naso ai colti, agli intellettuali, adusi a raffinatezze ideologiche e dotte. Il suo non era un livello raggiunto, iniziando dal basso; né un curvarsi in avanti per adeguarsi, ma la spontanea posizione di chi non è che se stesso nella sua immediatezza. Aveva fiuto nello scoprire talenti. E aveva ragione a dire “questo l’ho scoperto io”, riferendosi ai tanti uomini e donne di spettacolo da lui lanciati e fatti affermare, ma ancor più ragione avrebbe avuto di dire: eccomi, io sono quello che si è scoperto da sé. Neppure Padre Pio, da lui interpellato, ci aveva creduto.
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