sabato 30 agosto 2025

Trump, quel che non t'aspetti

Viviamo tempi incredibili, inimmaginabili, grotteschi. Chi mai poteva pensare che alla presidenza dello Stato più forte del mondo arrivasse uno come Donald Trump, perfino peggiorato rispetto al suo primo mandato? Abituati a pensare all’America come alla grande sorella dell’Europa, quella più fortunata e più potente della famiglia, garanzia di sicurezza e di ordine mondiali, che ci aveva tirati fuori per ben due volte dai nostri pasticci europei, non ci raccapezziamo in balia di un soggetto, il suo presidente, che parla e agisce come un boss creato dalla penna di Mario Puzo, come “Il padrino” di Franzis Ford Coppola. Le sue prime dichiarazioni furono su eventuali annessioni di Groenlandia, Canada e Canale di Panama, facendo un po’ irritare e un po’ ridere il mondo. Ma è bastato poco perché tutti nel mondo ne accettassero le mattane e tutti stessero al gioco. È pur il Presidente degli Stati Uniti d’America! L’assurdo è diventato normale. L’incontro dei sette europei alla Casa Bianca il 18 di agosto aveva tutta l’aria di una sceneggiata di nessuna credibilità, perfino offensiva per certi aspetti. I sette sembravano rendersene conto e tuttavia come tanti scolaretti si compiacevano di ricevere il giudizio positivo dal maestro in cattedra dopo aver ciascuno recitato la sua particina. E lui, il maestro, a dispensare pagelline a tutti, perfino al francese Macron che ogni tanto maltratta con apprezzamenti a dir poco disdicevoli. Ma non erano lì gli europei per sapere che cosa il Presidente americano si era detto con Putin in Alaska qualche giorno prima? Non si doveva parlare di una sorta di road map per arrivare alla pace? Non doveva essere l’inizio di un cessate il fuoco? Niente di tutto questo. L’incontro in Alaska si è rivelato una presa in giro senza precedenti. Che cosa si siano veramente detti i due leader mondiali per tre ore non lo sapremo mai. Dalle dichiarazioni seguite si poteva ritenere cosa fatta un incontro bilaterale Zelensky-Putin, cui sarebbe seguito breviter un trilaterale. Si trattava di stabilire la sede e il giorno. Circolavano ipotesi: Roma, Vaticano, Istanbul, Ginevra. Non c’è stato niente di tutto questo, anzi a quanto ha poi riferito il ministro degli esteri russo Lavrov in Alaska non si era parlato affatto del bilaterale “fantasma” tra Zelensky e Putin. La verità è che Putin non vuole vedere Zelensky né oggi né mai. Non lo riconosce come suo interlocutore. Finché l’ucraino resta in carica la guerra continuerà sempre più intensa. Putin mira alla sua liquidazione e solo quando non ci sarà più e al suo posto ci sarà uno a lui gradito allora sarà disposto a mettere fine alla guerra. La beffa è che Trump in Alaska, a quanto si può dedurre, più che prendere le parti dell’ucraino, in sintonia con tutto l’Occidente, ha rassicurato Putin sulla sua amicizia, come se fosse il russo la vittima. Le strette di mano tra i due, seguite da rassicuranti gesti di amicizia, con la mano sinistra di Trump a poggiarsi più volte sulle mani strette a rinsaldarle, dimostravano una scelta di fedeltà, quasi di protezione. Come a dire: coraggio, ci penso io. Un rovesciamento delle parti che avrebbe del ridicolo se non fosse tragedia piena. Trump, infatti, ha ripreso ad insultare Zelensky perché si rifiuta di cedere alle pretese di Putin senza se e senza ma. È irritato con l’ucraino perché la sua tenacia a difendere il suo paese rischia di rovinargli i buoni rapporti con Putin. Dice che lui non sta né con una parte né con l’altra, ma di fatto ammicca a Putin. Minaccia di non dare più soldi né armi all’Ucraina. Nei confronti dell’Europa e della Nato non fa che prendere le distanze. Mai visto un uomo politico di tale importanza comportarsi in maniera contraddittoria, capricciosa, del tutto fuori dai più consolidati canoni della politica e della diplomazia. L’uomo che doveva riportare la pace in Ucraina in ventiquattr’ore dà in escandescenze al solo pensiero di dover rinunciare al suo messianismo. La sua inadeguatezza diventa ogni giorno di più intollerabile. La vicenda dei dazi, che pure poteva avere una sua ragion d’essere, nella sua gestione è diventata occasione per esercitare un autentico bullismo nei confronti di amici e alleati storici, da lui considerati parassiti e imbroglioni. Essi per ora hanno scelto in parte di assecondarlo e in parte di ignorarlo, scegliendo l’attesa che noi italiani conosciamo molto bene: ‘a da passà ‘a nuttata. Bisogna vedere quali danni avrà prodotto la politica di questo energumeno al termine del suo mandato facendo scongiuri che non venga riproposto un’altra volta. Sarebbe per l’Europa e il mondo una iattura.

domenica 24 agosto 2025

Pippo Baudo, un uomo per sempre

Pippo Baudo non ha mai servito tanto la sterminata gente che gli era affezionata come nella circostanza della sua morte, con quel che ne è seguito. Per il pubblico era già “morto” prima che morisse davvero, nel senso che di lui non si parlava da tempo, negletto nella sua discreta sofferta vecchiaia. Sic transit…anche per lui. Ma la sorpresa è stata grande lo stesso. È come se all’improvviso fosse resuscitato per ricordare al suo pubblico che mancava ancora l’ultimo atto della sua commedia umana, i giorni in cui sarebbe stato ancor più vivo. La sua pasqua, una sorta di festival, per stare al lessico consueto del Pippo nazionale. Generosissimo, ha “scelto” di morire in piena estate per fornire alla sua Rai, stagionalmente in crisi di contenuti, materiale per riempire gli spazi altrimenti ripetitivi e noiosi dei Teche Teche Te’. Per annunciare la sua morte si sospese la trasmissione “Evviva” condotta da Gianni Morandi su RaiUno, un incontro del tutto fortuito, ma come fatale. Fosse morto a dicembre, se ne sarebbe parlato per un paio di giorni al massimo e in spazi assai più limitati. Che più dalla sua fedeltà alla televisione di Stato, a cui era debitore e creditore insieme? La televisione per questo lo ha deificato. Tutta la sua corte – cantanti attori comici coreografi ballerini presentatori conduttori musicisti autori giornalisti – ha sprecato elogi e definizioni come mai si era sentito in Italia per un uomo, che ha avuto il grande pregio di interpretare la più corretta e inappuntabile italica medietà. Il Vescovo di Caltagirone nella sua omelia ha detto che ora è “una stella che brilla nel cielo”. Altri hanno sprecato attributi per glorificarlo, giungendo a dire che con la sua morte finiva una fase importante della storia d’Italia. Altri hanno insistito sul re del sabato sera. Qualcuno ha proposto che gli venisse intitolato il Teatro delle Vittorie. Fiorello, che evidentemente non sa più distinguere la realtà dalla sua rappresentazione, ha proposto di sostituire il cavallo dello scultore Messina, simbolo della Rai, con una statua di Pippo. È mancato solo che qualcuno suggerisse il Pantheon per la sua tumulazione. In fondo un re, lo è stato. Si è detto anche che per anni è stato lui il vero segretario nazionale della Democrazia cristiana. Iperboli, che fanno perdere il senso del reale, pur importante; la sua vera dimensione. Pippo Baudo non può uscire dalla sua collocazione di uomo di spettacolo e di costume. Quello era. In quell’ambito è stato insuperabile. Neppure i suoi colleghi storici, coi quali pure viene proposto in foto iconiche, Mike Bongiorno, Corrado ed Enzo Tortora, possono reggere il confronto. Pippo Baudo è stato di più, è andato oltre, ma mai allontanandosi da quel che forse lui stesso perseguiva, la medietas, l’uomo del giusto mezzo, l’interprete dell’italiano tipo. Il suo eloquio era di una semplicità e scorrevolezza uniche, mai una sbavatura, né in senso colto né in caduta di stile. Mai una citazione, ma mai un lapsus, un errore. Una grande prontezza di fronte all’imprevisto ne caratterizzava la capacità di andare oltre l’incidente, come dimostrano i casi di contestazione nel corso di alcuni suoi Sanremo; li superava e andava oltre, all’insegna dello spettacolo che deve continuare. La sua disinvoltura nel superare le situazioni più diverse e imbarazzanti resta insuperabile, dal bacio con l’attrice americana Sharon Stone a quello con la nostra Luciana Littizzetto, alle volgarità di Fiorello e Benigni. Lui se ne usciva sempre più personaggio. Ma anche l’esagerazione, se vogliamo, è appropriata alla circostanza. Personaggio nazional-popolare, non poteva sottrarsi a quel gusto tipicamente popolare per le iperboli che lo hanno avvolto in occasione della morte. La televisione di Pippo Baudo era fatta per quel particolare tipo di popolo che non si allontana dalla consapevolezza identitaria e si riconosce anche con fierezza nella nazione, nelle sue tradizioni, perfino nei più frusti luoghi comuni che la accompagnano da sempre. Per questo faceva storcere il naso ai colti, agli intellettuali, adusi a raffinatezze ideologiche e dotte. Il suo non era un livello raggiunto, iniziando dal basso; né un curvarsi in avanti per adeguarsi, ma la spontanea posizione di chi non è che se stesso nella sua immediatezza. Aveva fiuto nello scoprire talenti. E aveva ragione a dire “questo l’ho scoperto io”, riferendosi ai tanti uomini e donne di spettacolo da lui lanciati e fatti affermare, ma ancor più ragione avrebbe avuto di dire: eccomi, io sono quello che si è scoperto da sé. Neppure Padre Pio, da lui interpellato, ci aveva creduto.

sabato 23 agosto 2025

Ucraina, soluzione sempre più lontana

Da una parte la Russia, che dell’Ucraina vuole perfino l’anima (lingua e religione), dall’altra l’Ucraina che alla Russia non vuole cedere neppure le frange territoriali che in genere ai confini sono sempre contese. In mezzo il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, che non capisce niente né di Ucraina né di Russia, che non conosce neppure la storia dell’Europa e definisce «stupida» la guerra tra i due paesi. L’Europa, che dovrebbe occupare una posizione centrale, è di lato e parla quando è …interrogata. A sottolineare quanto conti poco in questa crisi. Per certi aspetti Trump ricorda un altro Presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, che, alla fine della Grande Guerra, 1918, s’illuse, dettando i famosi 14 punti, di risolvere le varie controversie tra gli stati, con l’autodeterminazione dei popoli, in base alla quale tutte le città e le regioni contese dovevano decidere liberamente da sé con chi stare. Così venivano a cadere molti dei motivi della guerra. Neppure Wilson, nell’occasione, dimostrò di capire l’anima degli europei. La guerra russo-ucraina non può essere staccata da un disegno che è nella testa di Putin e che molto probabilmente consiste nel “recuperare” alla Russia tutti i paesi che avevano fatto parte dell’Urss e della cintura dell’Europa orientale, dalle repubbliche baltiche alla Romania, attraverso la Polonia, l’ex Cecoslovacchia e l’Ungheria, i paesi cioè del Patto di Varsavia. Pensare, come pensa Trump, che la guerra è scoppiata per futili motivi per imperizia del suo predecessore Biden, significa non volersi neppure sforzare di capire. Ci fossi stato io alla presidenza americana la guerra non avrebbe avuto mai inizio, ha ripetuto più volte Trump, volendo dare l’impressione di essere convinto di quel che diceva. Le cose, evidentemente, non stanno come pensa lui. La Russia si annesse la Crimea nel 2014. Si capì allora che non si trattava solo di Crimea, per la quale Putin poteva tirar fuori ragioni perfino plausibili, ma di un disegno più ampio. Si è detto più volte che alla base dell’aggressione russa all’Ucraina c’era la sua sempre più stretta vicinanza con l’Europa e la Nato. Troppo si era avvicinata la Nato alle porte della Russia. Ma che cosa poteva fare l’Ucraina, privata della Crimea e minacciata dalla Russia, se non contare sull’Europa e la Nato? Il carattere difensivo dell’Ucraina appariva chiaro, era un cercar di scoraggiare la Russia da successive aggressioni. Cosa, questa, che purtroppo non è accaduta. Putin ha trasformato il carattere difensivo dell’Ucraina in carattere offensivo, quasi una minaccia alla sicurezza della Russia stessa. Un pretesto, che ha trovato credito anche in Europa. Troppo la Nato si era avvicinata ad abbaiare alle porte della Russia, disse Papa Francesco, con quel suo linguaggio semplice ma fortemente evocativo. L’Europa emarginata tuttavia non demorde dalle sue posizioni. Il principio è inviolabile: non si cambiano i confini degli stati con le guerre. La Russia deve lasciare i territori dell’Ucraina e convincersi di poter avere solo rapporti di buon vicinato. Nessuno la minaccia. È ridicolo pensare che i paesi europei dell’ovest e dell’est abbiano in mente di aggredire la Russia. Non si vedono i motivi, gli interessi. Una simile preoccupazione è senza fondamento. La Russia deve convincersi che la storia si è lasciato indietro un tempo non replicabile neppure per parodia. L’incontro in Alaska del 15 agosto fra Trump e Putin ha mostrato, al di là di ciò che veramente è stato detto nelle tre ore di colloquio, che dal punto di vista politico c’era da una parte un Putin che appariva perfino beffardo nella sua sicurezza di politico navigato e dall’altra un Trump che dava l’impressione di non avere ancora capito qual era la posta in palio della partita. La guerra in Ucraina ha difatto innescato tutti i casi bellici successivi, compresi Iran e Israele, e potrebbe aprire a nuovi sconvolgimenti. Che cosa in verità si siano detti Putin e Trump in Alaska lo sanno solamente loro; ma non si è molto lontani dal pensare alle pretese americane sulla Groenlandia e sul canale di Panama. Tutto può accadere quando si dà il via ad un processo di illegalità, quel che segue è imprevedibile. L’incontro alla Casa Bianca del 18 luglio tra Trump, Zelenski e alcuni leader europei, tra i quali Giorgia Meloni, con la telefonata di Trump a Putin, ha spettacolarizzato la situazione ma non offerto nessun concreto spunto per giungere ad una soluzione. Da una parte c’è chi continua a volere tutto, dall’altra chi continua a non voler cedere nulla; da una parte chi si rifiuta perfino di sospendere il fuoco, dall’altra non ben precisati garanti dell’Ucraina. Non c’è che attendere.

sabato 16 agosto 2025

Con la morte sul collo

È proprio vero, la morte ciascuno di noi ce l’ha sul collo; e quando meno ce l’aspettiamo ecco che ci rovina addosso con tutta la sua fatalità. Una povera cristiana scende dal tram per avviarsi verso casa e viene travolta e uccisa da un’auto a bordo della quale ci sono quattro ragazzini. Il più grande, che la guida, ha tredici anni e ha la prontezza di dire che non gli sono funzionati i freni. Sono tutti dei rom al di sotto dei quattordici anni, per la legge italiana non sono imputabili. Dunque, per quella povera cristiana è come se gli fosse caduto addosso la scheggia di un meteorite. Loro, i ragazzini, non sono imputabili! E i loro genitori? Le loro famiglie? Le autorità cittadine che comunque nulla hanno fatto nei tempi precedenti per evitare la tragedia, ritenendo presumibile che questa gente era lì accampata da tempo? Niente, i ragazzini non sono imputabili e buonanotte al secchio. Ci sono solo dei piccoli adempimenti da fare per il loro affidamento a qualche struttura. Poi, più niente. Quando la società si dimostra così impotente vuol dire che si è in presenza di un dissesto ideologico grave. Se ne prende atto e basta. Ma è proprio così? Il Ministro Salvini si è permesso di sollevare la questione rom ed è stato subito zittito dal sindaco della città, che nei confronti di questa gente evidentemente ha un rapporto di buona vicinanza, direi di generosa tolleranza. Il problema, che tale non è per tutti, si pone ogni volta che accade una disgrazia, un incidente, una questione. Si parla per qualche giorno, poi si tace fino a nuova disgrazia. Come se tutto fosse fatale, inevitabile. A chi càpita, càpita. Un disgraziato, più disgraziato di altri c’è sempre. Ma è di tutta evidenza che se nulla si poteva fare nell’immediato per evitare la disgrazia di quella donna, tanto, tantissimo si sarebbe potuto fare prima. Quei quattro ragazzini, le loro mamme, i loro papà non dovevano stare lì ad abitare sub divo come animali in un bosco. E infatti che fanno quei ragazzini, lasciati liberi di muoversi a piacimento? Quello che gli càpita. Rubano una macchina. Mica il borsello lasciato incustodito da una signora distratta! La mettono in moto e iniziano a scorrazzare per la città fino a quando non perdono il controllo del mezzo e…si salvi chi può! Perché, se è vero che i ragazzini non sono imputabili, l’età per capire come si ruba una macchina, si mette in moto e via, altro che se lo sanno! La delinquenza minorile ormai è da anni che ha abbassato la soglia. Sempre più ragazzini aggrediscono persone anziane e indifese nei parchi pubblici, per strada; si affrontano in bande, compiono gesta vandaliche ai danni di cose pubbliche e private. Fanno quello che prima facevano i ragazzi di quindici e sedici anni. Ma la soglia dell’imputabilità è rimasta sempre quella dei quattordici anni. Segno di umanità e di civiltà giuridica. Se no, che altro? Qualche anno fa sempre il Ministro Salvini si fece riprendere a bordo di una pala meccanica mentre smuoveva tende e accampamenti rom. A che cosa è servito se non a fare propaganda elettorale? Dove amministra la destra accadono esattamente le stesse cose di dove amministra la sinistra. Le leggi son…come diceva Dante. Non è questione di destra o di sinistra, ma di “italianità”, di modo di intendere i problemi e di non risolverli. Spesso mi chiedo come mai in una qualsiasi località della Svizzera, dove mi è capitato di vivere per qualche anno, cose del genere non potrebbero mai accadere. Lì, in Svizzera, se ti fermi con un camper per più di un quarto d’ora in un punto qualsiasi del territorio sei raggiunto dalla polizia, che controlla e prende i provvedimenti del caso. Campi nomadi, raggruppamenti rom in quel paese fuori controllo non se ne potrebbero mai verificare. Gruppi di ragazzini che sciamano per strada, nemmeno a immaginarseli! Perché in Italia non è possibile quel che è possibilissimo in Svizzera? Sono forse gli svizzeri degli odiosi disumani? Amano vivere nella dittatura più ferrea? No, semplicemente in ogni cittadino svizzero c’è un poliziotto che interviene puntualmente all’interno e all’esterno di sé perché la legge non venga infranta, disattesa, ignorata. In Svizzera il cittadino ha sempre la mano destra pronta a colpire la mano sinistra se questa non dovesse comportarsi a modo. Altro che non sappia la mano destra quel che fa la sinistra! In Italia siamo nelle mani di Dio con quel che significa l’espressione, ovvero del caso, della fortuna. L’episodio triste di quella povera cristiana, morta senza sapere perché, fa riflettere sulla impossibilità, tutta italiana, di coniugare l’ordine con la libertà.

sabato 9 agosto 2025

Più amor di patria, via!

Presto i nostri bambini vedranno nei teatrini dei parchi pubblici giudici e politici che si randellano a vicenda come paladini e saraceni. Sono diventati maschere fisse dello spettacolo pubblico. Colpa bipartisan. In Italia la giustizia fa sempre politica: le cose sono come le percepisci. Il caso Almasri torna impetuoso alla ribalta. Con le solite ricadute giustizialpolitiche. Da una parte i giudici, che fanno finta di non sapere che coi loro atti la politica la fanno, eccome!, dall’altra i politici, che trovano nelle loro riforme sgradite ai giudici la ragione dei loro attacchi. La vicenda del generale libico, che se ne andava in giro per l’Europa ad assistere alle partite di calcio delle squadre più rinomate, è nota. Dall’Italia all’Inghilterra, dall’Inghilterra al Belgio, dal Belgio in Germania, dalla Germania in Italia; più volte fermato e rilasciato. Ma quando fu in Italia, la Corte Penale Internazionale dell’Aja emise contro di lui un mandato di cattura per reati gravissimi. Non prima, si badi bene, ma in Italia, a Torino! Il ricercato, che ha il suo spazio di operatività sulle coste libiche coi migranti, è un pericoloso soggetto, con un suo personale seguito. Lo vedemmo appena sceso dall’aereo che lo aveva riportato in Libia essere accolto con giubilo dai suoi fedeli. Conveniva impacchettarlo e portarlo via, nella sua terra, a prescindere se ci fossero o meno dei ricatti libici. Consegnarlo all’Aja significava esporre i nostri connazionali che si trovano in Libia per lavoro a gravi ritorsioni. C’è poco da fare con questa gente. Opera fuori da ogni legalità. Lo sanno i giudici italiani. Lo sanno i politici italiani dell’opposizione, che chissà cosa avrebbero pagato per vedere il governo italiano ricattato da bande di delinquenti libici sequestratori di nostri connazionali! Sia chiaro! È cosa vecchia da noi, pur di mettere in difficoltà l’avversario non ci si fa scrupolo di niente, figurarsi della …patria. Fece bene il governo italiano a riportarlo in Libia senza tanti indugi? A ragionare col buon senso, sì: non poteva fare altro. Ma, a cavillare in termini giuridici e a speculare in termini politici, no: andava consegnato ai giudici della Corte Penale Internazionale. Poi per il nostro governo sarebbero state cose amare. E questo avrebbe fatto brindare al successo giudici e politici di opposizione. Il cinismo regna in politica in ogni riposto. È inutile essere ipocriti e negarlo. C’è del marcio nell’affare Almasri, comunque lo si voglia vedere. Primo, perché la Corte Penale dell’Aja non emise prima il mandato di cattura? Secondo, perché più volte fermato in Inghilterra e sul continente, Almasri non fu trattenuto in attesa delle disposizioni della Corte Penale? È di tutta evidenza che il caso ebbe un inizio e un percorso peggio che dire alla buona. Ognuno cercò di liberarsi del soggetto come di qualcosa di tossico. E doveva essere proprio l’Italia a consegnare alla Corte Penale il ricercato per una caterva di reati, uno peggio dell’altro? Già, ci doveva essere un fesso col cerino in mano. Ora, bene ha fatto la Meloni ad assumersi le responsabilità di quanto operato dai suoi ministri nel caso Almasri, un’occasione d’oro per infliggere al “Conte qualsiasi” un colpo di quelli che lasciano tramortiti e a tutta la compagnia cantante. Finirà che il Parlamento rifiuterà l’autorizzazione a procedere contro i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano e le opposizioni probabilmente ricorreranno alla Corte Penale per denunciare il comportamento del governo. Ma qui ci si dimentica della gente, che è poi ciò che conta di più, nei sondaggi e nei voti. Che cosa pensa della vicenda? Sta col governo o coi giudici; col governo o coi suoi oppositori? La gente ha capito perfettamente la posta in gioco, anche perché nessuno la nasconde. La gente sta dalla parte di chi ha agito per il bene degli italiani. Se avessimo consegnato il generale libico alla Corte Penale dell’Aja avremmo avuto sicuramente dei problemi piuttosto importanti coi libici; avremmo esposto i nostri concittadini a rappresaglie e ritorsioni. In passato i nostri governi non si sono comportati diversamente. Se pure, perciò, l’intera operazione lascia non pochi punti oscuri è evidente che il governo ha agito per evitare il peggio. E chi può condannare chi agisce in siffatta maniera? I sofisti che spaccano il capello in quattro e i politici interessati a creare problemi al governo sicuramente non la finiranno qui. Gli altri, la gente comune, pragmatica e lieta di aver evitato una situazione complicata per il proprio Paese, penseranno che il governo abbia fatto bene. Probabilmente non è la cosa più bella, intendiamoci, ma è sicuramente la più utile e la più capibile dagli italiani.

sabato 2 agosto 2025

Ma governare si può in questo paese?

Ancora una volta dei giudici, questa volta della Corte di Giustizia Europea, sono intervenuti per dire che è legittimo che sia un giudice a stabilire se un Paese è sicuro o meno. Per loro è sicuro quel Paese in cui non ci sono guerre, in cui nessuno corre il rischio di subire discriminazione e persecuzione. Stando così le cose e conoscendo quanto accade nel mondo, nessun Paese è sicuro “in assoluto”, compresi gli Stati Uniti d’America, compresa l’Italia. In ogni parte del mondo si può dimostrare che ci sono dei perseguitati, che esistono condizioni di pericolo. Sicché quanti ne vengono vengono in Italia di migranti, fossero pure milioni, dovrebbero essere ben accolti perché provenienti da paesi “insicuri”. E a dirlo non è il Governo, a cui spetta il dovere di assumersi ogni responsabilità dell’azione politica ma il primo giudice che si alza la mattina e pontifica su quel che quel giorno più gli aggrada. Sicché, mentre il governo è responsabile di quel che accade nel nostro Paese, a decidere se una cosa si deve o non si deve fare, sono altri, in questo caso i giudici. I quali, forti dell’obbligarietà dell’azione penale, possono intervenire dove vogliono o ritengono opportuno. Alla pronuncia della Corte Europea ha gioito anche l’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei per i migranti, il quale è andato oltre con affermazioni indegne di un prelato. A suo dire il governo italiano in maniera subdola mette in essere degli atti illegittimi nei confronti di migranti ritenuti non in regola, in riferimento al Cpr di Albania. L’alto rappresentante della Chiesa è del parere che qualunque migrante, per il fatto di essere un migrante, viene da un paese in cui non si sente al sicuro. Altrettanto forte è giunta la replica del Governo. La Presidente Meloni ha risposto a muso duro sia alla Corte di Giustizia, accusata di competenze indebite, sia all’arcivescovo Perego. Anche i leader della maggioranza governativa, Salvini e Tajani, hanno risposto con determinazione, ribadendo che il Governo continuerà ad andare avanti con le sue politiche per combattere i trafficanti di esseri umani e per difendere i confini italiani. Quel che ancora una volta emerge da questo intrecciarsi di competenze è che ormai non si può più governare. Qualsiasi atto, a giusta o ingiusta ragione, capziosamente o razionalmente, viene impugnato dalle opposizioni politiche, dalla magistratura, dalla Chiesa, dai sindacati, dagli oppositori di strada, pur di impedire al Governo di governare. Viene di ricordare quanto disse Mussolini negli ultimi tempi della Repubblica di Salò: in Italia non è né facile né difficile governare, è inutile. Ma forse lui pensava ancora da dittatore, avendo potuto governare per vent’anni. Oggi governare è semplicemente impossibile. Hai a che fare con una caterva di nemici, i quali se pure è legittimo che ti combattano, non è accettabile che per farlo vadano contro gli interessi del comune Paese di appartenenza. Vedi con quanta iattanza e soddisfazione i vari Schlein, Conte, Renzi e compagni parlano del miliardo di euro speso dal governo italiano per costruire il Cpr in Albania, pur fingendo di dolersene; sarebbero doppiamente “contenti” se i miliardi spesi fossero stati due. È la democrazia, bellezza! È pur vero che molto spesso a legarsi le mani sono gli stessi governanti, i quali aderiscono ad astratte iniziative internazionali, senza considerare tutte le conseguenze. Vedi la Corte Penale Internazionale dell’Aja che ha condannato alcuni uomini politici, come Putin e Netanyahu, sui quali pesa un mandato di cattura internazionale. Sicché se oggi si decidesse di fare in Italia un incontro per la pace tra Russia e Ucraina non sarebbbe possibile per l’obbligo che scatterebbe di arrestare Putin. Un inghippo del genere è già successo con il Generale libico Almasri, che condannato dall’Aja e arrestato a Torino, invece di essere consegnato alla Corte Penale dell’Aja per i dovuti provvedimenti, fu messo su un aereo di Stato e riportato in Libia. Un chiaro atto eversivo, che si spiega con la ragion di Stato, ovvero per evitare che, consegnando Almasri all’Aja, ci fossero ritorsioni nei confronti dei nostri connazionali che lavorano in Libia. Purtroppo con molta leggerezza i politici si legano le mani da sé con lacci e lacciuoli, che poi devono o spezzare, contravvenendo alle convenzioni, o rispettare rimanendo fermi nell’inazione. Politici più lungimiranti, proprio per non crearsi problemi, non aderiscono a simili istituzioni internazionali, che sono buone e nobili nelle intenzioni ma complicate nella fattualità.